Chissà che non vi sia un legame: da un lato una garbata presentatrice televisiva del canale britannico CBeebies, che si occupa con competenza di programmi per i più piccoli, ma che essendo visibilmente priva di un braccio, solleva indignazione e proteste da parte di molti spettatori adulti, preoccupati che i bimbi nel vederla sullo schermo ne siano spaventati. Dall’altro quei genitori (uno su quattro, secondo il sondaggio realizzato sempre in Inghilterra da TheBabyWebsite.com, che ha intervistato un campione di tremila mamme e papà) che alla sera evitano di leggere ai bambini le fiabe tradizionali (Hansel e Gretel, Cappuccetto Rosso, Bianvaneve) perché potrebbero impressionarsi troppo, e poi anche perché molte di queste sono proprio politicamente scorrette. Troppe cattiverie, troppe idee chiare e forti. Persino quei sette nani a seminare imbarazzo, mentre magari potrebbero essere definiti “individui di statura differente dalla media”. Pare infatti che un genitore su dieci si sia espresso in favore della proposta di cambiare titolo alla fiaba di Biancaneve perché la parola nano non sarebbe un termine sufficientemente rispettoso.
Per fortuna tre persone su quattro ancora ritengono che le favole tradizionali possano contenere messaggi educativi e veicolare principi morali, ben più delle storie per bambini di nuova generazione. Quei genitori che hanno pian piano abbandonato La Bella e la Bestia o Raperonzolo si sono buttati sulla zuccherosa banda di Winnie the Pooh o sul rassicurante mondo Disney. Eppure le fiabe classiche, con i buoni che trionfano sui cattivi anche dopo eventi tragici e violenti come un lupo che mangia una nonna e una bambina, o una vecchina che cerca di mettere nel forno due fratellini mollati dal padre per debolezza nei confronti di una perfida matrigna, lasciano spazio alla fantasia, alla gestione della paura, e alle infinite congetture dei piccoli nello sforzo di elaborare codici morali. Non presentano uno stucchevole mondo di armonia dove tutti si vogliono bene, non ci sono mai difficoltà reali, e il buonismo è una valanga incontrastabile.
Disabituati a sentir parlare normalmente dell’abbandono, della malattia, della morte, della naturale perfidia degli esseri umani, i bambini finiscono per trovarsi in difficoltà nell’incontro con questi aspetti della vita. Così di fronte a una signora con un braccio solo, quando rivolgono agli adulti che hanno accanto una spontanea e niente affatto imbarazzata domanda, chiedendo spiegazioni per quella evidente diversità, trovano genitori terrorizzati in primis per il possibile spavento dei figli. Tutti tesi a evitare loro turbamenti, incapaci di dare risposte serene e di abituare i piccoli a convivere con le cose che non sempre e non per tutti vanno per il verso giusto.
Se si osservano i bambini a contatto con la disabilità o con i devianti dalla media, la loro naturalezza è spettacolare, priva di sovrastrutture e soprattutto dei cretinismi del pensare da buoni a tutti i costi.
E se alle loro domande sugli individui differenti dai “normodotati” si risponde parlando con tranquillità di incidenti che possono anche capitare, di maggiore fatica a fare le cose che paiono così scontate a chi ha un meraviglioso funzionamento senza intoppi, si vedrà che reagiscono con una pacata accettazione della differenza.
Saranno i figli dei figli del politicamente corretto a spaventarsi per una persona menomata o per una storia serale dove ci sono i brutti e i cattivi, perché nessuno vuol crescerli nel quotidiano confronto con l’imperfezione o la sfortuna, e soprattutto nella sua accettazione. (l'Occidentale)
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2 commenti:
necessita di verificare:)
quello che stavo cercando, grazie
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