Gentile direttore,
sono avvocato ed ho letto il pensiero del dott. Gian Carlo Caselli su La Stampa di domenica 27 luglio alla pagina 35. Spero sia lecito, pur di fronte alla sacralità del personaggio, esprimere il più profondo dissenso. Trasuda dalle quattro colonne di piombo offerte da La Stampa al Procuratore Generale di Torino non solo l’ansia doverosa per il buon funzionamento della giustizia, ma anche la critica aperta, inaccettabile, nei confronti del governo; affiora nettamente l’impegno politico che dovrebbe essere distante, secondo la mia personale opinione, anni luce dalla figura del magistrato.
Confesso allora di essere uno di quegli «ipocriti che bollano l’indipendenza della magistratura come privilegio di una casta irresponsabile» (come Caselli, con grande rispetto per le altrui opinioni, descrive coloro che la pensano diversamente da lui). Da trentatré anni faccio l’avvocato e, caro dottore, se vogliamo eliminare «l’inefficienza efficiente» (come Lei suggestivamente scrive), cominciamo a far sì che i magistrati in servizio girino meno le scuole della Repubblica per insegnare la retorica della giustizia, e cominciamo a timbrare, tutti quanti, la cartolina all’ingresso ed all’uscita dai Tribunali.
Ho a mie mani, per combinazione, una edizione del 1880 dell’allora vigente codice di procedura civile (non esiste, dr. Caselli, soltanto il processo penale, ma esiste anche il processo civile!). L’art. 147 (Del termine per comparire) prevedeva il termine di giorni dieci (!!) se il luogo in cui si eseguiva la citazione coincideva con quello in cui si doveva comparire; di giorni dodici (!!) se i luoghi erano diversi ma nello stesso mandamento; di giorni quindici (!!) se i luoghi erano nella giurisdizione della corte d’appello. Erano, storicamente, i tempi in cui i magistrati non potevano ancora comparire in televisione (non essendo ancora stata inventata), non facevano conferenze e non si facevano fotografare.
Il povero avvocato Fulvio Croce, barbaramente assassinato, a me giovanissimo praticante, parlando dei magistrati, diceva che i problemi erano cominciati quando i giornali avevano iniziato a pubblicare il nome ed il cognome dei giudici e non più ad indicare anonimamente l’ufficio. E non erano, quelli, i tempi in cui le toghe facevano le rivoluzioni per ipotesi di provvedimenti del governo - come di recente accaduto - ricalcanti, fra l’altro, una «circolare Maddalena». È legittimo ed anzi positivo che il dott. Caselli faccia conoscere il suo pensiero: se, peraltro, è legittimo, in questa Repubblica ... "magistratocratica", che anch’io possa esprimere il mio, spero, a maggior ragione dopo aver letto il Caselli-pensiero, che venga presto il mese di settembre per quella riforma della giustizia che restituisca il purtroppo violato principio della divisione dei poteri e che sancisca finalmente tutto ciò che al dr. Caselli non piace. Questa è la mia personale opinione, condivisa da moltissimi avvocati che peraltro preferiscono, spesso (anche se, per fortuna, non sempre), tenerla per sé. (la Stampa)
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