26 febbraio 2012 | |
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Su questo quotidiano Massimo Giannini dimostra di non avere conoscenze in diritto penale. Scrive infatti che la prescrizione “ha permesso all'ex presidente del Consiglio di sottrarsi al suo giudice naturale”. Dunque egli ignora che il giudice “naturale” è quello la cui competenza è prestabilita dal codice. Se non avesse voluto fare cattiva figura, bastava si limitasse a scrivere “al suo giudice”, senza “naturale”. Diversamente è come se sostenesse che Berlusconi, il cui giudice naturale era a Catanzaro o a Lecce, è stato giudicato da un collegio incompetente, quello di Milano.
Egli scrive poi: “Come la sentenza della Corte di Cassazione ha già certificato nell'aprile 2010, confermando sul punto le due precedenti pronunce di primo e secondo grado, è scritto nero su bianco: Berlusconi fu il ‘corruttore’ dell'avvocato inglese, che ricevette 600 mila dollari per testimoniare il falso”. Una serie di stupidaggini. Se la sentenza riguarda l’applicazione della prescrizione a Mills, scrivendo quelle cose, la Cassazione si è comportata in modo scorretto. Applicando la prescrizione il giudice ha un’unica alternativa: se è certo dell’innocenza dell’imputato, lo assolve nel merito. Se invece è incerto riguardo alla sua colpevolezza o alla sua innocenza, applica la prescrizione. Si ripete, non se è certo della sua colpevolezza, solo se non è certo della sua innocenza. Non può certo affermare né la colpevolezza dell’imputato, né, a più forte ragione, quella di un terzo. Dovrà magari occuparsi del fatto, ma solo per stabilire il momento da cui decorre la prescrizione. Una sentenza di proscioglimento per prescrizione non può essere utilizzata per dichiarare (moralmente) colpevole l’imputato, se non da incompetenti faziosi.
Ma di tutte queste cose non sembra sapere molto, Giannini. Inesatto è pure che Mills abbia testimoniato il falso. Tutte le persone informate della vicenda – di cui il nostro giornalista non fa parte – sanno che Mills ha cercato di proteggere Berlusconi schivando o aggirando certe domande, ma nessuno l’ha mai accusato di falso. Reticenza non è uguale a falsità.
Inoltre, ma questo va detto di passaggio, non è vero che esista la prova di quel versamento. Giannini ha dimenticato che Gabriella Chersicla, consulente della Procura di Milano e del Pm Fabio de Pasquale, ha dichiarato – non nero su bianco, ma con voce audibile per orecchie sturate - che di quel versamento che avrebbe dovuto inchiodare Berlusconi non esiste traccia nelle carte contabili, da lei esaminate. E questo l’ha riconosciuto persino Peter Gomez, il socio di Travaglio. Un berlusconiano?
Lo stravolgimento della natura della prescrizione si nota anche nelle parole di Di Pietro, che in un sottotitolo del Sole24Ore ha dichiarato: “I giudici non l’hanno assolto perché, evidentemente, il fatto l‘ha commesso”. Lui il codice deve averlo intravisto, ma anni di politica gliel’hanno fatto dimenticare.
Bersani invece fa solo tenerezza (titolo del Corriere): “Assoluzione? Rinunci alla prescrizione”. Bersani, come si sa, è laureato in filosofia. E si vede.
Mills – in viva voce e in italiano – si dichiara contento per Berlusconi. Quando gli viene rinfacciato che comunque lui è stato condannato in primo e in secondo grado (dimenticando il proscioglimento finale per prescrizione) nega la propria responsabilità e definisce la propria condanna ingiusta “soprattutto perché si trattava di aver fatto un accordo in ’99 di essere corrotto in ’97. Quindi era completamente illogico, il tutto”. Come si sa, gli inglesi sono pragmatici. Cioè quasi stupidi.
In un articolo di Ferrarella, sul “Corriere” (secondo quanto udito nella rassegna stampa di Radioradicale) il Pm De Pasquale, tempo fa, avrebbe dichiarato che: “Sarebbe un disastro se questo processo si dovesse concludere senza una sentenza”. Parole interessantissime.
Considerando i tempi normali della giustizia italiana, l’unico dubbio che abbia mai riguardato Silvio Berlusconi, riguardo a questo processo, non è stato se si sarebbe mai potuti arrivare ad una sentenza definitiva, cioè di Cassazione, ma se si sarebbe mai potuti arrivare ad una sentenza di primo grado. E i fatti hanno dimostrato che non c’era tempo sufficiente neppure per essa. E allora si può chiedere: che differenza fa, per l’amministrazione della giustizia, che un imputato sia prosciolto per prescrizione in istruttoria, dopo la prima o la seconda sentenza? Nessuna, ovviamente. E se è arcisicuro che alla condanna definitiva non si arriverà mai, non sarebbe più utile che i magistrati si affrettassero a perseguire altri reati, più gravi e più recenti?
Se si considera un disastro il non pervenire alla condanna in primo grado – una condanna che si sa comunque destinata ad essere trasformata in proscioglimento in secondo grado – è dunque perché si tiene alla condanna in primo grado in sé e per sé: cioè per motivi politici. Né altra spiegazione si è stati tentati di dare al rifiuto di tanti testi a difesa. La differenza che non esiste in diritto, come si diceva, esiste eccome in politica. Intanto facciamo scrivere su Repubblica che Berlusconi è un corruttore, con tanto di bollo del Tribunale, poi si faccia pure prosciogliere per prescrizione.
Ecco a che servono i soldi dei contribuenti. (il Legno Storto)
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Nel 1999 a Bologna fu istituito il registro comunale delle coppie di fatto, che avrebbe dovuto riconoscere un nuovo modello di famiglia alternativo a quella tradizionale, la "famiglia affettiva", all'interno della quale sarebbero stati compresi anche coppie di fatto dello stesso sesso.
L'opposizione allora segnalò il totale disappunto e l'assoluta perplessità per questa decisione del Sindaco, Walter Vitali (oggi Senatore PD) e della Giunta comunale di allora. Fu detto che il registro rappresentava una scelta di libertà, rispetto e di civiltà che risponde alle esigenze di una parte significativa della cittadinanza bolognese, mentre chi osava dichiararsi contrario all'istituzione del registro delle coppie di fatto esprimeva una concezione medievale propria dell'integralismo cattolico oscurantista.
A distanza di oltre dieci anni, un giovane Consigliere comunale Pdl, Valentina Castaldini si è presa la briga di verificare quali siano stati effettivamente i risultati e quale sia stato realmente l'utilizzo di questo strumento giuridico, il registro delle coppie di fatto. Il risultato è stato infatti drammaticamente eloquente e rivelativo del tasso di ideologia che domina in questa città che da oltre cinquant'anni è stata amministrata dal Pci, Pds, Ds e quindi Pd. Dal 1999, anno in cui fu istituito il registro delle coppie di fatto, nessuno ha presentato richiesta di iscrizione, quindi zero richieste.
Infatti, sebbene, come recita il sito web del Comune di Bologna "l’attestato serva a dimostrare che persone non legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione o tutela, co-abitanti nella stessa unità immobiliare del Comune di Bologna, costituiscano un unico nucleo familiare in ragione dell’esistenza di vincoli affettivi", nella realtà, nessuno è arrivato a presentare domanda per accedere al registro. L'esito di tale decisione risulta pertanto ascrivibile ad un approccio ideologico, che non risponde in alcun modo alle esigenze non solo dei comuni cittadini, ma nemmeno ai destinatari del provvedimento, le coppie di fatto così come risulta dalla totale assenza di richieste.
Rimane pertanto oltre all'aspetto ideologico dell'operazione, soltanto la volonta' di accattivarsi il consenso di alcune parti della cittadinanza bolognese in chiave di consenso elettorale, perdendo di vista il concetto di bene comune della città nel suo complesso e di politica in onda con le richieste dei cittadini. Il capogruppo Pd in Comune, Lo Giudice, ha rivendicato comunque il valore simbolico del registro delle coppie di fatto in assenza di una legge nazionale che disciplina la materia, segnalando la condizione di svantaggio fiscale cui sono sottoposte le coppie di fatto rispetto alle famiglie.
Qualche giorno fa in una conferenza stampa il Sindaco Virginio Merola e gli assessori competenti hanno manifestato di rivedere il sistema ISEE per l'accesso ai servizi pubblici, in quanto l'attuale sistema risulterebbe fortemente iniquo verso la famiglia fondata sul matrimonio a vantaggio delle coppie di fatto, le quali legalmente assumendo una residenza differente dal convivente non sono tenuti a sommare i rispettivi redditi e quindi vengono di fatto privilegiati alla famiglia, che invece è tenuta a sommare i redditi nell'accesso ai servizi. Attendiamo soluzioni efficaci in tempi rapidi su questo tema che rappresenta una reale esigenza per i cittadini bolognesi, a differenza del registro delle coppie di fatto. Il tempo, come si è visto, alla lunga penalizza chi intraprende battaglie ideologiche per lucrare consenso elettorale.(L'Occidentale)
L'opposizione allora segnalò il totale disappunto e l'assoluta perplessità per questa decisione del Sindaco, Walter Vitali (oggi Senatore PD) e della Giunta comunale di allora. Fu detto che il registro rappresentava una scelta di libertà, rispetto e di civiltà che risponde alle esigenze di una parte significativa della cittadinanza bolognese, mentre chi osava dichiararsi contrario all'istituzione del registro delle coppie di fatto esprimeva una concezione medievale propria dell'integralismo cattolico oscurantista.
A distanza di oltre dieci anni, un giovane Consigliere comunale Pdl, Valentina Castaldini si è presa la briga di verificare quali siano stati effettivamente i risultati e quale sia stato realmente l'utilizzo di questo strumento giuridico, il registro delle coppie di fatto. Il risultato è stato infatti drammaticamente eloquente e rivelativo del tasso di ideologia che domina in questa città che da oltre cinquant'anni è stata amministrata dal Pci, Pds, Ds e quindi Pd. Dal 1999, anno in cui fu istituito il registro delle coppie di fatto, nessuno ha presentato richiesta di iscrizione, quindi zero richieste.
Infatti, sebbene, come recita il sito web del Comune di Bologna "l’attestato serva a dimostrare che persone non legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione o tutela, co-abitanti nella stessa unità immobiliare del Comune di Bologna, costituiscano un unico nucleo familiare in ragione dell’esistenza di vincoli affettivi", nella realtà, nessuno è arrivato a presentare domanda per accedere al registro. L'esito di tale decisione risulta pertanto ascrivibile ad un approccio ideologico, che non risponde in alcun modo alle esigenze non solo dei comuni cittadini, ma nemmeno ai destinatari del provvedimento, le coppie di fatto così come risulta dalla totale assenza di richieste.
Rimane pertanto oltre all'aspetto ideologico dell'operazione, soltanto la volonta' di accattivarsi il consenso di alcune parti della cittadinanza bolognese in chiave di consenso elettorale, perdendo di vista il concetto di bene comune della città nel suo complesso e di politica in onda con le richieste dei cittadini. Il capogruppo Pd in Comune, Lo Giudice, ha rivendicato comunque il valore simbolico del registro delle coppie di fatto in assenza di una legge nazionale che disciplina la materia, segnalando la condizione di svantaggio fiscale cui sono sottoposte le coppie di fatto rispetto alle famiglie.
Qualche giorno fa in una conferenza stampa il Sindaco Virginio Merola e gli assessori competenti hanno manifestato di rivedere il sistema ISEE per l'accesso ai servizi pubblici, in quanto l'attuale sistema risulterebbe fortemente iniquo verso la famiglia fondata sul matrimonio a vantaggio delle coppie di fatto, le quali legalmente assumendo una residenza differente dal convivente non sono tenuti a sommare i rispettivi redditi e quindi vengono di fatto privilegiati alla famiglia, che invece è tenuta a sommare i redditi nell'accesso ai servizi. Attendiamo soluzioni efficaci in tempi rapidi su questo tema che rappresenta una reale esigenza per i cittadini bolognesi, a differenza del registro delle coppie di fatto. Il tempo, come si è visto, alla lunga penalizza chi intraprende battaglie ideologiche per lucrare consenso elettorale.(L'Occidentale)