Le ultime apparizioni televisive e giornalistiche di Walter Veltroni lasciano allibiti. Non una proposta, non una sfida, solo insulti al governo e demenziali analisi sull’Italia ormai simile alla Russia di Putin (Leoluca Orlando rilancia e paragona con l’Argentina). La ragione di questa follia verbali sta è presto detta: tutto l’agire del leader del Pd è ormai finalizzato alla “storica” manifestazione del 25 ottobre e dunque, per mobilitare la piazza si ha da urlare, agitare, creare spauracchi, mostri, demoni, fare gli agit prop, insomma.
Nulla da stupirsi: è la vecchia logica del Pci, di Togliatti, Longo, Berlinguer, tanto bravi a demonizzare la Dc –e soprattutto il riformismo del Psi- quanto totalmente incapaci di proposte riformiste di governo.
Stupisce, però, che questa volta questo inutile delirio agitatorio avvenga in un clima di sbranamento totale –sembra quasi definitivo- dentro il Pd. Il mite Tonini è giunto ad affermare che il decisionismo putiniano di Berlusconi è nato con l’indecisionismo cronico e patologico del governo dell’Unione di Romano Prodi. Analisi acuta, ma che ha ovviamente creato un vero e proprio casino dentro il partito più incasinato d’Europa.
Il fatto è che il governo Berlusconi ha messo in un angolo tutte le componenti del Pd: ha eliminato l’Ici, ha ripulito la monnezza di Napoli e ora si prepara a fare quella gara tra Lufthansa e Air France per un’Alitalia da loro considerata ghiotto boccone –ma per una quota di minoranza- che Prodi per ragioni poco chiare –e forse poco pulite- non volle fare, quando avrebbe dovuto farla per cedere il controllo completo della società.
Non solo, il prudente e informato pessimismo di Tremonti, ha sinora tenuto al riparo l’Italia dai contraccolpi della crisi internazionale e questo mentre Velroni e Bersani avevano invece irresponsabilmente impostato la loro campagna elettorale promettendo un impossibile “miracolo italiano”.
Contro questi dati di fatto, Veltroni avrebbe davanti a sé due strade: sfidare Berlusconi sul terreno del governo, imponendogli un’agenda di riforme e di gestione della crisi economica che premino gli strati popolari e ammodernino effettivamente il paese; oppure, fare propaganda demonizzante.Il dramma è che Veltroni sceglie la seconda strada, perché non ha la minima idea di come percorrere la prima.
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