Abu Mazen è di nuovo a Roma. A battere cassa all’Italia. Altri 20 milioni di euro dal fondo della cooperazione allo sviluppo, praticamente a fondo perduto, che si aggiungono ai 220 stanziati solo da questo capitolo di spesa negli ultimi dieci anni.
Poi ci sono gli altri capitoli di spesa che portano a quasi un miliardo di euro i soldi versati dall’Italia nelle casse voraci (e custodite da persone molto poco fidate) dell’Anp nell’ultimo decennio. Ieri Abu Mazen (benché sia un negazionista dell’Olocausto, non conti praticamente più nulla per il processo di pace con Israele e sia stato in passato tra gli organizzatori dell’attentato di Monaco del 1972) è stato ricevuto in sequenza dalle più alte cariche dello Stato e della città di Roma. Prima una visita in Campidoglio da Alemanno, per la solita “foto opportunity”, poi, di fila, si è fatto la tripla passerella istituzionale con Napolitano, Berlusconi e Frattini. Oggi probabilmente tocca al Papa e alla diplomazia vaticana. Rispetto ad altre occasioni del genere, questa volta la caratteristica che salta agli occhi è il basso profilo: quasi nessuno fino a giovedì sera si era ricordato di questa visita di “quasi Stato” ed è assente la retorica filo palestinese nelle piazze e nel Parlamento. Finita l’epoca dell’equivicinanza della Farnesina, finita anche l’era della rappresentanza parlamentare di verdi, sinistra esterema e no global, quasi a nessuno in Italia importa un granché del fatto che Abu Mazen si faccia una due giorni romana in cerca di soldi e di improbabili appoggi politici.
Era proprio dell’altro giorno la notizia che uno dei dirottatori dell’Achille Lauro (evento accaduto il 7 ottobre 1985 e conclusosi con la morte dell’ebreo americano paraplegico Leon Klinghoffer) era stato liberato dopo avere scontato la pena in Italia e adesso si ritrovava nella condizione di clandestino da espellere, mentre in realtà aveva chiesto di potere restare qui da noi per motivi politici. Si ignora se tra Abbas e Frattini si sia affrontata anche questa grottesca situazione. Di certo ormai Abu Mazen non incanta più nessuno, né in patria, dove non è mai stato “profeta”, né fuori. A consuntivo di una carriera politica passata nell’ombra del grande terrorista internazionale Yasser Arafat, Abu Mazen può ben dire di avere raccolto solo un pugno di mosche. Anzi un po’ meno. Almeno Arafat riusciva a tenere a bada Hamas e a mantenere l’unità dei territori palestinesi. Con il suo successore invece quel popolo che voleva uno stato si è frantumato in due pezzi, creando a Gaza un’ulteriore enclave di terrorismo islamico nel Medio Oriente. E se anche Israele è costretta a trattare con Hamas per il cessate il fuoco da Gaza, per le città di confine e per liberare Shalit, fra poco saranno in molti, in Cisgiordania e nel resto del mondo, a chiedersi a cosa diamine serva Abu Mazen e soprattutto a chi giovi continuare a finanziarlo a fondo perduto. (l'Opinione)
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