mercoledì 18 dicembre 2013

La trappola perversa. Francesco Giavazzi


In Europa talvolta occorre coraggio, fermezza e determinazione. È quanto speriamo abbia Enrico Letta domani sera nel Consiglio europeo di fine anno. Altrimenti le conseguenze per il nostro sistema finanziario potrebbero essere gravi. Domani a Bruxelles Letta troverà, nel suo dossier, una gran quantità di analisi tecniche relative all’unione bancaria, il tema della riunione. Sono perlopiù questioni secondarie rispetto al vero problema: come verranno valutati nel nuovo assetto di vigilanza europea, che verrà inaugurato il primo gennaio, i titoli pubblici posseduti dalle nostre banche (circa 400 miliardi, il doppio di due anni fa)?

Alcuni di questi titoli le banche li detengono per mantenere liquidi i mercati finanziari acquistandoli e vendendoli quotidianamente: questi titoli sono valutati, giorno per giorno, ai prezzi ai quali vengono scambiati. Possono quindi produrre perdite e perciò richiedono che la banca disponga di abbastanza capitale per assorbirle. Ma una parte dei titoli pubblici le banche li detengono con l’intenzione di non venderli fino alla scadenza: questi sono valutati al prezzo al quale saranno rimborsati. Non comportano rischi e quindi non richiedono capitale. Così infatti prevedono le regole internazionali. Tutto bene, a meno che non si metta in dubbio che alla scadenza essi vengano davvero rimborsati.

Alcune settimane fa il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha detto che è giunto il momento di smetterla di assumere che il debito degli Stati venga sempre onorato: Grecia docet . Le conseguenze di un simile cambiamento delle regole sarebbero esiziali per molte banche. Nessuna oggi disporrebbe di abbastanza capitale, soprattutto in Paesi come Italia e Spagna dove il debito è elevato e le banche ne posseggono una gran quantità. E se li vendessero per alleggerire la loro esposizione il mercato dei titoli pubblici affonderebbe.

Le dichiarazioni di Weidmann hanno già prodotto effetti concreti. L’agenzia di rating Standard&Poor’s si è chiesta che cosa accadrebbe al bilancio delle Assicurazioni Generali se lo Stato non rimborsasse i Btp che esse possiedono. E ha messo sotto osservazione la compagnia chiedendo che, per affrontare questo rischio, raddoppi il proprio capitale, richiesta evidentemente impossibile da esaudire, almeno in tempi brevi.
È curioso che S&P si sia posta questa domanda per una società di assicurazione e non (o non ancora) per le banche. Una banca infatti, se congela i titoli pubblici fino a scadenza, si espone ad un rischio di liquidità, che invece non corre una compagnia di assicurazioni la quale allinea la scadenza dei titoli che possiede a quella delle polizze vita che ha emesso.


Comunque sia, Generali non può raddoppiare il proprio capitale, né vendere, almeno in tempi brevi, i Btp che possiede (per lo stesso motivo per cui sarebbe pericoloso se lo facessero le banche). Quindi ha una sola scelta, trasferirsi altrove per evitare che l’Italia (nonostante conti meno del 25% nelle attività della compagnia) la trascini verso un downgrade .
Per la verità Jens Weidmann ha ragione quando dice che dopo la Grecia non si può più assumere che i titoli pubblici siano privi di rischio. D’altronde non c’era bisogno del caso greco, basta studiare la storia e i default dell’impero austro-ungarico, o più recentemente della Russia nel 1998 e dell’Argentina tre anni dopo. Ma il presidente della Bundesbank dimentica un fatto importante. In Paesi ad alto debito, come Spagna e Italia, possono verificarsi «equilibri multipli», cioè situazioni in cui un default è prodotto semplicemente dall’aspettativa che esso possa verificarsi. È come quando i depositanti si chiedono se la loro banca abbia abbastanza contante per far fronte ad un immediato ritiro di tutti i depositi in conto corrente. Certo che in quel caso la banca fallirebbe, ma perché i clienti dovrebbero chiudere improvvisamente e tutti insieme i loro conti? Solo se temessero che la banca fallisse, cioè se si verificasse un «equilibrio perverso». Per questo esistono le assicurazioni sui depositi (fino a centomila euro nei Paesi dell’eurozona).
Ma per i titoli pubblici non esiste un’assicurazione: solo l’impegno dei governi a rimborsarli. Se quell’impegno non è più certo, un equilibrio perverso diviene una possibilità concreta. D’altronde è proprio questo il motivo per cui diciotto mesi fa Mario Draghi introdusse il programma di acquisti condizionati di titoli pubblici (Outright Monetary Transactions, Omt) che è l’unico motivo per cui la crisi dell’eurozona per ora è rientrata. Grazie cioè allo scudo della Banca centrale europea contro perverse evoluzioni sui mercati.
Domani il presidente del Consiglio dovrebbe quindi chiedere che, coerentemente con l’Omt, il Consiglio europeo stabilisca che i titoli pubblici emessi dai Paesi dell’euro sono soggetti ad un rischio di mercato (perché il loro prezzo può fluttuare prima della scadenza) ma indenni da un rischio di default . Purché i Paesi stessi non si discostino dal percorso di risanamento concordato con la Commissione europea. Le istituzioni che intendono tenere titoli di Stato fino alla data di scadenza non devono accantonare capitale. D’altronde non è stato proprio il Consiglio europeo a dire, dopo il default di Atene, che «la Grecia è un episodio che non si ripeterà»?


(Corriere della Sera)

 

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