Travaglio leghista. Davide Giacalone
Il linguaggio della Lega non ha mai brillato per raffinatezza e gusto delle sfumature, ma sarebbe sciocco non riconoscere che quel partito, sotto la guida di Umberto Bossi, ha saputo intercettare non solo la protesta, ma anche la rappresentanza d’interessi reali. Niente affatto negativi. “Roma ladrona” era uno slogan, ma dentro vi si leggeva il sobbollire di vaste aree produttive e di piccole intraprese che dovevano sopportare un enorme peso fiscale e burocratico. Il guaio della Lega è che governa da tempo, s’è imborghesita, il capo piazza i propri figli, e i carichi fiscali e burocratici sono sempre lì, semmai accresciuti.
Quando il ciclo era positivo, per la Lega, anche le parole di un Borghezio qualsiasi, solitamente ispirate al delirio, finivano con l’inserirsi in una sinfonia ove prevalevano i tamburi e i tromboni, a segnalare la crudezza dello spartito. Ora che il ciclo volge al brutto, sentirlo riconoscere le presunte ragioni del biondo e demente assassino, induce solo a valutare le differenze: non è biondo e non nuoce più di tanto. Il dramma del vuoto leghista si misura tutto sul fronte che si sono scelti per l’estate: i ministeri al nord. Vorrei tanto incontrare almeno un cittadino del nord cui gliene freghi qualche cosa.
Le foto dei nuovi “uffici” sono di un desolante squallore burocratico, privo di quel che al nord, forse, potrebbero anche apprezzare: attivismo, efficienza, frenesia, open space che formicolano nel lavorio. Nulla. Le immagini dell’inaugurazione sono di una tristezza sconfinata, compresa la presenza di due ministri non leghisti, la propagandisticamente votata ad ogni cosa, Maria Vittoria Brambilla, e il ridotto a incarnare il “che s’ha da fa pe’ campa’”, Giulio Tremonti. Tutti assieme non ho idea se abbiano conquistato mezzo voto, so che hanno guadagnato al Quirinale un motivo ulteriore per schiaffeggiare il governo. Come se mancassero.
Che, poi, ci voleva un po’ di sale in zucca per cercare di vender meglio il prodotto, comunque scadente. In passato si sono seminate in giro per l’Italia le autorità: quella delle comunicazioni a Napoli, quella alimentare a Parma e così via sprecando denaro e duplicando i costi. Non ha minimamente funzionato, ma, almeno, su quelle pessime scelte c’era il consenso generale perché dimostravano l’intenzione di decentrare e considerare unita l’Italia. Che ci voleva, a usare la stessa retorica mendace? Non ne sono capaci perché, al contrario, compiono gesti inutili allo scopo di far vedere che non è del tutto morta la Lega che proclamava il separatismo. Solo che allora era preoccupante, ora è imbarazzante.
Credo che la Lega abbia diversi meriti, compreso quello di avere selezionato, nel tempo, una buona classe dirigente locale. Giovane, per giunta. E non ultimo quello di avere dimostrato che gli interessi che si rappresentano non devono avere prima ottenuto il certificato di garanzia e affidabilità, perché la democrazia è un mercato aperto. Ma tutto questo rischia di finire male perché i leghisti si sono dimostrati incapaci di conciliare la rappresentanza con gli impegni di governo. In fondo sono gli ultimi berlingueriani in circolazione, ancora convinti che si possa essere “di lotta e di governo”. Non funzionò per i comunisti e non funzionerà mai, perché si ottiene il solo risultato di non essere credibili per la lotta e non essere utili per il governo. Sappiamo che, al loro interno, sono in corso regolamenti dei conti. Vorremmo ricordare loro la saggezza partenopea di De Curtis: è la somma che fa il totale.
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