giovedì 11 luglio 2013

Stenografico della dichiarazione spontanea di Silvio Berlusconi al processo "Ruby"

Signor Presidente

Signore del Collegio

Come sapete questo processo si basa su due punti fondamentali: la mia telefonata della notte fra il 27 ed il 28 maggio 2010 alla questura di Milano e i miei rapporti con Karima El Mahroug detta Ruby.

In realtà l’erroneo e pretestuoso filo conduttore di entrambi i capi di imputazione è rappresentato dalle serate che si sono svolte nella mia casa di Arcore: secondo l’accusa avrei telefonato in Questura per evitare che si conoscesse il contenuto di tali serate.

Cominciamo quindi dalle serate.

Si è molto favoleggiato ed ironizzato su queste serate, con evidenti intenti diffamatori e  con una intrusione nella vita privata di un cittadino che davvero non ha precedenti.

Voi ascolterete i testimoni e comprenderete qual’ era davvero la realtà.

Le cene si svolgevano in una grande sala da pranzo, un grande tavolo accoglieva tutti gli ospiti insieme, io al centro della tavolata monopolizzavo la conversazione parlando di tutto: di politica, di sport, di cinema, di televisione, di gossip e mi divertivo confezionando battute e cantando, a richiesta, le canzoni del mio repertorio giovanile e quelle scritte da me in collaborazione con Mariano Apicella.

Apicella si esibiva col suo fantastico repertorio di canzoni napoletane così come il maestro Danilo Mariani che suonava e cantava quasi sempre accompagnato dalla moglie, anch’essa cantante professionista.

Di volta in volta intervenivano alle cene altri cantanti ed altri strumentisti.

Dopo la cena alcune volte le mie ospiti organizzavano nel teatro della residenza degli spettacoli con musica e costumi, spettacoli che non avevano alcunché di volgare e scandaloso. E a proposito della dizione “Bunga Bunga” questa espressione nasce da una vecchia battuta che ho ripetuto più volte prima dei fatti contestati ed è stata riportata doviziosamente dalla stampa.

Altre volte nella discoteca che era stata dei miei figli si ballava (io però non ho mai partecipato ad alcun ballo) ed accadeva quello che si può vedere in qualsiasi locale aperto al pubblico di ogni età.

Posso quindi escludere con assoluta tranquillità che si siano mai svolte scene di tipo sessuale imbarazzanti. Tutto tra l’altro avveniva alla presenza di camerieri, musicisti, personale di sicurezza, ospiti di una sola serata e, a volte, con l’intervento di miei figli, che venivano a salutarmi.

E’ quindi evidente che non avevo alcun interesse a chiedere alla Questura comportamenti diversi da quelli previsti dalla legge. Di tanto che non ho svolto mai alcuna pressione nei confronti del funzionario della Questura che ho avuto al telefono, al quale come da lui stesso affermato, mi sono limitato a dare e a chiedere una semplice informazione.

Ma al di là dei dati oggettivi processuali vi è una considerazione preliminare che è assorbente. Ipotizzare che volessi mantenere segreto lo svolgimento di quelle serate è palesemente risibile.

Basta leggere i giornali antecedenti al 27 maggio 2010 per comprendere come la mia vita privata sia sempre stata oggetto di una spasmodica e quasi maniacale attenzione mediatica.

Già tutto si era letto delle mie serate a Roma, delle cene a Villa Certosa in Sardegna e nelle mie altre residenze, Arcore compresa, con pubblicazione addirittura di libri, con la illegittima pubblicazione di intercettazioni ambientali, di intercettazioni telefoniche, di reportage fotografici sottratti alla mia privacy.

Voglio anche ricordare che di fronte ai cancelli di tutte le mie residenze stazionavano permanentemente, oltre al presidio dei Carabinieri,  frotte di fotografi e cameramen, giorno e notte.

Su queste cene dunque, sulle mie frequentazioni, sui miei ospiti, si è parlato, scritto e disquisito largamente.

Tutto ciò era già accaduto nel periodo anteriore al 27 maggio 2010,  periodo durante il quale ho ricevuto, nella massima trasparenza e senza alcuna segretezza ospiti nelle mie residenze.

Parimenti nel periodo successivo e anche dopo che era emerso sui giornali il cosiddetto caso “Ruby”, io ho continuato a condurre come al solito la mia vita di relazione.

Tanto ero tranquillo del contenuto di queste serate che

mai ho disposto controlli o perquisizioni sui miei ospiti.

Mai ho chiesto ai miei ospiti di consegnare i telefonini per evitare registrazioni o fotografie, perché nulla di men che lecito o di irriferibile poteva accadere.

Mai ho chiesto ai miei ospiti di tenere riservati gli accadimenti delle serate perché non c’era nulla che potesse preoccuparmi e le stesse serate costituivano soltanto dei momenti di svago conviviale dopo intere di settimane di lavoro.

Ecco perché è fuori da ogni logica e da ogni ragionevolezza collegare la mia telefonata del 27 Maggio in Questura al timore che Ruby potesse raccontare qualcosa di segreto, o di scandaloso su queste serate.

E del resto se avessi avuto questa preoccupazione mi sarei attivato anche la settimana successiva al 27 maggio quando ebbi notizia che Ruby stesse ancora per essere affidata ad una comunità-famiglia di Genova.

- o - o -

Voglio innanzitutto ricordare, nei limiti del possibile, come ho conosciuto Karima El Mahroug cioè Ruby.

 Qualche mese prima dei fatti accaduti il 27 maggio Ruby era intervenuta ad una cena presso la mia residenza in Arcore.

Non ricordo con chi venne questa prima volta, forse con Lele Mora. E’ da tener presente che proprio perché durante queste serate amicali non avevo nulla da nascondere, accadeva spesso che i miei ospiti si facessero accompagnare da qualche amico o amica con un semplice preavviso telefonico alla mia segreteria.

In quell’occasione Ruby attirò su di sè l’interesse e l’attenzione di tutti i commensali raccontando la sua storia.

Ci disse di essere di nazionalità egiziana, figlia di una famosa cantante anch’essa egiziana appartenente ad una importante famiglia imparentata col Presidente Moubarak.

Ci fece vedere un video con questa cantante che effettivamente aveva qualche somiglianza con lei.

Tali circostanze Ruby le ribadì sempre anche nelle serate successive.

Ci raccontò di essere stata buttata fuori casa dal padre che l’aveva anche picchiata, ci fece vedere una vasta cicatrice sulla testa procuratale dal padre con un getto di olio bollente, il tutto ci disse a causa della sua decisione di convertirsi alla religione cattolica.

Ci narrò di molte sue tristi peripezie e infine ci raccontò di essere arrivata a Milano un mese prima e di essere stata ospitata da un’amica.

Una sera questa amica, dopo un litigio, le fece trovare la porta chiusa con le sue valigie fuori dalla porta.

Ci raccontò di essere uscita sulla strada e di essere rimasta seduta a piangere sulle sue valigie sotto la pioggia, per tre ore, essendo senza un soldo e non sapendo che fare.

Finalmente un taxi si fermò, il conducente ne discese e le chiese se avesse bisogno di aiuto. Lei piangendo gli raccontò di non sapere dove andare a dormire e di essere senza soldi. Lui si commosse e la portò a casa sua, comportandosi da vero gentiluomo. Nei giorni seguenti le trovò un lavoro da cameriera nel ristorante di un suo conoscente.

Lei iniziò a lavorare in questo ristorante ma il proprietario non le dava pace, la tormentava e voleva avere rapporti intimi con lei.

Questa era la storia che lei ci rappresentò piangendo e facendo commuovere molti tra i miei ospiti.

Le offrii subito un aiuto economico per il suo sostentamento e per cercarsi una casa in locazione e le assicurai di poter contare sul mio interessamento e sul mio aiuto.

Fece conoscenza con alcune delle mie ospiti ed in seguito intervenne con loro ad altre cene a casa mia.

Durante una di queste occasioni mi raccontò di avere l’opportunità di entrare come socia in un “centro estetico” di una sua amica, in via della Spiga a Milano. Mi mostrò un lungo elenco di laser e di altre apparecchiature che le avrebbero consentito di diventare socia della sua amica al 50%.

Il costo di quelle apparecchiature era di 57.000 euro. Mi chiese se potevo farle un prestito assicurandomi che con gli utili della sua attività mi avrebbe reso l’intera somma. Io la inviai dal mio amministratore che le consegnò quanto richiesto. Lo feci convinto che questo fosse proprio il mezzo per consentirle una vita decorosa senza dover subire accadimenti quali quelli da lei narrati.

Proprio il contrario di quello di cui vengo paradossalmente accusato.

Desidero anche ricordare che tutti avevamo l’assoluto convincimento che Ruby fosse maggiorenne, sia perché lei aveva detto a tutti di avere 24 anni, sia per il suo modo di esprimersi proprio di una ragazza matura, sia per il suo aspetto fisico che non corrispondeva assolutamente a quello di una minorenne, sia perché mai avrei pensato che una minorenne potesse intraprendere una attività come quella che le avevo finanziato.

Inutile dire che non ho avuto alcun tipo di rapporto intimo con lei e che, durante la sua permanenza alle cene, non vi sono mai stati accadimenti di natura men che lecita.

E’ anche per questo che qualsiasi ricostruzione tesa a ipotizzare che successivamente avrei offerto del denaro a Ruby perché non raccontasse cosa fosse accaduto durante quelle serate, è palesemente priva di fondamento.

Come risulta dagli atti, Ruby infatti aveva già reso amplissime dichiarazioni di totale e pura fantasia, alcune delle quali certamente a me non favorevoli, quantomeno sotto l’aspetto mediatico. Debbo quindi ritenere che quando Ruby in qualche conversazione telefonica aveva fatto riferimento a somme di denaro che pensava di poter ottenere da me si trattasse di sue fantasie prive di qualsiasi aggancio fattuale o verosimilmente di propositi che qualcuno potrebbe averle suggerito per ottenere dei vantaggi economici e magari per trattenere per sé una parte di questi vantaggi.

L’unico timore che io avrei quindi potuto avere in questa vicenda non è già che Ruby raccontasse il vero, ma che Ruby o chi per lei si inventasse cose non vere, che sarebbero state certamente utilizzate contro di me.

Ripetendomi, posso confermare ancora una volta che mai ho avuto rapporti intimi di qualsiasi tipo con Ruby, della cui minore età comunque non ero assolutamente a conoscenza, essendo anzi convinto che avesse 24 anni, così come da lei stessa dichiarato. E ancora, che mai ho avuto preoccupazione alcuna che si potessero inventare e narrare da parte dei miei ospiti degli accadimenti indecenti occorsi durante le serate che si svolgevano presso la mia abitazione.                     

Venendo ai fatti del 27 maggio 2010 cercherò nel limite dei miei ricordi, di offrirvi elementi utili per la ricostruzione dell’accaduto anche se obiettivamente si trattava di un episodio marginale rispetto alle mie molteplici incombenze e attività da Presidente del Consiglio.

Debbo ricordare innanzitutto che quel giorno, il 27 maggio appunto, presiedetti a Parigi una importante riunione dell’OCSE cui partecipavano oltre cinquanta Stati.

Ero partito quella stessa mattina da Roma con l’On. Valentino Valentini, con i miei consiglieri diplomatici e con il personale addetto alla mia sicurezza.

Nel corso della serata ricevetti alcune chiamate riguardanti la vicenda oggetto di questo processo. Il cellulare a cui pervennero queste chiamate era in possesso del mio capo scorta o del mio staff.

Dagli atti del processo ho poi rilevato che il telefonino aveva ricevuto una chiamata da tale Michelle Conceicao. Io non ricordo di aver mai parlato con questa Conceicao.

Ricordo invece la telefonata della Signora Miriam Loddo che mi comunicava che Ruby, le aveva telefonato in lacrime per dirle che si trovava alla Questura di Milano dove era stata accompagnata e trattenuta perché accusata di un furto e trovata sprovvista di documenti.

A questo punto è opportuno specificare la ragione per la quale quando l’on. Valentini, avendo ascoltato la telefonata con la Loddo mi chiese se volevo che contattasse la Questura di Milano. Risposi affermativamente poiché ritenevo, oltre alla mia propensione ad aiutare una persona in difficoltà, che da quella circostanza sarebbero potute derivare delle implicazioni diplomatiche negative.

Ma la vicenda va contestualizzata nel periodo in cui effettivamente accadde.

Come immagino ricorderete nella prima parte del 2010 era accaduto un grave incidente internazionale fra la Confederazione Elvetica e la Libia, incidente che aveva attirato l’attenzione di tutta la stampa occidentale.

Uno dei figli di Gheddafi, Hannibal, a seguito di una denuncia per violenze, era stato arrestato in Svizzera.

Il leader libico, per ritorsione, aveva congelato tutte le attività svizzere in Libia, aveva ritirato il visto a tutti i cittadini svizzeri e aveva trattenuto per ritorsione sul proprio territorio dei cittadini elvetici cui venne impedito di ripartire.

Ebbene il giorno 27 marzo 2010 si tenne a Sirte il vertice della Lega Araba a cui fui invitato come ospite d’onore.

In quella circostanza, dopo una lunga trattativa con Gheddafi, conseguii un rilevante successo ottenendo la revoca dei provvedimenti contro i cittadini svizzeri in tema di visti.

Non ero riuscito invece a risolvere il divieto di rientro in patria di due uomini di affari svizzeri.

Mi occupavo di queste situazioni perché la Confederazione Svizzera, al corrente dei miei rapporti con la Libia, mi aveva chiesto se potevo intervenire sul Colonnello Gheddafi al fine di ottenere la loro liberazione. Lo feci con diversi interventi nei mesi successivi e, finalmente il 13 giugno del 2010, sedici giorni dopo il 27  Maggio, riuscii a risolvere il problema di cui mi ero interessato quasi quotidianamente.

Il 13 giugno 2010 infatti, si svolse a Tripoli un summit dell’Unione Africana a cui parteciparono i vertici dell’Unione Europea e i leaders di alcuni Stati europei.

Gheddafi volle pranzare da solo con me in una sala riservata e durante il pranzo, nonostante le mie insistenze, mi confermò che l’ultimo uomo d’affari svizzero trattenuto in Libia Max Goldi sarebbe stato trattenuto ancora in Libia in seguito alla sua condanna a quattro mesi di carcere.

Alla fine del pranzo chiesi a Gheddafi quale sarebbe stato il menù per la cena. Mi guardò stupito e io gli comunicai che sarei rimasto in Libia suo ospite fino a quando non avesse rilasciato anche l’ultimo cittadino svizzero. Rise di questa mia insistenza, sembrò non prendere sul serio la mia minaccia e mi ricordò ancora che questo signore doveva attendere il risultato del ricorso presso l’Alta Corte di appello. Io non mi detti per vinto e continuai a confermargli che comunque sarei rimasto come suo ospite. Se ne andò scuotendo la testa ma ridendo.

Qualche ora più tardi mi fece comunicare dal suo segretario particolare che Max Goldi era stato messo su un aereo per la Svizzera perché, testuale, “la Libia non poteva permettersi il lusso di mantenere, oltre a lui, anche il Presidente italiano”.

Per inciso, quella stessa sera, portai a termine anche un'altra mediazione con Gheddafi, e ottenni il rilascio di tre pescherecci di Mazara del Vallo sequestrati qualche giorno prima dalle Autorità libiche nelle loro acque territoriali.

L’incidente internazionale originato dall’arresto del figlio di Gheddafi mi aveva quindi occupato a lungo e quando mi fu comunicato  che Ruby, per quanto a mia conoscenza, egiziana e parente di Moubarak si trovava trattenuta in questura, mi venne spontaneo paragonare questa circostanza proprio alla vicenda del figlio di Gheddafi e immaginai subito che tale situazione avrebbe potuto creare un incidente diplomatico con Moubarak essendo appunto io convinto che Ruby facesse parte della sua famiglia.

Infatti nel corso del vertice Italo-Egiziano che si era tenuto otto giorni prima del 27 maggio cioè il 19 maggio 2010, a Villa Madama, durante il pranzo, terminata la parte ufficiale dei negoziati avevo chiesto notizie di questa Ruby allo stesso Presidente Moubarak raccontandogli di come l’avevo conosciuta e della sua storia, convinto com’ero che fosse una sua parente.

Alla mia domanda se conoscesse la madre di Ruby la risposta fu affermativa e mi disse che si trattava di una famosa cantante che effettivamente faceva parte della sua cerchia famigliare ma che non era a conoscenza del fatto che avesse una figlia messa fuori casa per problemi di religione.

L’argomento “Ruby” occupò la conversazione, di fronte ai molti commensali, per diverso tempo. Moubarak mi assicurò alla fine che si sarebbe informato e che mi avrebbe fatto sapere. Rimasi quindi nel convincimento che Ruby potesse avere davvero un legame parentale con il Presidente egiziano.

Per questo, quando l’on. Valentini la sera di otto giorno dopo a Parigi,  mi chiese se fosse il caso di assumere informazioni presso la Questura, gli risposi affermativamente.

Come ho già ricordato, mi venne spontaneo paragonare la circostanza del fatto che Ruby fosse trattenuta in Questura proprio con la vicenda di cui mi stavo occupando, del figlio di Gheddafi trattenendo in Questura daghi svizzeri.  Immaginai subito che tale situazione avrebbe potuto creare un incidente diplomatico con Moubarak che avrebbe potuto dirmi:  “Ma come, tu, Presidente del Consiglio italiano, mi hai parlato di questa ragazza come di una mia parente e permetti che questa mia parente sia oltraggiata in casa tua, nel tuo Paese?!”

Moubarak non era certo Gheddafi ma era pur sempre un autocrate cui sarebbe stato difficile comprendere che un Premier, che gli aveva egli stesso parlato di questa persona descrivendola come sua parente, avesse potuto permettere uno sgarbo, un’offesa così grande ad un caro amico e collega.

Tornando alla notte del 27 maggio parlai con Nicole Minetti che già aveva saputo da un’amica di quanto stava accadendo a Ruby e che quindi confermò quanto dettomi poco prima dalla Loddo.

Poiché mi era stato riferito che si trattava anche di un problema di identificazione, essendo la ragazza sprovvista di documenti, ritenni utile chiedere alla Minetti che aveva conosciuto bene Ruby da me, di recarsi in Questura per agevolare tale identificazione.

La decisione quindi di contattare la questura, come ho già ricordato, fu suggerita dall’on. Valentini prima e poi dal capo scorta Ettore Estorelli, il quale ci disse che avrebbe potuto assumere informazioni tramite un funzionario con cui si rapportava per i nostri spostamenti.

Io non sapevo neppure chi fosse questo funzionario né che ruolo ricoprisse nella Questura di Milano, ma ero interessato a sapere se effettivamente vi fosse un problema per l’identificazione della ragazza.

Il mio capo scorta chiamò questo funzionario, il dottor Ostuni, mi passò il telefono e la mia conversazione con lui fu estremamente breve.

Mi limitai a chiedergli se poteva confermare o meno che vi fossero problemi per l’identificazione di una giovane di nome Ruby di cittadinanza egiziana,  e gli dissi che mi risultava che questa giovane potesse avere rapporti di parentela con il presidente Moubarak.

Gli riferii che per agevolare le operazioni di identificazione avevo chiesto al consigliere regionale Nicole Minetti che, ripeto, aveva personalmente conosciuto presso la mia residenza la stessa Ruby, di recarsi presso la Questura.

Mi sembrò una scelta logica, opportuna e doverosa proprio per evitare, ripeto, un potenziale incidente diplomatico.

Non dissi altro e non chiesi in alcun modo al dr. Ostuni di intervenire sulle procedure, né avrei potuto farlo perché non ero a conoscenza di cosa realmente stesse accadendo in Questura

Dopo queste telefonate decollammo da Parigi e quando atterrammo a Roma, senza che vi fossero stati altri ulteriori contatti telefonici, Estorelli chiamò Ostuni che gli disse che era in corso l’identificazione della ragazza ma che la situazione era in via di risoluzione. A questo punto io non feci null’altro. Qualche tempo dopo Nicole Minetti, mi chiamò per mettermi al corrente della situazione in Questura.  Mi raccontò che Ruby era stata identificata e che era risultata non essere egiziana bensì di nazionalità marocchina e per di più minorenne. La notizia mi lasciò di stucco e mi resi finalmente conto che Ruby aveva mentito e si era costruita una seconda diversa identità in sostituzione della sua condizione reale.

Di conseguenza ritenni di non dovermi più interessare di lei, ma quanto al possibile incidente diplomatico, tirai un bel sospiro di sollievo.

Per concludere l’episodio: la mia telefonata in Questura fu solo di natura conoscitiva tesa unicamente a dare e ad ottenere una informazione e la prova ne è che non ritenni di dover chiamare i responsabili istituzionali e cioè né il Questore né il Prefetto, come sarebbe stato evidentemente agevole e naturale per il Presidente del Consiglio.

Così come non avevo ritenuto di chiamare il nostro Ministro degli Esteri o l’Ambasciatore Egiziano prima di aver accertato quale fosse la situazione. E’ ovvio che allertare i canali diplomatici senza una previa verifica avrebbe potuto creare di per sé un inutile incidente.

Debbo altresì ricordare che io non avevo affatto chiesto che la ragazza venisse affidata alla Minetti, essendomi limitato a chiedere alla stessa Minetti di recarsi in Questura unicamente per agevolare l’identificazione della ragazza.

Il suo affido ad una comunità-famiglia mi era del tutto indifferente e, quando una settimana dopo Ruby fu fermata nuovamente dalla polizia e affidata ad una comunità-famiglia di Genova, non ritenni in alcun modo di intervenire al riguardo.

Successivamente a tali fatti io non mi sono più occupato delle vicende della ragazza. Ho saputo però che il mio amministratore rag. Spinelli le consegnò successivamente, a seguito di continue e reiterate insistenze, una somma di qualche migliaio di euro.

Voglio infine ribadire che i miei rapporti con le ospiti alle mie cene erano basati sulla simpatia, sul cameratismo, sull’amicizia e  sul rispetto e che non c’è mai stata alcuna dazione di denaro per ottenere rapporti intimi. Devo anche affermare con forza che nessuna delle mie ospiti poteva essere classificata, per quanto a mia conoscenza, come “escort” come invece poi è accaduto sui media nazionali ed internazionali.

Questo procedimento penale ha causato davvero dei danni assoluti all’immagine e alla vita di queste ragazze che oggi hanno difficoltà a trovarsi un fidanzato, un lavoro, una casa in affitto.

E questa è la parte più dolorosa di questo processo che si è trasformato in una mostruosa operazione di diffamazione internazionale per me e per le mie ospiti.

In realtà sempre (e fortunatamente) la mia capacità economica mi ha consentito di aiutare che si trova in difficoltà. Da quando è iniziata questa operazione diffamatoria ho ritenuto di dover aiutare anche molte di queste ragazze, poiché , lo ripeto, hanno avuto la vita e la carriera lavorativa rovinata dall’impatto mediatico di questa indagine.

Per concludere: avrei qui preferito rendere interrogatorio anziché dichiarazioni spontanee.

Ma la storia di questi vent’anni di accuse che la Procura di Milano ha di continuo portato avanti nei miei confronti non mi consente di seguire questa via.

Sono infatti disponibile a farmi interrogare da chi ponga domande essendo davvero e senza pregiudizi personali o politici interessato alle mie risposte.

Si legge perfino su alcuni giornali avversi alla mia parte politica che questo Tribunale avrebbe già deciso per la mia condanna e questo renderebbe ovviamente inutile qualsiasi mia dichiarazione.

Io non voglio credere che sia così e spero che queste illazioni siano smentite dai fatti.

Se in un paese non ci fosse più la certezza dell’imparzialità dei giudici, questo Paese sarebbe un Paese incivile, barbaro, invivibile e non sarebbe nemmeno più una vera democrazia.

Io credo invece che in Italia, il mio paese, il paese che amo, il paese che tutti noi amiamo, debba esserci ancora e sempre la certezza sulla imparzialità dei giudici. Ed è per questo che contro il parere di molti ho deciso di rilasciare queste “dichiarazioni spontanee” illustrando i fatti nella loro concreta realtà.

Vi ringrazio.

mercoledì 10 luglio 2013

Assalto giudiziario al Cav. Il Giornale

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Persecuzione giudiziaria del Cav

giovedì 4 luglio 2013

Campagna tedesca. Davide Giacalone

C’è un problema tedesco. Ignorarlo è pericoloso. Non esiste Unione europea senza la Francia, senza l’Italia o senza la Germania. Ma neanche esiste se uno di questi paesi pensa di dominarla. Il che, oggi, è possibile solo per la Germania. Chi si vuol dare arie di conoscitore delle vicende continentali ripete che il vento potrà cambiare solo dopo le elezioni tedesche, dando per assodato che in quelle non si entra, essendo faccenda interna, e che saranno decise mentendo ai tedeschi, circa il futuro d’Europa. E’ convinzione diffusa, ma errata. Si deve parlarne prima, anche intervenendo nel loro dibattito politico. I progetti espansionistici che la signora Merkel ha in mente, anche mediante l’uso della KfW, non sono tema germano-tedesco, ma europeo.

Per capire non ci sono ostacoli tecnici: la KfW (Kreditanstalt für Wiederaufbau) è una banca pubblica, nata per amministrare i fondi del piano Marshall, dopo la seconda guerra mondiale (quindi anche per “combattere” la guerra fredda) ed era una via di mezzo fra la nostra Cassa depositi e prestiti e il nostro Iri (Istituto ricostruzione industriale, come quello era credito per la ricostruzione). Oggi ha aggiunto Bankengruppe, a indicare la sua non contingente vocazione. Una banca interamente pubblica (80% Stato federale e 20% Länder, gli stati regionali), che, però, non rientra nel perimetro del bilancio pubblico. E questo è un artificio contabile, che dovrebbe valere per tutti o per nessuno. Dice la signora Merkel: visto che ci sono paesi in difficoltà, come Spagna, Portogallo e Grecia, stiamo lavorando per intervenire con la KfW. Sembra bontà, in realtà è imperialismo continentale.

Succede, infatti, che restando fuori dal bilancio pubblico la KfW nasconde le proprie perdite e mimetizza gli aiuti di Stato alle imprese tedesche (si veda, ad esempio, il settore dell’ambiente). Cooperando con le Landesbank, possedute da quei Länder che controllano il 20% di KfW, organizzano finanziamenti fuori mercato, destinati a consentire ai soggetti economici tedeschi di battere la concorrenza altrui (come è avvenuto anche ai danni del tessile italiano). La forza di queste istituzioni bancarie consisteva nell’avere alle spalle lo Stato, oggi consiste anche nel procurarsi denaro, sui mercati internazionali, a tasso negativo. Gratis. Il loro progetto è prendere quel denaro e investirlo acquistando ricchezza esistente o prodotta da altri paesi europei, i quali sono costretti a vendere o accettare aiuti, proprio perché il mercato della liquidità pratica loro tassi troppo alti. Ma quei tassi sono alti a causa del modo in cui funziona l’euro. Detto in parole povere: i tedeschi indeboliscono gli altri europei tenendo ferma la politica monetaria e poi li aiutano entrando nella loro economia, quindi spostando ricchezza verso il loro sistema. Messa così non salta solo l’euro, salta tutta l’Unione.

E’ necessario ripeterlo ancora, perché in materia gli equivoci si sprecano: i tedeschi hanno il merito di avere fatto riforme strutturali, anche nel mercato del lavoro, che gli altri non hanno fatto. Ma ora usano la loro forza per creare un impero della slealtà. E visto che ieri discutevano di disoccupazione è bene ricordare quanto annunciato dalla Merkel: faremo politiche per attirare manodopera specializzata in Germania, naturalmente privilegiando i nostri cittadini. Sembra l’ovvio delle leggi di mercato, e degli interessi nazionali, ma è la via che porta ad un’Europa germanocentrica. Con il centro che si arricchisce ai danni della periferia. Il tutto mentre si contesta l’operato della Banca centrale europea, non escludendo che giudici tedeschi la condannino a recedere. Tradotto: meno Europa per più Germania.

Non solo: Enrico Letta esulta perché la Commissione europea consentirà maggiori margini alla spesa di chi ha praticato la lesina. Ma (posto che i particolari sono decisivi e sono rinviati) se lo sfondo non cambia questo porta a squilibri di bilancio che a loro volta costeranno in termini di remunerazione del debito, vale a dire che la posizione della Germania si rafforza sempre di più. Posto che noi siamo dei pazzi a non abbattere il debito con dismissioni e a non tagliare e riqualificare la spesa pubblica, è da doppiamente matti non accorgersi di dove portano quelle premesse. Qui esultano tutti. Il Pdl canta vittoria. Il Pd socialità. Il trionfo della superficialità.

Il guaio, serio, è che la signora Merkel è una statista con in mente il sogno della grande Germania, mentre gli altri sono governanti con in mente la voglia di sopravvivere alle loro idee morte e alla loro incapacità riformatrice. Avessero spina dorsale interverrebbero nella campagna elettorale, per avvertire i fratelli tedeschi di cosa sta preparando il loro governo.

Pubblicato da Libero

martedì 2 luglio 2013

E ci tocca pure difendere la Santanchè. Dino Cofrancesco


Se avessi avuto una qualche voce in capitolo come dirigente, iscritto, elettore ‘di riguardo’ del PDL, non avrei mai votato per la candidatura di Daniela Santanché alla vicepresidenza della Camera. Non ho nulla contro la ‘pitonessa’ (oltretutto, ancora una gran bella donna) ma non mi piace il suo stile aggressivo, la sua spregiudicata franchezza fatta volteggiare come una scimitarra, le sue posizioni da ‘falco’ in un contesto politico-parlamentare che richiede molta prudenza e nervi saldi.
 
E tuttavia le riserve avanzate nei confronti della sua elezione rappresentano, a mio avviso, il nadir toccato in Italia dall’assoluta assenza di senso dello Stato e dalla persistente, inquietante, mancanza di rispetto delle istituzioni. Un’autentica vergogna, se si pensa che, grazie alle strategie di Pierluigi Bersani (che passerà alla storia come l’Attila del postcomunismo italico – con la differenza, però, che Attila conquistò un impero mentre lui ridusse in pezzi quel che ne restava –, i parlamentari hanno portato alla Presidenza della Camera un’esponente di SEL, come Laura Boldrini (altra gran bella donna) la cui ‘mente’ non si differenzia molto da quella del ‘compianto’ Carlo Giuliani, il giovane antagonista che, nel G8 di Genova, ci rimise le penne mentre dava l’assalto, con un estintore, a una camionetta di agenti dell’ordine; e alla Presidenza del Senato, uno come Pietro Grasso che delle qualità attribuite dal Segretario fiorentino al grande politico, «la golpe e il lione», sembra possedere solo la prima. Inoltre i parlamentari del PD, ai quali ripugna la Santanché, hanno eletto come capogruppo al Senato Luigi Zanda, forse uno degli uomini più faziosi (irritanti e ideologicamente ottusi) in circolazione nel nostro paese.
 
Quel che è peggio, tuttavia, a parte gli eletti e gli aspiranti, è la cecità mostrata dalla (attuale) sinistra e dai suoi giornali per quel che riguarda le ‘esternazioni’ di cariche istituzionali che pur avendo, per legge, solo il compito di regolare il ‘traffico’ delle due Camere, non rinunciano a dire la loro sui massimi problemi di politica interna e internazionale. In nessuna democrazia del mondo occidentale si sono visti gli speaker della Camera (di cui forse, nella maggior parte dei paesi, si ignora persino il nome) così presenti sui teleschermi e così pronti a pronunciarsi sull’economia di mercato, sulla politica dell’immigrazione, sulle riforme istituzionali, sulle coppie di fatto etc. E’ come se i vigili urbani si trasformassero improvvisamente in opinion maker con diritto a intervenire e di dare consigli non solo sulle zone pedonali e sui semafori ma altresì sull’urbanistica, sulla politica dei trasporti, sulle fonti energetiche, sui ‘modelli di sviluppo’. Si tratta di un’anomalia, per la verità, che trovò in Gianfranco Fini la sua espressione più sconcertante e che, trattandosi di un ‘rinnegato’ dal Cavaliere, incontrò il plauso di tutta l’opposizione di centro-sinistra – un episodio che fa pensare ai preti progressisti, alla don Andrea Gallo, che possono contare sugli applausi a scena aperta delle platee progressiste ma che non riescono a portare a Dio neppure una sola di quelle ‘anime belle’ (che poi sarebbe la loro missione o no?) da cui vengono tanto osannati.
 
Non potendo disporre dei soldi e delle televisioni di Berlusconi, Fini pensò bene di utilizzare la sua carica istituzionale di Presidente della Camera facendo di Montecitorio il contraltare del vicino Palazzo Chigi (v. il saggio di Paolo Armaroli, Gianfranco Fini e il suo doppio, Ed. Pagliai 2013). Fu lo zenit di quell’uso privatistico delle istituzioni da sempre presente nel dna di destra e sinistra e che ancora oggi porta molti intellettuali militanti a giustificare la colonizzazione politica della RAI con l’argomento no comment: se un partito e uno schieramento politico e culturale non hanno le ingenti risorse massmediatiche di Mediaset, è giusto che compensino la loro inferiorità piazzando i loro uomini negli studi e nei palinsesti del servizio pubblico. Già, del ‘servizio pubblico’, che non importa se diventa poi ‘servizio privato’ di un settore parlamentare (obbligando quindi il contribuente a sostenerne le perdite, pur se appartenente a una diversa area elettorale), dal momento che si tratta di compensare le ingiuste ripartizioni dei beni di questo mondo operate dalla dea Fortuna (che, come si sa, per definizione, è ‘cieca’). In base a questa forma mentis, se papà non mi lascia uno yacht, una volta divenuto assessore, me lo procuro mettendolo sul bilancio della Regione – stava per accadere anche questo in una zona ‘virtuosa’ dello stivale.
 
(Poiché la madre dei cretini è sempre gravida, non vorrei essere equivocato: non sto sostenendo che il controllo privato di tre canali televisivi non ponga il loro proprietario in una posizione privilegiata; sostengo, invece, che non si rimedia a tale ennesima anomalia italiana, dando in consegna istituzioni che sono di tutti a una sola parte ma favorendo il pluralismo dell’informazione nei modi consentiti da una autentica economia di mercato e dalla rete dei diritti che tutelano le iniziative e le libertà dei cittadini).
 
Alla luce di queste considerazioni, si capisce bene l’ostilità per la Santanché. E se, divenuta vicepresidente della Camera, si mettesse anche lei a ‘esternare’, a ‘dire la sua’ sul programma di governo di Letta, sulle sentenze del Tribunale di Milano (Tempio dell’Imparzialità e dell’Esemplare Amministrazione della Giustizia), sul Monte dei Paschi di Siena? Siamo alle solite, nel nostro paese, non sono le ‘forme’ oggetto di venerazione e tabernacolo dei ‘valori comuni’, bensì i ‘contenuti’. Una scrittrice d’avanguardia poteva definire, anni fa, Condoleezza Rice «una scimmietta nera ammaestrata» senza far vergognare nessun ‘compagno’ giacché, al di là del linguaggio politicamente scorretto, il segretario di Stato di Georg H. W. Bush era ‘oggettivamente’ al servizio del capitalismo imperialista statunitense. Stiamo a sottilizzare sulle forme (linguistiche) quando ci troviamo dinanzi a ‘contenuti’ (etici, politici, sociali) massicci come l’Everest?
 
Un conto è quello che dice la Boldrini nelle tantissime cerimonie pubbliche nelle quali è chiamata a far da madrina, un conto ben diverso è quello che potrebbe dire la Santanché: l’esternazione, come la libertà di parola, è sacra solo se se ne fa buon uso. Intelligenti pauca, sia detto a quei quattro gatti liberali che si ostinano a pensare che l’ombra dei principi possa mettere tutti (amici e nemici) al riparo dalle calure soffocanti nei conflitti politici che continuano a lacerare la nostra povera Italia alla deriva.
 
(LSBlog)

giovedì 27 giugno 2013

Sotto lo scudo. Davide Giacalone

Viaggiamo dritti verso la sottomissione alla tutela della Banca centrale europea e al Fondo monetario internazionale. Sarebbe stato saggio negoziare lo scudo e avrebbe dovuto farlo il governo Monti. Adesso ci arriviamo, ma nel modo meno opportuno. Ancora una volta sarà utilizzato il vincolo esterno come unica arma capace di smuovere l’ebete immobilismo interno. E ciò, prima ancora che sconveniente, è umiliante.

Sarà bene non sottovalutare la sceneggiata dell’Iva, anche perché l’hanno vista in mondovisione. La destra chiede che sia cancellato il punto in più, previsto a partire dal primo luglio. La sinistra afferma che quell’aumento sarebbe un suicidio dei consumi, già declinanti. Le opposizioni si oppongono all’aumento, quindi convergono con la maggioranza nel reclamarne il blocco. Insomma: non se ne trova uno che sostenga l’opportunità di quell’aumento. Eppure non ci si riesce. Al massimo, e solo per evitare crisi politiche, ci s’approssima a un rinvio di tre mesi, il cui solo significato è: siamo già in coma, già inerti, già incapaci di agire.

Dovendo coprire tre mesi di mancato gettito aggiuntivo Iva, che poi non sarebbe stato né gettito né aggiuntivo, perché se la gente compra e fattura meno l’Iva cala comunque, ma dovendo onorare un’ipotetica iscrizione a bilancio, la fantasia governativa si rivolge verso la sollecitazione di altro gettito. Vuoi da accise (alcool) o altri balzelli. Far calare le tasse alzando le tasse, questa la ricetta miracolosa. Ricorda Sigmund Freud quando sosteneva che la cocaina è ottima per disintossicare i dipendenti da morfina o eroina. Poi s’accorse che si diventava dipendenti da cocaina. Curare la droga con la droga e le tasse con le tasse.

Perché andiamo dritti verso lo scudo, senza più forza per negoziarlo decentemente? Perché basiamo i conti su numeri che già sappiamo essere fasulli. Sia il calcolo del deficit 2013 che quello relativo al 2014 si riferiscono a ipotesi di pil decisamente più rosee della realtà. Questo significa che forse sforiamo già quest’anno, mentre per il prossimo non sarà disponibile il tesoretto su cui il governo contava. Recessione chiama recessione, dunque, con il debito che cresce in valore assoluto e relativo, cresce anche il suo costo che, spinto anche dal rinculo di liquidità previsto sui mercati globali, a sua volta, pesa sul deficit. Siamo una famiglia che spende più di quel che guadagna, ma non acquista nulla di nuovo. Una famiglia con costi fissi troppo alti e una banda di strozzini da foraggiare. Che fa una famiglia saggia? Taglia i costi razionalizzando i consumi e taglia il debito vendendo parte di quel che ha. Ma la famiglia Italia ha stabilito che non si può tagliare nulla, perché manco sappiamo come cavolo sono composti i costi fissi (spesa corrente), né si può vendere nulla. E allora? Allora si tassa, cioè si prende a chi produce per dare a chi distrugge.

In tutto questo, però, organizziamo sollazzevoli scontri fra gladiatori che si scannano, inzaccherando il pubblico con straordinari schizzi di sangue, zampillante da squarci inferti con il gladio giudiziario. Ma non muore mai nessuno, da diciannove anni sono sempre gli stessi e il giorno dopo li ritrovi belli freschi, ancora nell’arena. E tutto a spese nostre. Mentre, nel frattempo, sono state effettivamente macellate legioni di cittadini incappati nella malagiustizia, siano essi imputati o parti civili, cui i costi dell’inferno giudiziario e la violenza dei provvedimenti cautelari stroncano la vita. Che per loro è una sola, mica plurima come quella dei gladiatori. E se osano lamentare la follia del sistema li si mette prontamente a tacere: incivile, negatore del diritto, nemico della collettività. O, peggio: berlusconiano. Sono gli stessi chiamati a pagare il conto dell’immobilismo, giacché i veri democratici, la gente con coscienza e istruzione, i dotati di sensibilità etica, sono i primi a sostenere che i governi cascano o durano solo in ragione delle vicende giudiziarie di uno solo, mica a seconda che sappiano governare o meno.

venerdì 21 giugno 2013

Il volto della nostra giustizia

di Valter Vecellio
21 giugno 2013
«Le nazioni hanno il volto della propria giustizia», scriveva Albert Camus, su “Combat” del 5 gennaio 1945. Che volto ha il nostro paese? Che volto mostra, da anni, all’Europa e al mondo, l’Italia? Basterebbe fare una semplice operazione d’archivio: prendere le relazioni in occasione dell’apertura dell’Anno Giudiziario dal 2000 a oggi. Cambiano i Procuratori Generali, ma il contenuto delle relazioni, nell’essenza, dicono sempre le stesse cose, denunciano la stessa, grave situazione… «Le nazioni hanno il volto della propria giustizia…». La Corte europea dei Diritti dell'Uomo ha disposto risarcimenti a persone riconosciute vittime di violazioni per 176 milioni di euro. Di questa rispettabile cifra, circa il 70 per cento (120 milioni di euro), sono a carico dell’Italia. Al secondo posto la Turchia, con 23 milioni: e poi la Russia, con 7 milioni di euro. Si tratta di cifre ufficiali contenute nel “Rapporto del Consiglio d'Europa sull'esecuzione delle sentenze della Corte” (Supervision of the execution of judgments and decisions of the European Court of Human Rights. 6th Annual Report of the Committee of Ministers).

Milioni di euro, e ovviamente chi paga è il contribuente. A causa delle sentenze inapplicate il nostro paese è inoltre nel gruppo di testa dei "sorvegliati speciali" dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. I 120 milioni di euro di indennizzo che l’Italia è condannata a pagare sono la cifra più alta mai pagata da uno dei 47 Stati membri del Consiglio d'Europa. L'Italia resta anche nel 2012 lo Stato membro del Consiglio d'Europa con il più alto numero di sentenze emesse dalla Corte di Strasburgo ancora da eseguire: ben 2.569. Dietro il nostro paese ci sono la Turchia con 1.780 sentenze non eseguite, e la Russia con 1.087. «Le nazioni hanno il volto della propria giustizia…». Il “piano” risale al giugno del 2010; poi è stato rivisto e attualizzato nel 2011, dal Comitato di indirizzo e controllo. Si prevedeva la programmazione di risorse per 675 milioni di euro e la conseguente realizzazione di 11 nuovi istituti (secondi padiglioni per complessivi 9.150 posti detentivi).

“Piano”, a quanto pare, abortito, comunque mai partito. Il CIPE ha tagliato i fondi e rimodulato il piano senza valutare l’urgenza che attiene al trattamento penitenziario. Inoltre sono stati eliminati i finanziamenti per la sopravvivenza degli istituti esistenti. Emblematico quanto denuncia la UIL Penitenziari Sicilia: “Nel 2012 la polizia penitenziaria siciliana ha effettuato 18.230 servizi di traduzione per un totale di 45.064 detenuti tradotti per un costo complessivo che si può prefigurare tra i 4 e i 4,5 milioni di euro”. Una movimentazione di carcerati enorme: più di quattro al giorno, domeniche e feste comprese. “Detenuti tradotti per motivi sanitari 7.566, per permessi con scorta 4.595. Le traduzioni con autoveicoli 17.374, quelle per via aerea 606, per via mare 171, pedonali 87.

I detenuti tradotti classificati comuni o a media sicurezza sono stati 30.398, quelli classificati ad Alta Sicurezza 13.739, i detenuti tradotti e sottoposti al 41-bis, 17, i collaboratori di giustizia o loro familiari 117, gli internati 810”. A fronte di questo colossale via-vai, le unità di polizia penitenziaria impiegate in servizi di scorta sono state 77.168: una media di 1,2 unità di polizia penitenziaria per detenuto tradotto. Non solo: circa l’60 per cento degli automezzi destinati alle traduzioni sono fuori uso, un altro 30 per cento è da considerarsi illegale perché privo dei collaudi di affidabilità o perché quei collaudi non sono stati superati: insomma in tutta la regione su 140 mezzi destinati, ne funzionano solo 50. Appunto: «Le nazioni hanno il volto della propria giustizia…». (l'Opinione)
ArchivioAndrea's Version

21 giugno 2013

I giovani d’oggi che te la menano sul futuro incerto. Con tutti i privilegi che hanno. Cristo santo. Nati troppo tardi per ricordarsi la battaglia di Valle Giulia, i boat people, Giovanna Ralli che vendeva i carciofi con la scollatura fin qui, le serpentine di Lennart Skoglund dopo aver tracannato il suo paio di bourbon, la crisi dei missili a Cuba, le sviolinate a Vittorio Gregotti quando ideò quel cesso di Zen, mentre fischi a Gualtiero Jacopetti, perché non lisciava il pelo per il verso dovuto, e insomma, sono immemori di tutto questi giovani d’oggi, poi chiedi loro se s’interessino a qualcosa, se esista mai un argomento che li appassioni, e scopri che non stanno attenti nemmeno all’evoluzione del pensiero politico di Pippo Civati.

mercoledì 12 giugno 2013

La privacy del (te)Soro. Davide Giacalone

Dubito che dalle parti di Google, Facebook, Amazon, o Apple abbiano perso il sonno alla notizia che il garante della privacy italiano, Antonello Soro, ha deciso di limitare il loro potere. Si saranno domandati: who is iSoro? Non è escluso che convenga domandarcelo anche noi, facendo due conti su quel che costa e a cosa serve l’Autorità che presiede.

In poche parole Soro ha annunciato al Parlamento italiano che non si può andare avanti con i giganti del web che accumulano nostri dati personali, senza neanche consultare lui su come utilizzarli. Peccato, però, che i servizi offerti da quei soggetti non sono solo molto appetiti dal pubblico, ma comportino proprio una volontaria cessione di privacy. Non che la cosa non abbia profili delicati, naturalmente, ma vale la stessa inquietudine, ad esempio, per le carte di credito e le compagnie telefoniche, tutti operatori in possesso di dati rilevantissimi circa la nostra privacy. Eppure, fin qui, le varie Autorità non sono riuscite a fare altro che produrre montagne di moduli che ci tocca firmare, naturalmente senza mai averne letto il contenuto e senza nulla aspettarci dai loro effetti.

Per non farsi mancare nulla Soro ha anche detto che nei prossimi giorni arriverà un bel provvedimento sulle intercettazioni telefoniche, perché non è bello che siano così abbondantemente riprodotte dai media. Ha veramente ragione, ma dov’erano, lui e la sua Autorità, nel mentre venivano diffuse a pienissime mani? C’è notizia di un solo provvedimento che abbia impedito qualche cosa? Nulla. Sicché giungiamo alla prima conclusione: la relazione annuale, che l’Autorità per la riservatezza dei dati personali rende al Parlamento, è un obbligo di legge, una pura formalità, un atto dovuto. Nonché totalmente inutile.

Il primo garante della privacy fu Stefano Rodotà, già parlamentare, già presidente del Pds. Certo, anche professore di diritto. Il secondo fu Francesco Pizzetti, anch’egli professore di diritto, nonché consulente di Romano Prodi e vice sindaco di Torino. Una carriera politica di minore visibilità, ma eguale ricollocazione protetta e sicura, nonché un’efficacia altrettanto trascurabile. Il terzo è l’attuale, Soro, appunto, la cui specialità è la dermatologia e la cui carriera è quella di parlamentare dell’Ulivo. La seconda cosa è ammirevole, benché sia singolare che tutti i garanti vengano dalla stessa area politica, ma la prima porta ad una reazione epidermica. Accentuata da alcuni numeri.

Eccoli: le sanzioni comminate dall’Autorità ammontano a 3 milioni 800 mila euro; il costo (annuo) di presidente e collegio supera 1 milione; quello del personale si aggira sui 12; spese, coperte pressoché esclusivamente con soldi dell’erario, 30. Diciamo che ha una resa del 10%. So già che contesteranno tutto, ma spero non mi rimproverino di avere violato la loro privacy.

Porto il mio piccolo contributo scientifico: una cosa è controllare, altra spiare. Le telecamere per strada sono utilissime, come anche il sistema Tutor in autostrada. Monitorare quel che accade sul web aiuta a prevenire. La localizzazione dei telefoni cellulari può risultare preziosa. Tutto questo è controllo. Occuparsi dei fatti miei e usarli per sputtanarmi o ricattarmi è spiare. Dice Soro che non condivide il sistema Usa, dove si controlla molto e spia poco. In Italia si spia tanto e controlla poco. Così, a pelle, mi pare che quell’Autorità sia un costo inutile.

Pubblicato da Il Tempo

domenica 9 giugno 2013

Battiam battiam le mani. Aldo Reggiani


Quando eravamo piccini
la nostra maestrina
con la più gran disciplina
tutti faceva filar
lei ci metteva in riga
gridando “fate attenzion

adesso marcerete
cantando questa canzon”

Battiam battiam le mani
arriva il direttor
battiam battiam le mani
all’uomo di valor
gettiamo tulipani
e mazzolin di fior
cantiamo tutti in coro
evviva, evviva
ed una coppa d’oro
doniamo al direttor.
E finalmente a vent’anni
dicemmo è finita
ora ci porta la vita
giorni di felicità
ma presto tutti quanti
dovemmo constatar
che per andare avanti
sempre si deve cantar
Battiam battiam le mani
arriva il direttor…..”

Così recitava il testo della canzoncina Arriva il Direttore negli anni Cinquanta, portata al successo da Carla Boni e Gino Latilla, dal Quartetto Cetra e da Natalino Otto.
Ed ora è tutto un battiam battiam le mani a quel terrificante Direttorio Europeo – vedi La Grecia affamata e distrutta dalla Troika – che ci ha graziosamente tolto dalla procedura di infrazione, alzando però il ditino per raccomandarci di continuare il cosiddetto risanamento, sconsigliando l’abolizione dell’Imu e altri provvedimenti e di proseguire sulle riforme.
Non a caso il Draghi, prima delle ultime elezioni politiche, disse che poco importava chi le avrebbe vinte, poiché era stato inserito il “pilota automatico”.
Come, senza possibilità di fraintendimenti, denunciava a Ballarò l’economista Jean-Paul Fitoussi .
Lo stesso Draghi – uno della nidiata, per interderci, insieme al Prodi, al Monti, al Ricuccio Letta e ad altri, del Premiato Kinderheim “Bilderberg-Trilateral-Goldman Sachs” - che nel 1992 durante una riunione sul Panfilo Reale Britannia dava il via ad una prima svendita del Belpaese.
Previo sputtanamento dell’Italia da parte del combinato disposto delle Agenzie di Rating.
(Ricorda qualcosa?)
Operazione perfettamente riuscita, come da Lo strano caso di Mister Drake e da La privatizzazione dellIri negli anni Novanta e le sale bingo di D’Alema, durante quei Governi della Sinistra tra il 1996 e il 2001 del Prodi e del D’Alema dei quali pur si disse che a Palazzo Chigi si era installata l’unica Merchant Bank al mondo in cui non si parlava inglese.
Quel Prodi, dunque, che, come documenta Riccardo Ghezzi in De Benedetti e la sinistra, storia di un’alleanza che ha svenduto l’Italia, nel 2006, tornando a Palazzo Chigi, ci beneficiò per sovrammercato, anticipando l’arrivo di Monti, del primo Governo Goldman Sachs.
Completando lo sterminio del Sistema Italia, come impietosamente fotografava fin dal 2007, Marco Della Luna in La privatizzazione finale dello Stato .
E dire che il Mortadella – il miglior Presidente del Consiglio che l’Italia abbia mai avuto, come disse, all’epoca della sua nomination, aOmnibus, su La7, quel pur logorroico mostro d’intelligenza della Senatrice Pd Laura Puppato, senza che nessuno la prendesse a pernacchie – volevano mandarlo al Quirinale….
Ma tutta la sordida operazione che portò alla forzata defenestrazione del Cav nel 2011, che cercava di opporsi, pur tra cori di fischi, pernacchie e lancio di gatti morti in Italia e in Europa, ad un’altra rapina, la spiattelava Franco Bechis ne Il passo indietro di Berlusconi? Costretto da un ricatto per cui ad imporre il Monti piovve addirittura a Roma la marionetta dei Poteri Forti Van Rompuy: “«Non esiste alcuna possibilità di elezioni». Alfano è rimasto di sasso. Chi ha accompagnato Van Rompuy all’uscita si è sentito dire: «Il vostro tempo è fino a lunedì. All’apertura dei mercati se non avete risolto con Monti, ci sono grandi banche internazionali pronte ad offrire quantità impressionanti di titoli di Stato italiani. Sembra che lo faccia la China investment banking, la Goldman Sachs e altri… Gli spread schizzerebbero e l’Italia si avvierebbe alla situazione greca»”.
Come confermava, prendendo le parti al Parlamento europeo del Popolo italiano, l’orgoglioso suddito della Perfida Albione Nigel Farage: Governi fantoccio per Grecia e Italia, il piano di dominio Germanico , circa la “democrazicida”, ignobile operazione che non si era resa necessaria per imporre all’Italia quelle Riforme delle quali starnazzano a Bruxelles, bensì per motivi mooooooolto più prosaici.
Quelli che infatti Giuliano Ferrara spiegava in Fondamentali buoni, il resto merda laddove il 5 novembre 2011 scriveva “Giusto ieri un banchiere mi raccontava per filo e per segno come hanno fatto francesi e tedeschi a trasferire sul groppone del sistema bancario italiano il peso, insostenibile per le loro banche, del debito greco insolvente. Il G20 ha seguito. Con quella specie di amministrazione controllata che non ferisce l’orgoglio, peraltro scarseggiante, ma dà una indicazione che il paese si appresta a seguire con una probabile mascherata, malgrado un capo dello Stato indisponibile alle manovre di Palazzo troppo spinte. Giochi di alta finanza, un gioco da ragazzi. Siamo un paese solidissimo, ma ci siamo privati di un dettaglio: la guida politica”
E nel quale anticipava ciò che con il Monti, quello dei “compiti a casa”- do you remember? - dettati dalla Merkel, sarebbe accaduto: “Con un’Italia normalizzata, alla quale arriveranno le briciole impettite e tecniche di tutta questa merda, i tedeschi potranno riprendere a fare shopping in giro per il mondo e i francesi cureranno con i resti dei cugini la loro disoccupazione e il loro deficit, più alti del nostro, per non parlare, come dicevamo all’inizio, del risanamento finanziario e bancario a spese del patrimonio immobiliare degli italiani.”
Insomma, per la serie “Cavallo vincente non si cambia”, perché, hanno pensato gli Einstein delle Lobby europee e mondialiste, non ripetere l’operazione degli anni Novanta?
Tant’è che lo stesso Magdi Cristiano Allam, uno di quelli svegli che fin dall’inizio ha mangiato la foglia, in L’ombra della dittatura informatica rincarava la dose scrivendo: “La presenza di Monti ai vertici di Goldman Sachs, Moody’s, Gruppo Bilderberg, Commissione Trilaterale e Centro studi Bruegel attesta senza ombra di dubbio la sua identità di uomo dei poteri finanziari forti che hanno creato il cancro dei titoli tossici e che controllano i governi e le banche. Monti, nonostante la più alta imposizione fiscale al mondo ha fatto salire il debito pubblico e fatto calare il Pil, sta condannando a morte le imprese, sta riducendo gli italiani in povertà e sta negando ai giovani certezza nel presente e speranza nel futuro.
Non accade perché Monti è un incompetente ma perché sta attuando rigorosamente la missione: salvare le banche e riciclare i titoli tossici, in una dittatura finanziaria in cui la persona viene ridotta a semplice strumento di produzione e consumo della materialità.”
T’è capì?
Per cui fino a quando non si prenderanno seri, duri e coraggiosi provvedimenti per riformare e democratizzare profondamente – come da sempre, per buona memoria, predica, inascoltato, il Cav – questa Europa dei Poteri Forti egemonizzata da una Germania che per prima trucca le carte, non se ne verrà fuori.
Come finalmente informava senza mezzi termini a Piazza pulita il 20-05-2013 Claudio Borghi .
Perché quelle indicate dal Borghi e dal Fitoussi, care le mie Bambole di Pannolenci, sono la vere cause delle miserande condizioni in cui ci ritroviamo.
Non solo noi, ma mezza Europa.
Il tutto - è intrigante notare – mentre i centosessanta e più adepti della sgrillettata “conventicola rivoluzionaria dove germina la rispettabilità dell’avvenire” (Niente di nuovo sotto il sole), dopo esser approdati al Parlamento forniti dell’ultimo modello, ancorché magari elettrico, di apriscatole, si stanno accapigliando in perfetto stile “all’italiana” (per spiegazioni sul doppio significato del termine vedi Una Boldrini all’italiana), sugli stipendi, sulle trasferte, sugli scontrini e sulle “spie” interne alla loro conventicola.
Laddove il loro Capataz, per la serie “Il Grillo è mobile, qual piuma al vento; muta d’accento e di pensiero“ scopre improvvisamente che due suoi candidati alla Presidenza della Repubblica, la Gabanelli e il Rodotà, sono indegni figuri.
Ma sbaglia chi pensa che il Grillo sia matto: come dice Polonio osservando lo strambo comportamento di Amleto: “C’è del metodo nella sua follia”.
Subdolamente, infatti, intanto che andava predicando che la sua conventicola non avrebbe governato con nessuno, dopo le elezioni si mise a vellicare, da “cortigiano vil razza dannata” quale in effetti è – vedi cosa dice il trattato indù sull’arte di governare “Kautalija Arthashastra” circa saltimbanchi, comicaroli, nani da circo e menestrelli quando si immischiano,vedi anche il Benigni e il Fo, di Politica - il vetero comunista Bersani, proponendogli di realizzare subito il sogno da sempre, pur in segreto, accarezzato da tutti i vetero comunisti - ancorché quelli, come hanno dimostrato gli esiti delle famose, eccitanti Primarie, che ancor copiosi abbondano tra gli elettori del Pd – di eliminare per ineleggibilità e rilettura del dispositivo sul conflitto d’interessi, come primo ed urgente atto di Governo, colui che aveva preso la gioiosa macchina da guerra occhettiana e l’aveva fracassata con un calcio.
Fidando sul fatto che il comunista, ancorché vetero, cova la vendetta a lungo.
“Lap lap lap”: che megagalattico leccaggio di culo, ragazzi miei…..
Ed il vetero comunista di Bettola aveva pure abboccato come un gonzo.
Quando invece il Don Abbondio di Genova, pur avendo dichiarato più e più volte di aver una paura barbina degli italici Magistrati – conoscendo evidentemente molto bene come funzionano le cose nelle Procure italiane, vedi Un’italica Clockwork Orange - si è guardato dall’inserire nel programma dalla sua moralistica, rivoluzionaria conventicola uno straccio di Riforma della Giustizia – e Dio solo sa se il Belpaese ne ha di bisogno, con cinque milioni di processi penali inevasi, tranne naturalmente quelli del “Propenso a Delinquere di Arcore” - vedimai gli piovesserio sul groppone Avvisi di Garanzia a go-go. Ma si può capire: il suo antenato manzoniano soleva dire “ Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.
Nel frattempo - udite udite - milioni di italiani che hanno votato per protesta per la sgrillettata “conventicola rivoluzionaria dove germina la rispettabilità dell’avvenire“, sono oggi rappresentati in Parlamento da gente che ha magari ottenuto una quarantina di ”Like” di parenti e amici su Internet – roba che il Porcellum è uno scherzo - del calibro di una certa Senatrice, pardon, “Cittadina” Senatrice, della quale narra l’eroiche denuncie antilobbiste Filippo Facci in “Ci hanno scoperto”, su Libero del 31 maggio.
“I grillini. Puoi prendertela con chi vi­va almeno in questo sistema solare: ma, a questi, tu gli indichi una mela e loro vedono un cammello. Non ser­vono neppure il sarcasmo, l’ironia, la pazienza: non capiscono, punto, non hanno le basi di niente, sono bambi­ni. L’altro giorno una senatrice, Pao­la Nugnes, è intervenuta in aula e si è scagliata contro «una precisa lobby che è salita al potere»; ha additato l’associazione «Vedrò», fondata nel 2005 da Enrico Letta, e ha denunciato che vi aderiscono «ben sette persona­lità trasversali del governo», più altri come Passera, Carfagna, Giorgetti, Serracchiani, Renzi, Tosi, De Magi­stris ed Emiliano, «con l’illustre par­tecipazione del figlio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e tanti giornalisti illustri come Curto (sic) Maltese, Filippo Facci, Davide (sic) Parenzo e Giuseppe Cruciani, tutti impegnati in un disegno politico comune che ci inquieta». Quale? «Privilegiare gas e idrocarburi». Ecco, ci hanno scoperti. Ora: «Vedrò» è un’associazione che organizza in­contri e convegni. Nell’inquietante elenco, che è in rete, la Nugnes avreb­be potuto aggiungere altri lobbisti, cioè semplici partecipanti: Enrico Bertolino, Andrea Camilleri, Cristia­na Capotondi, Luca Carboni, Lirio Abbate dell’Espresso, Stefano Feltri del Fatto, Cesare Prandelli e Jury Chechi. Ma è inutile spiegare. Sul profilo Facebook della senatrice, sot­to il video dell’intervento su «Vedrò», si commenta: «Ecco il motivo delle sofferenze degli italiani».
Perché questo, siòre e siòri, è lo spessore neuronale di quel tanto agognato “nuovo che avanza”.
Ragion per cui vien alla mente il titolo di un film del grande Giancarlo Cobelli con Lando Buzzanca, Paola Pitagora e Barbara Steel: “Fermate il mondo…voglio scendere!”.Altro che “Battiam battiam le mani”. (the Front Page)
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9 giugno 2013

Aveva cominciato col dire “non ho nulla da eccepire, hanno semplicemente applicato la legge”. Poco dopo Antonio Ingroia, in base a un singolarissimo concetto di coerenza noto fino in Guatemala, si appellava al Csm e al Tar contro la sua assegnazione al tribunale di Aosta. Il Csm, pur di acquietarlo in qualche modo, veniva meno a un criterio generale applicato in altri casi consentendogli di restare nei ranghi della pubblica accusa invece di spostarlo in quelli della magistratura giudicante. Ma sempre ad Aosta. Il Tar deve ancora rendere nota la sua sentenza, ma ovviamente nel frattempo il trasferimento non è bloccato. Che sia così lo può far intendere ai suoi lettori giusto il Fatto, che peraltro ieri aggiungeva che Ingroia non ha ancora nemmeno messo piede nel suo ufficio aostano. Non è proprio così perché nel nuovo posto di lavoro almeno un giorno si è dovuto far vedere. E’ stato ricevuto in pompa magna, gli è stato mostrato l’ufficio che era stato approntato con tanto di targa col suo nome e poi è stato portato a pranzo. Il nostro eroe ha ringraziato annunciando che intendeva mettersi in vacanza da subito. Da allora ad Aosta non l’hanno più visto ma ne hanno letto le gesta. Consistite in varie interviste, nella partecipazione a un convegno in Brasile, e in riunioni di costituzione del movimento politico da lui fondato. In tutto ciò quello che stupisce è che abbia dovuto segnalare la situazione il capo della procura di Aosta. Csm, procuratore della Cassazione e ministro della Giustizia evidentemente non se ne erano accorti.
di Massimo Bordin@MassimoBordin

venerdì 7 giugno 2013

Perché Grillo attacca il PD (non è per quello che pensate voi). Christian Rocca

C'è gente convinta che Grillo abbia iniziato ad attaccare in modo apparentemente insensato il PD, la sinistra, Rodotá, Gabanelli, Formigli, Floris perché terrorizzato dall'Opa di Pippo Civati, di Left e di non so chi altro su un pugno di suoi parlamentari. Grillo, secondo me, ne è spaventato più o meno quanto Mauro German Camoranesi quando si trovava di fronte Gresko o Georgatos. A me pare evidente invece che la strategia di Casaleggio sia opposta: vuole distanziare il movimento il più possibile dal PD, dalla sinistra e dai suoi punti di riferimento giornalistici e politici che in questi mesi hanno provato, riuscendoci, in funzione antiberlusconiana a descrivere il M5S come una costola della sinistra.
Il risultato è stato un crollo del voto ai 5 stelle, prima in Friuli e poi alle amministrative, perché sappiamo tutti che i voti ai 5 stelle sono in maggioranza voti ex leghisti, ex berlusconiani, populisti e qualunquisti delusi che tendono a votare più il fronte berlusconiano che l'area Zagrebelski (con l'eccezione di Di Pietro: ma è sinistra o destra Di Pietro?). Scusate: se non sei di sinistra, sei deluso dagli anni di Berlusconi e quindi hai votato Grillo, nel momento in cui lo vedi flirtare suo malgrado non col PD ma con l'ala estrema della sinistra ti viene l'orticaria e quindi non lo voti più. È successo questo e Grillo sta provando a far capire che lui non c'entra niente con la sinistra e non ha alcun interesse a partecipare al processo di rinascita della sinistra.-sinistra. Questo ragionamento vuol dire due cose: uno che la sinistra, come al solito, non sta capendo niente e, due, che la strategia di Grillo sta funzionando e potrebbe presto far recuperare i voti di centrodestra che, attenzione, alle amministrative non sono tornati a casa, ma si sono astenuti. La situazione è quindi peggiore di quanto sembri e invece di guardare alle cose interne al PD bisognerebbe dare uno sguardo alla totale assenza del centrodestra. (Camillo blog)

domenica 2 giugno 2013

Il Paese è un bordello ma è reato fornicare. Vittorio Feltri

Non ci addentriamo nei grovigli della legge che punisce l'induzione e lo sfruttamento della prostituzione. Non ci intendiamo né di mignotte né degli affari che girano intorno ad esse. Però non possiamo non dirci impressionati dalle pene richieste dai pm per Emilio Fede, eccellente giornalista televisivo che non ha mai nascosto di essere ferocemente berlusconiano, Lele Mora, agente dello spettacolo, e Nicole Minetti, avvenente igienista dentale ed ex consigliera regionale: sette anni di prigione.

Sono accusati di avere procacciato fanciulle più o meno in fiore destinate a rallegrare le feste eleganti nella villa di Arcore, proprietario e anfitrione Silvio Berlusconi. Condanne così pesanti sono insolite. Vengono rifilate di norma ad assassini, rapinatori, violentatori. Ci è difficile credere che i tre imputati in questione si siano macchiati di reati talmente gravi da meritare castighi di simile pesantezza. Ma, ripetiamo, desideriamo astenerci da giudizi di carattere tecnico. Osserviamo piuttosto i fatti dal punto di vista del costume.

Prima annotazione. Le strade, dopo il tramonto, ma anche prima, sono piene di ragazze - molte delle quali palesemente minorenni - che si offrono a pagamento. Le contrattazioni e gli adescamenti avvengono sotto gli occhi di tutti, e le consumazioni (passateci il termine), pure. Le auto in cui si svolgono gli esercizi carnali sostano a pochi metri dalla postazione della escort. Questi commerci non sono quindi segreti. Chi, titolato a farlo, volesse stroncarli ci metterebbe cinque minuti. In realtà, nessuno interviene. Le signorine (poco più che bambine) sono in prevalenza reclutate all'estero da farabutti dediti all'inganno, alla intimidazione e perfino alla tortura. I quali persuadono le vittime a lasciare il loro Paese e a trasferirsi da queste parti con la promessa di un lavoro nobile e redditizio. Poi invece le costringono a battere. Come? Con le minacce e le percosse. L'incasso della giornata e della serata è requisito dai magnaccia.
Qualunque cronista anche alle prime armi sa che la prostituzione è questo schifo. Per combatterla e porvi fine basterebbe arrestare quelli che dirigono il traffico e persuadere le loro «schiave» a ribellarsi in cambio di protezione. Ma ciò non succede che rare volte. Nel settore zoccole non si ficca il naso nella convinzione che non serva: il mondo non si redime. Da millenni in effetti parecchie donne vendono il corpo. Lo fanno per necessità, per arricchirsi, per tirare a campare, perché obbligate da canaglie. E da millenni c'è chi, pagando, si toglie lo sfizio di possederle. L'offerta di professioniste del ramo è commisurata alla domanda.

Le forze dell'ordine si muovono solo se comandate. Evidentemente manca chi comanda e, quand'anche ci fosse, l'indagine si esaurirebbe in una bolla di sapone. Non penso che la magistratura abbia l'interesse ad agire se non mossa da un forte allarme sociale. Nel caso di Berlusconi e delle sue feste eleganti, viceversa, si è mobilitato l'universo con l'esito che conosciamo. Ruby nega di aver avuto rapporti con l'ex premier. Nega altresì di aver preso quattrini per tacere. Non risultano movimenti di denaro sui conti della ragazza.

Poi ci sono le olgettine. Non ne ricordo il numero. Erano ingaggiate, e foraggiate, per partecipare agli intrattenimenti di Villa San Martino. Scopavano con il padrone di casa o no? Chi può dirlo? Supponiamo che lo facessero. È forse vietato scopare? Chi non scopa? Chi non ha omaggiato di una cena una signora o di un gioiello o di un mazzo di fiori o di mille euro? Dov'è il reato? Si dice che Fede, Mora e la Minetti si prestassero a organizzare le orge. Nel senso che rastrellavano le aspiranti ospiti del Cavaliere. Però non le retribuivano. Le invitavano per conto del Principe. Invitare non significa indurre alla prostituzione. Ipotizziamo che il Principe suddetto, soddisfatto della compagnia, provvedesse a regalare banconote alle estemporanee compagne. E allora? Un regalo non è una marchetta. Comunque che c'entrano Fede, Mora e la Minetti? Chi è in grado di provare che fossero al corrente del ruscello di quattrini?
Seconda annotazione. In tribunale è stato ribadito dalla pubblica accusa che le signorine erano attratte ad Arcore dalla prospettiva di facili guadagni, agevolazioni per entrare nel baraccone dello spettacolo e della tv. Da Adamo ed Eva ai nostri giorni varie persone di genere femminile e genere maschile usano darsi nella speranza di un adeguato compenso.
Terza annotazione. Leggendo i resoconti dei processi piccanti si ha la sensazione che si voglia colpire il libertinaggio (cugino della libertà) e chi vi si abbandona infischiandosene di nascondere i propri peccati. Peccati, non reati. In tutto ciò emerge chiaramente un rimpianto dell'ipocrisia che in altri tempi era di rigore per celare le scostumatezze: un richiamo alla castigatezza, la voglia di reprimere gli impulsi sessuali o almeno di impegnare le persone dissolute a fornicare di nascosto, possibilmente al buio e gratis.
Strano che i giudici invadano un campo di pertinenza dei preti, i quali per altro misero al rogo streghe ed eretici, poi però hanno sempre tollerato chi commette atti impuri, forse perché ne commettono anche loro. Un pm che fa discorsi da parroco e da parruccone manda segnali inquietanti: stiamo tornando al puritanesimo? Probabilmente sì. Difatti, anche la politica ha innestato la retromarcia. Una volta la sinistra libertaria predicava addirittura l'amore di gruppo, adesso mostra di prediligere l'amore solitario, capirai che progresso. I sessantottini sono diventati pudichi, considerano l'erotismo una squallida pratica tipica dei reazionari, dei sessisti e dei maschilisti. Il sesso è concesso ai gay, ma se un eterosessuale si sfoga a modo suo è da perseguire in via giudiziaria. Ultima annotazione. Siamo tutti edotti che l'Italia stia andando a puttane, ma siamo stupiti che a puttane ci vadano gli italiani. Ci pare una contraddizione. Non avremmo mai immaginato che in assenza di valori, la sinistra rivalutasse la masturbazione e si facesse paladina della castità. Non c'è più religione. (il Giornale)

martedì 28 maggio 2013

Sconfitta collettiva. Davide Giacalone

La politica ne esce piallata, ma il risultato amministrativo segna una sconfitta della collettività. Nel senso che ne esce a pezzi la nostra vita collettiva. Che altro ci si poteva aspettare? Abbiamo votato a febbraio: non solo ci sono voluti due mesi per fare il governo, ma il presidente della Repubblica fu costretto a inventare l’incarico ai saggi per non pedalare del tutto nel vuoto, nel frattempo s’è dovuto eleggere il suo successore e lungi dal confermarlo al primo o secondo scrutinio si è atteso il sesto, avendo dovuto prendere atto che non c’erano idee e la politica umiliava pubblicamente se stessa, infine il governo s’è insediato, ma è fin qui stato capace di annunci senza testi, proroghe di roba vecchia e rinvii di proroghe. Nessuno chiede miracoli, ma siamo sotto il minimo sindacale.

Roma guida la classifica della delusione e della disaffezione. Ma un’altra città contribuisce a descrivere il quadro in cui ci troviamo, Brescia: gli stessi candidati della volta scorsa, compresi quelli delle liste civiche. Come se il tempo, lungi dal correre, fosse fermo. Come se si possa giocare in eterno la rivincita della rivincita, senza che nulla di nuovo venga a disturbare un conflitto di cui i belligeranti hanno dimenticato l’origine e lo scopo. Mentre s’apprestavano le elezioni siciliane, nell’autunno dello scorso anno, osservammo che l’annaspare scomposto di schieramenti privi di contenuto descrivevano una sciasciana “linea della palma”, una disillusione, un non credere nel cambiamento che il maestro di Racalmuto aveva cucito addosso ai siciliani, e vedevamo che quella linea andava spostandosi verso nord. Ora, a dispetto della meteorologia inclemente, possiamo dire che la palma cresce per ogni dove. Al risultato delle urne di Trinacria sembrò spaventoso che un elettore su due se ne fosse stato a casa. Ora sappiamo che dappertutto le case sono più affollate dei seggi.

In Sicilia esplose la forza di Grillo, e molti scrissero che era servita anche a limitare l’astensione. Noi sostenemmo una cosa diversa: i voti di Grillo crescono assieme all’astensione, non la contrastano, perché la loro origine è diversa: chi non ci crede non vota, mentre la scheda frinente è deposta da chi si vendica verso i partiti che votò, di destra o di sinistra che fossero. Il risultato di ieri mi conforta in tal senso. Con una “evoluzione”: siccome non ci si può vendicare di continuo, anche quella calamita s’è ammosciata. Pure perché i tre mesi trascorsi dalla elezioni politiche sono stati istruttivi nel mostrare quel che produce la vendetta: un personale politico da barzelletta.

L’ulteriore schiaffone dovrebbe servire a chi fa politica per capire che non serve a nulla inseguire la protesta scimmiottandola, che gli elettori non si commuovono se sentono annunciare che i partiti non prenderanno più soldi pubblici. Anche perché non ci credono, e hanno realisticamente ragione (guardate che se fosse vero l’annuncio, e non lo è, tanto che già si pensa all’uno per mille, le banche chiederebbero ai partiti il rientro immediato, provocandone l’altrettanto immediata bancarotta). Ciò che può riportare la voglia di partecipare alla vita elettorale non è la composizione sessualmente equilibrata delle candidature, perché quella è la premessa di un’orgia, non del governare. Non è il sapere che in lista ci sono “persone come noi”, perché altrimenti non si vede il motivo di votare loro e non esserci direttamente noi. Quella voglia può essere ricostruita se si presentano idee nuove. Prima o poi i voti saranno presi da persone che non emulano gli attori, ma provano a essere serie. Voglio sperare che sia così, perché in alternativa sarà il voto stesso a essere ridotto a rito inutile. Quindi sempre più deserto.

Al ballottaggio romano andranno due sconfitti. Due perdenti. L’errore più grosso che possono commettere è pensare che uno dei due sarà vincente. Non avverrà mai. Siccome, però, uno dei due sarà sindaco, che abbia la saggezza e l’umiltà di sapere di essere un perdente temporaneamente vittorioso, quindi butti al macero le cose che ha sostenuto e provi a chiedere, a sé stesso e alla città, che razza di futuro vogliamo costruire. Vada al ballottaggio sapendo che non sarà l’inizio di una sindacatura, ma la fine di una politica priva di idee. Sarebbe un punto da cui ripartire.

Pubblicato da Il Tempo

martedì 21 maggio 2013

Tortorate. Davide Giacalone

Sono in molti a meritare d’essere presi a tortorate. Non nel senso di bitorzolute bastonate, che già l’uso del linguaggio violento ci avvelena e non è il caso di contribuire. Nel senso di fare i conti con la memoria di Enzo Tortora. Offesa per ogni dove, anche da quelli che pretendono di difenderla a loro volta infamandola. Tortora è un eroe civile di cui i radicali seppero valorizzare la battaglia. Possiamo citarlo noi della sparuta, perdente e non rassegnata tribù dei garantisti, dei sopravvissuti che ancora conservano memoria della civiltà del diritto. Per gli altri: tortorate.

Silvio Berlusconi (nel corso di una manifestazione elettorale) ha ricordato una frase di Tortora, speranzoso che la propria innocenza fosse anche quella dei magistrati. Ha aggiunto che molti italiani entrano nelle aule di giustizia, ogni giorno, con quel sentimento. S’è paragonato? Non mi pare. Offensivo? Non trovo. L’offesa a Tortora, da parte del centro destra, consiste in qualche cosa di molto più pesante e concreto: avere reso inutile la sua battaglia e non essere stati capaci di dare all’Italia una giustizia migliore di quella che lo massacrò. Anzi, ne abbiamo una peggiore. Conosco l’obiezione dei berlusconiani: non glielo hanno fatto fare. Ma non funziona, non ha neanche molto senso. Per una questione di tale rilievo chi è impossibilitato ad agire si dimette e monta su il finimondo. Non è successo, ed è una colpa politica. Forse la più grande.

Se lo sguardo si sposta dall’altra parte, però, sulla folta schiera degli ipocriti sinistri che ora citano Tortora, dall’indignazione si passa al voltastomaco. Una squadraccia di giustizialisti ha trasformato la sinistra nell’ostello dei manettari, disposti a rinnegare la propria stessa tradizione pur di far fuori in procura (e per procura) l’avversario che non riescono a battere nelle urne. Questa masnada di vigliaccuzzi vorrebbe ora sventolare l’immagine di un uomo che ebbe il fegato di dimettersi da parlamentare pur di affrontare i propri giudici da cittadino, anche subendo una scandalosa carcerazione preventiva (e lo spiegò a Toni Negri, che invece tradì gli elettori radicali). Il suo esempio è andato sprecato, perché chi doveva trarne insegnamento non è neanche in grado di capirlo.

Pretende di usare l’immagine di Tortora chi ha difeso gli automatismi della carriera dei magistrati, alla cui sommità si trovano oggi quelli che imbastirono il vergognoso processo contro di lui. Gente che, in un sistema normale, avrebbe perso il posto e che nel nostro, invece, avanza e guadagna. Cita Tortora chi, da venti anni, specula sulle indagini e fa finta di non sapere che una cosa è la pubblicità del dibattimento, altra, non solo diversa ma opposta, è la trasmissione in diretta dell’arringa dell’accusa (provino a leggere Piero Calamandrei, sforzandosi). Apre bocca chi neanche sa del travaglio che colpì il Tortora (grande) giornalista, il quale aveva scritto parole accusatorie all’epoca dell’arresto di Walter Chiari e Lelio Luttazzi, salvo poi amaramente pentirsene. E ammetterlo, con onestà.

Lezione sprecata, la sua. Eccelsa, ma sprecata. Dicono: lui riconobbe l’autorità della giustizia, non manifestò contro un potere dello Stato. Perché credono sia sensato sostenere che non si manifesta, contro i poteri dello Stato. A no, e perché? Tortora manifestò, eccome. Manifestò finché visse. Non risparmiò nulla alla giustizia ingiusta. Ma sapeva bene che non esiste convivenza civile senza il riconoscimento della giustizia, quindi la cercò nell’unico posto dove poteva averla: in tribunale. Non nelle case di chi lo amava, quale protagonista della televisione. La ebbe, ma la sua storia non servì a cambiare l’andazzo, che peggiorò.

La colpa ricade su chi non ebbe né testa né cuore per capire quella battaglia e come venne condotta. Ricade su una destra che fu giustizialista per poi farsi selettivamente innocentista. Ricade su una sinistra che fu connivente con l’uso politico della giustizia, per poi restare prigioniera della volgarità giustizialista. Questo è il mondo che ci consegna la peggiore giustizia del mondo civile, una magistratura corporativizzata e corrotta dalla colleganza fra accusatori e giudici, un dibattito pubblico ridotto a rissa inconcludente, un’opinione pubblica allevata nel colpevolismo.

Gli esausti squadristi, di una parte e dell’altra, si contendono il santino di un uomo che ebbe senso dello Stato e rispetto del diritto. Riusciranno solo a strapparlo, meritando tortorate per l’avvenire.

Pubblicato da Libero

lunedì 6 maggio 2013

Renzi e McLuhan. Claudio Velardi

              
La settimana del dopo big bang si apre con una brutta intervista di Renzi a “Repubblica”. Brutta intanto perché la dà a “Repubblica”, e non per caso.
E’ dal 1976 che il giornale di Scalfari si è introdotto come un virus nella sinistra, prima affascinandola, poi guidandola sapientemente verso la necessaria modernizzazione, infine fagocitandola e mettendola al servizio della sua cultura pop, buonista e conservatrice. Una grande operazione editoriale, che ha consentito ad un finanziere più che spregiudicato e ad un vecchio narciso di condizionarne ogni mossa, fino alla perdita di qualunque autonomia ed alla sua completa devitalizzazione. Naturalmente accompagnando con baldanza il Pci-Pds-Ds-Pd – da Berlinguer a Bersani – in tutte le sue sconfitte.

Non c’è stato leader – in carica o aspirante – capace di evitare l’abbraccio mortale. E neppure Renzi, a quanto pare. La cui prima preoccupazione – dopo il cataclisma dei giorni scorsi – è quindi rassicurare su “Repubblica” il popolo smarrito della sinistra, e dirgli che lui non è amico di Berlusconi, non ama l’art. 18, vuole il lavoro (toh!), e che il Pd è il suo presente e il suo futuro. Con Orfini e Fassina. Senza Vendola, con cui però scambia amichevoli sms. D’accordo, nella sbrodolata c’è anche il presidenzialismo (l’aria fritta che in queste ore piace a tutti). C’è la fine del finanziamento pubblico ai partiti (e vorrei vedere, dopo le ultime prove). Ma il messaggio è uno solo, inequivoco, perfino accorato: vedete le cose che dico? Non sono un traditore, sono uno dei vostri. Accoglietemi e saprò finalmente portarvi al governo. Senza subalternità e timidezze. Sfidando Grillo, facendo l’agenda e bla bla.

Ora, è evidente che per un qualunque leader della sinistra il problema dei problemi si chiama oggi “popolo della sinistra”. Cioè quell’impasto di nostalgie, luoghi comuni e pregiudizi in cui pascola da anni e anni il vecchio (in ogni senso) militante-attivista tipo: in perenne crisi d’identità, privato di direzione politica, in balia di qualsiasi pulsione parolaia e palingenetica. Un popolo che prima veniva costantemente allevato ed educato, ed è poi diventato docile e ambita preda delle più spregiudicate operazioni di marketing, a partire da quella repubblichina.
Nessuno nega che a questo benedetto popolo si debba parlare, e che – brutalmente – vi sia bisogno dei suoi voti, “che non si possono regalare agli estremisti” (ahia, quante volte l’ho sentita, questa maledetta espressione…). Ma il punto è che a questo popolo va detta finalmente la verità. E cioè che quello che impedisce alla sinistra di governare e conquistare strutturalmente la maggioranza dei consensi non è certo Berlusconi, ma la sinistra stessa, prigioniera della sua storia, di miti svaniti e gonfia di rancoroso disamore verso la società in cui viviamo. (Anche perché, se questa verità non la dici o la nascondi, ti scordi i voti di quegli altri, ma questo è un discorso noto…).
Quindi attenzione, Renzi. E’ chiaro che parlare oggi e in questo modo a “Repubblica” tu la consideri un’operazione tattica. Ne hai sentito la necessità perché temi che lo sbandamento attuale possa essere devastante e irrecuperabile. E hai convocato sul giornale un’assemblea di militanti per rassicurare. Ma sappi che ci vuole ben altro. Lo sbandamento dura da decenni, è profondo, strisciante e continuo. Un’intervista a “Repubblica” – il più ricorrente e stanco dei rituali – ha il solo potere di confermarlo.
E ricorda che mai come in questo caso, caro Matteo, il vecchio e deformato adagio di McLuhan – il medium è il messaggio – conserva una sua attualità stringente. (the Front Page)

mercoledì 1 maggio 2013

I carabinieri sono eroi soltanto se bloccati in un letto d'ospedale. Gian Marco Chiocci

Quando sono feriti o morti, per gli uomini in divisa sgorgano lacrime di coccodrillo. Ma quando lavorano...

Il carabiniere in verticale fa un certo effet­to. Orizzontale, sul letto d’ospedale o al­l’obitorio, ne fa un altro. C’è sempre una via di mezzo per lo stesso servitore dello Stato che da 200 anni s’immola per la sicurezza e la tranquillità dei cittadini tutti, inclusi quegli ambasciatori della violenza che in nessun al­tro Paese al mondo godrebbero di tali e tante immunità giu­diziarie, coperture politiche, giustificazioni mediatiche.
Il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito davanti Palazzo Chigi da un colpo d'arma da fuoco al collo
Quando appuntati e mare­scialli cadono nell’adempi­mento del proprio dovere – si dice sempre così - puntuali sgorgano lacrime di coccodril­lo, ipocrite solidarietà istitu­zionali, visite ai feriti e condo­gli­anze sentite a vedove e orfa­ni dell’Arma. Dopodiché, sem­pre succede che la memoria si resetti per voltare immediata­mente pagina e per ricomin­ciare, alla prima occasione, da dove si era rimasti: a sputare sull’uniforme nera bordata di rosso.
Accadrà ancora. Anche do­po i commenti stucchevol­mente esaltati alle toccanti pa­role della dolce Martina Gian­grande, figlia del carabiniere ferito a Palazzo Chigi, una del­le figlie di questa grande fami­glia­militare che per i soli scon­tri in Val di Susa ha dovuto pre­stare attenzione a più di 200 uomini (altrettanti sono i poli­ziotti) usciti dai boschi della Tav con le ossa rotte, le teste sfasciate, le divise ustionate. «Spero che quanto successo a mio padre faccia capire un po’ di cose a tutti, far riflettere e far sì che tante cose possano mi­gliorare », ha detto Martina.
Chissà se ci si ricorderà di lei, e del suo testamento, quan­do un altro appuntato finirà presto ferito o bersagliato da pietre, accuse gratuite, cagna­re ideologiche. Sarà curioso vedere cos’avranno da dire questi stessi politici che un tempo partecipavano ai cortei dei cattivi antagonisti al grido «10, 100, 1000 Nassirya» mili­tando in Rifondazione comu­nista o nei comunisti italiani. Gente che oggi simpatizza per Sel o Cinque stelle e si dice a fianco dei giovani in divisa, fi­gli del popolo come li intende­va Pasolini. Gente abituata a distribuire disprezzo sulle for­ze dell’ordine «cilene», emet­tere condanne preventive, in­vocare la piazza e il pubblico ludibrio fino a chiedere l’intro­duzione del reato di tortura, l’avvio di commissioni d’in­chiesta, la testa delle più alte gerarchie militari.
Non è retorica spicciola o di­fes­a acritica dei difensori in gi­berna e bandoliera. È quanto accade oggigiorno, ormai, al pubblico ufficiale oltraggiato senza pietà, trascinato alla go­gna eppoi in tribunale per aver reagito a una sprangata, risposto al fuoco, per essere in­tervenuto come poteva in con­dizioni di emergenza. Certo, il carabiniere che sbaglia deve pagare.Quest’ovvietà nascon­de però una realtà cui nessuno fa più caso: tra un black bloc e un carabiniere, tra un pentito di camorra e un carabiniere, tra un ultras e un carabiniere, tra un clandestino, un tossico o un cittadino qualsiasi e un ca­rabiniere, si tende a credere sempre meno al carabiniere. Chiedete alle rappresentanze militari, ai marescialli di sta­zione, all’ufficiolegale del Co­mando generale.
La realtà supera l’immagina­zione, l’impunità e latolleran­za calpestano ogni regola di legge e di buon senso. I carabi­nieri, come la polizia, fanno fa­tica a tornare quelli di un tem­po. Perché nessuno li difende, perché rischiare il processo ol­tre alla pelle, non conviene a nessuno. Fedeli nei secoli, ma mica fessi visti i precedenti. La politica sinistra che piange i carabinieri baluardo della de­mocrazia, è la stessa che li ha crocifissi al G8 di Genova, mu­linando la clava sul povero Pla­canica che per difendersi spa­rò a Carlo Giuliani, ergendosi a scudo della moltitudine che devastò un’intera città con­trapponendosi allo Stato in as­setto antisommossa.
Senza saperlo Martina ha da­to voce ai figli e alle mogli dei 1.482 cristiani di servizio allo stadio o nelle piazze usciti mal­conci negli ultimi tre anni, di cui nessuno s’è preoccupato mai. Ha parlato alla politica, perché chi tollera intenda. S’è rivolta a chi vuol rendere rico­noscibili i carabinieri in ordi­ne pubblico ma permette alla prole fighetta degli intellettua­li d’accatto di scendere in piaz­za, coperta in volto, armata di mazze e bombe carta. Senza volerlo ha chiesto di essere più seri, a tutti. Anche a chi pensa davvero che lo Stato debba risarcire la famiglia di un carabiniere ammazzato in servizio con soli 234mila euro quando alla mamma di un ra­gazzo morto per l’intervento «colposo» delle forze di poli­zia sono appena andati 2 milio­ni di euro. (il Giornale)