Le puntate di «Annozero» sul terremoto non sono piaciute neppure allo scrittore Francesco Piccolo che ieri, sull’Unità, ha spiegato i motivi del suo non-gradimento: «C’era una forma evidente di violenza, di arroganza, tipiche delle persone che si sentono dalla parte giusta (e qualche volta lo sono) ma che per questo motivo sono convinte di poter esercitare una violenza, adottare una volgarità, un sarcasmo che io non solo non riesco a condividere, ma di solito, da queste serate, ne esco sempre con un sentimento di compassione per i maltrattati, anche se i maltrattati sono persone di cui non condivido una sola parola». Parole da sottoscrivere, e direi anche coraggiose.
Ci fanno piacere, ovviamente. Ma l’articolo uscito ieri sull’Unità è importante soprattutto per un altro motivo. Piccolo spiega - e in questo è ancor più coraggioso - il motivo per cui molti, a sinistra, non hanno avuto l’onestà di esprimere il proprio dissenso nei confronti di Santoro e dei suoi collaboratori. «Quindici anni di berlusconismo hanno prodotto un pensiero pericoloso e piatto, che è il seguente: tutti coloro che sono antiberlusconiani stanno dalla stessa parte. Un pensiero semplice, a cui ognuno di noi ormai si è abituato». Anche se si fa risalire il peccato originale al «berlusconismo», c’è comunque l’ammissione dell’esistenza di quel riflesso pavloviano che negli ultimi quindici anni ha falsato, e spesso avvelenato, ogni dibattito politico, e non solo politico: tutto ciò che viene da Berlusconi e il suo mondo è sbagliato; tutto ciò che è contro Berlusconi e il suo mondo è giusto.
La verità non conta; l’analisi dei fatti non serve. Il Paese è spaccato in due e spaccato in due deve restare. Chi non è con noi è contro di noi. L’Italia del bipolarismo non ha ancora smaltito questo vizio profondo che consiste nel considerare chi la pensa diversamente non come, al massimo, un rivale, ma come un nemico. E «nemico», infatti, è il termine che usa Piccolo nel suo articolo sull’Unità: «Queste cose (e cioè la critica ad Annozero, ndr), però, sono difficili da dire. Perché stai dicendo la stessa cosa che dice il tuo nemico. (...) Se Santoro fa una puntata violenta e poco condivisibile sul terremoto, se Vauro disegna vignette volgari, non importa, poiché sono sotto attacco del nemico, bisogna per forza stare dalla parte loro. E quello che ti piace per davvero, non conta più».
Quante volte questo pregiudizio ha impedito la ricerca non solo della verità, ma anche del bene comune? Quante volte ci si è schierati - in parlamento e sui media - contro scelte che magari si ritenevano, sotto sotto, ragionevoli e utili, ma che andavano comunque bocciate perché venivano «dall’altra parte»?
L’articolo di Piccolo fa doppiamente piacere perché uscito su un giornale che a lungo ha adottato questa «logica del nemico» di cui la sinistra italiana si è nutrita per decenni. La tecnica della demonizzazione dell’avversario ha forse toccato il suo apice con Berlusconi (c’è perfino chi ha smesso di tifare per il Milan, da quando Berlusconi è entrato in politica) ma ha sicuramente origini più antiche. Prima del Cavaliere il demonio è stato incarnato via via da De Gasperi, Fanfani, Moro, Andreotti, Craxi e ovviamente da Almirante e gli ex fascisti in genere. Andate a rileggere che cosa si scriveva, anni fa, di questi personaggi che oggi la stampa di sinistra contrappone nostalgicamente a Berlusconi.
Tuttavia, anche questa nostra analisi peccherebbe di faziosità e pregiudizio se non riconoscessimo che pure dall’altra parte, quella del centrodestra, scatta spesso una scomunica preventiva che impedisce di riconoscere le ragioni e i valori altrui. Siamo, purtroppo, nel Paese dei nemici. E lo resteremo fino a quando non ci arrenderemo all’evidenza di quella vecchia massima secondo la quale una cosa è giusta o sbagliata, ed è vera o falsa, a prescindere da chi la dica. (il Giornale)
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