Il "prestito sociale" delle Cooperative è un deposito, sotto forma di libretto, che i soci Coop utilizzano sia come bancomat sia come forma di impiego dei propri risparmi. I portatori dei "libretti" Coop sono dunque creditori di una società commerciale in grado, attraverso tale sistema, di poter contare su una riserva di liquidità quasi infinita (oltre che molto conveniente), che viene poi magari reinvestita a tassi anche maggiori, con relativi profitti.
Il prestito "sociale" serve dunque a finanziare l'attività distributiva, che non è però più “sociale” di quella di altre imprese (non cooperative) che operano nello stesso settore.
Allo scorso 31 dicembre, il solo distretto tirrenico delle Coop deteneva depositi, sotto forma di "prestito sociale", per più di 4 miliardi di euro, laddove il totale nazionale dei depositi così raccolti è di circa 12 miliardi di euro. Le cifre danno l’idea anche del peso politico della questione. Insomma perché mai le cooperative che si occupano di grande distribuzione dovrebbero fare anche le banche?
Forse perché così, grazie ai tanti risparmi loro prestati, hanno a disposizione una liquidità continua, il che gli evita anche di chiedere prestiti alle banche a tassi sicuramente più alti (vantaggio ancora più importante in un momento di stretta creditizia come quella che si annuncia)? O forse perché, come detto, poi reinvestono tali risparmi, ricavandone poi ulteriori profitti (che comunque continuano ad andare nel calderone degli utili soggetti alla tassazione agevolata tipica delle cooperative)? E sul lato fiscale?
Sul lato fiscale Tremonti ha finalmente alzato l’aliquota sul prestito soci dal 12,5% al 20%. Sulla questione del resto vi era già l’attenzione della Commissione Europea, che aveva parlato di aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. Aiuti che, favorendo talune imprese, falsavano o minacciavano di falsare la libera concorrenza. Secondo la Commissione UE, infatti, la deduzione dal reddito imponibile degli utili accantonati alle riserve indivisibili sembra proprio un aiuto di stato, così come il prestito sociale, ossia la riduzione fiscale sugli interessi versati ai membri per depositi a breve termine e la deducibilità dei ristorni, con il rischio dunque di illeciti vantaggi per le grandi cooperative, concorrenti dirette delle imprese commerciali tradizionali. Anche se, come detto, alcuni di tali vantaggi sono stati ridimensionati, restano però tutti gli altri vantaggi legati alla possibilità di avere a disposizione una così grande liquidità a condizioni molto vantaggiose.
Lo strumento del prestito sociale era nato del resto anche come rimedio alla circostanza che, per Statuto, tali Cooperative non possono remunerare il capitale investito dai soci e non possono distribuire utili. Queste due prerogative, anzi, rappresentano una delle peculiarità che giustificano le agevolazioni fiscali. Ecco allora però che con il prestito sociale si assicura ai propri soci almeno un rendimento assimilabile a quello dei Bot (che infatti è preso come punto di riferimento da tutte le Coop nel calcolare il rendimento da assicurare sui prestiti sociali). Ma, a parte il fatto che in questo modo, di fatto, si aggira un divieto statutario, con, oltretutto, il rischio di violazione di principi comunitari secondo il concetto di derivazione giurisprudenziale dell’abuso del diritto, il prestito sociale, come investimento, è almeno sicuro e conveniente?
Parliamo di fatti. Quanto alla sicurezza, la Banca d’Italia ha comunque imposto una clausola di garanzia, per cui le cooperative non possono raccogliere più di tre volte il loro patrimonio (capitale più riserve indivise) e ciascun socio non può prestare più di 25.000,00 Euro.
Il libretto del prestito sociale però non è protetto dal Fondo interbancario di tutela che protegge i conti correnti e i depositi bancari fino a 103.000,00 Euro e niente esclude che anche tali imprese, in teoria, possano fallire (nel settore delle costruzioni è anzi capitato già più volte). Le Coop, quindi, già solo per questo motivo, per compensare cioè il “rischio fallimento”, dovrebbero offrire tassi di interesse superiori rispetto a quelli bancari (come detto, comunque, garantiti). Quanto alla convenienza, con l’innalzamento dell’aliquota sul prestito dal 12,5% al 20%, alla cedola lorda (attualmente, circa, al 3%), a meno che le Cooperative non riescano ad assorbire l’aumento fiscale (cosa peraltro alquanto difficile), si dovrebbe sottrarre il 7,5% e quindi il rendimento netto del prestito sociale, alla fine, sarebbe inferiore anche a quello dei Bot.
Forse dunque sarebbe meglio (per tutti, risparmiatori compresi) che i supermercati tornassero a fare i supermercati (possibilmente senza agevolazioni fiscali contrarie al principio comunitario della tutela libera concorrenza e in violazione della disciplina in materia di aiuti di stato) e che le banche tornassero a fare le banche (nel senso buono del termine, naturalmente; laddove ancora un senso buono esista). (l'Occidentale)
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1 commento:
quello che stavo cercando, grazie
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