La crisi in corso è quasi sempre descritta con uno schema che asserisce che i tassi di interesse troppo bassi hanno spinto i prezzi degli immobili troppo in alto, con gli immobili medesimi che finivano nella pancia delle obbligazioni che tutto il mondo lietamente comprava. Con il tutto che è precipitato, perché i prezzi degli immobili e delle obbligazioni incinte degli stessi erano assurdi. Le persone chic dicono che il mercato era “mispriced”, ossia che aveva dei prezzi non efficienti. Tutti, salvo alcuni liberisti, che, al contrario del sanguinario Stalin che purgava gli oppositori, desiderano solo le purghe dei prezzi, hanno invocato, tremuli, il ritorno dello Stato. E’ vero che è andata così, ma per quale ragione è andata così? Gli investitori raffinati non potevano prevedere che i prezzi che salivano troppo, poi sarebbero scesi? E se potevano prevederlo, perché non si sono mossi in anticipo? Ci deve essere qualcosa in più per arrivare alla spiegazione. Se si riceve un bonus enorme per vendere le obbligazioni con dentro i mutui ipotecari, e se tutti le vogliono, i venditori sono incentivati, anche se sanno che i prezzi saranno assurdi e che precipiteranno. Intanto guadagnano molto. Quando le obbligazioni che hanno venduto saranno precipitate di prezzo, avranno comunque incassato. Questo dal punto di vista dell’offerta, ma quale è quello della domanda?
Chi voleva le obbligazioni incinte dei mutui pensava che intanto guadagnava perché queste obbligazioni rendevano più dei titoli di Stato, e quindi che la redditività dei suoi investimenti aumentava e che poi si sarebbe visto. Questo comportamento, allo stesso tempo avido e razionale, possiamo etichettarlo come quello dei “furbetti del quartierino”. Tutti si appellavano alle valutazioni delle società di rating, che sostenevano che le obbligazioni erano di qualità, ed ai modelli di controllo statistico del rischio, che dicevano che le cose erano sotto controllo. Era una “razionalizzazione”, un comportamento “non logico” che si nasconde dietro un comportamento “logico”. Non è infatti logico pensare che esista il “moto perpetuo” dei prezzi. Esiste solo il “moto temporaneo”. I giudizi di rating ed i modelli di controllo del rischio erano il “latinorum” per impressionare. Questo comportamento, avido, razionale, e coronato da giustificazioni obiettive, possiamo etichettarlo come quello dei “furbetti del quartierino” che hanno “una laurea in finanza”. In ogni caso, se si comprendono sia le motivazioni sia le giustificazioni di quelli che hanno investito con i prezzi in ascesa continua, non si capisce perché chi pensava che i prezzi erano assurdi non si sia messo a vendere fino a farli precipitare. Chi lo pensava ed agiva di conseguenza non deve avere, nel nostro ragionare, un’etica superiore, ma le stesse semplici motivazioni di guadagno degli altri. Non stiamo cercando degli “arcangeli e semidei”, ma solo dei normali operatori che spingano i prezzi assurdamente alti al ribasso.
Un mercato si definisce “completo” se sono possibili tutte le operazioni. Quelle a pronti, come comprare le uova, quelle a termine, come accendere un contratto future, quelle condizionate, come incassare l’assicurazione quando si manifesta l’evento definito dal contratto. Fra le operazioni attuabili, se si vuole un mercato “completo”, vi sono quelle che scommettono che le cose possano prendere una piega negativa. Se penso che la società X abbia un prezzo assurdo, vendo la sua azione “allo scoperto”, ossia mi faccio prestare il titolo di X e lo vendo. Quando è caduto il prezzo, lo ricompro e rendo il titolo. Se i prezzi sono assurdi ed allo stesso tempo sono possibili le vendite scoperte, i prezzi assurdi non dovrebbero manifestarsi. Se la crescita dei prezzi delle azioni tecnologiche fino al 2000 e degli immobili fino al 2006 era assurda, perché mai non sono entrati in pista i venditori allo scoperto? Supponiamo che l’azione della società (o dell’immobile) X abbia un prezzo di 10 euro. Abbiamo chi pensa che sia una grande impresa e chi pensa che sia un bidone. Chi pensa che sia una grande impresa compra, ma la società fallisce, e quindi perde 10 euro. Se invece ha ragione e sale fino a 100 euro, guadagna ben 90 euro. Chi pensa che la società X sia un bidone vende allo scoperto. Se ha ragione e la società fallisce, guadagna 10 euro. Se invece si sbaglia, e la società sale fino a 100 euro, perde ben 90 euro. I risultati sono diseguali.
Chi compra e basta, chi è “lungo”, può perdere al massimo quel che investe, 10 euro, ma può guadagnare molto, 90 euro. Chi vende allo scoperto, chi è “corto”, può perdere molto più di quello che investe, 90 euro, ma può guadagnare, se ha ragione, 10 euro. Lo spettro dei risultati non è proprio un incentivo a vendere allo scoperto. Per questa ragione i venditori allo scoperto non sono importanti quando i mercati salgono, e quindi non possono diventarne “i pompieri”. Solo quando i mercati stanno precipitando la probabilità di guadagnare vendendo allo scoperto aumenta molto. I venditori scoperti allora si fanno coraggio, diventano molti e quindi importanti. Peccato che a quel punto i politici e la stampa, che “lisciano il pelo” all“uomo della strada” solo quando i mercati sono in caduta, denuncino gli operatori scoperti come i “becchini” del pubblico risparmio. In conclusione, i mercati non sono completi, perché, salvo quando precipitano, le vendite scoperte sono troppo rischiose. I mercati non hanno quindi un meccanismo tutto interno che impedisca la crescita irragionevole dei prezzi. Il risultato sono “i furbetti del quartierino con laurea” nella fase ascendente, gli “speculatori” da additare al pubblico disprezzo nella fase discendente, e l’intervento pubblico, naturalmente per aiutare i “nostri concittadini meno fortunati”, alla fine. (l'Opinione)
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