Qualche mese fa, in un pomeriggio di sole, Silvio Berlusconi era a Coppito, alla periferia dell’Aquila, per consegnare alle famiglie rimaste senza casa le belle palazzine nuove con le facciate di legno colorato.
Il presidente del Consiglio era così fiero del risultato che annunciò l’intenzione di estendere la dottrina-Bertolaso ad altre emergenze, e fece l’esempio di quella carceraria. Durante l’ultimo governo Prodi, poiché le prigioni traboccavano, il Parlamento aveva votato un indulto ma il provvedimento di clemenza non venne accoppiato a uno strutturale (non si costruirono nuovi penitenziari né si studiarono pene alternative alla detenzione), così oggi le prigioni traboccano di nuovo e sono amministrate nell’incivile convivenza.
Se il governo varasse un piano di edilizia carceraria con i sistemi e i vincoli classici, gli servirebbe almeno un lustro per concluderlo. Ma, fra le case di Coppito, il premier immaginò le galere venire su a velocità sconosciute alla democrazia e applicate soltanto alle ruspe mussoliniane (e per l’Aquila). Non soltanto perché Guido Bertolaso è bravo e concreto, ma soprattutto perché gode di strumenti unici: gli è permesso di affidare i lavori con trattativa privata, senza logorarsi nelle procedure solite della gara pubblica (bando di concorso, pubblicazione su Gazzetta ufficiale, presentazione dei progetti...). Sono poteri eccezionali, quasi incontrollabili, proprio perché, nell’emergenza, l’immediatezza del risultato è fondamentale.
Da quasi un decennio, si sa, Bertolaso non viene applicato soltanto ai soccorsi in caso di terremoto, alluvione o disastro ferroviario, ma all’organizzazione dei grandi eventi, come per esempio i Mondiali di nuoto o i viaggi papali. All’Aquila, però, Berlusconi si figurò un passo in più: chiamare emergenza l’ordinario (in Italia tutto l’ordinario è emergenziale e ogni emergenza è ordinaria) e affrontarlo con i sistemi spicci ed efficaci di un dopo-sisma. Per queste ragioni oggi si dibatte con tanta foga delle ulteriori prerogative che si intendevano affidare alla Protezione civile, e che lo scandalo giudiziario bloccherà o ridimensionerà. Ecco, al di là dei risvolti penali, il succo politico della vicenda è tutto qui.
È stato detto che i risultati più squillanti di quasi due anni di governo Berlusconi sono la ripulitura di Napoli dalla spazzatura e la gestione del disastro abruzzese. Sono due successi di Bertolaso e del suo metodo. Altri provvedimenti graditi dalla maggioranza degli italiani sono passati dai decreti, e cioè da leggi dell’esecutivo che entrano immediatamente in vigore, prima di passare dalle camere. Il grande tema di questa legislatura si conferma la velocità di esecuzione. Veramente è un tema antico: dalla crisi della Repubblica di Weimar al decisionismo craxiano, se ne parla da decenni. Ma oggi c’è anche un sistema dell’informazione tambureggiante: le tv, i giornali, i siti internet sollevano problemi in continuazione, e per reggere alla sfida del consenso i politici sono costretti a risposte fulminee.
I sacri (e sacrosanti) riti della democrazia sono sempre più inadeguati. Berlusconi lo ha capito e ha anche capito che, paradossalmente, rendere rapida la democrazia richiede un lentissimo lavoro di riforma che lui non può permettersi. Vuole che il suo governo passi alla storia per le cose fatte, non per una correttezza formale che ha sempre considerato da farisei, o per un riformismo a beneficio dei successori. E così usa i decreti e diffonde il metodo Bertolaso, e dentro la sua maggioranza ci sono opposizioni di scontenti, uomini per ruolo o vocazione fedeli alla liturgia, ministri che si vedono sottratte competenze e controlli, legalisti che vorrebbero un solido rispetto delle regole. La vicenda di Bertolaso ha rinvigorito i perplessi e adesso sarà interessante vedere se e quali altri poteri andranno alla Protezione civile, se invece verranno ridimensionati (molto probabile), e soprattutto se sarà ancora Bertolaso a esercitarli. Anche da questa partita dipende il futuro di Berlusconi: senza le splendide scorciatoie alla Bertolaso gli verrà difficile ripetere certe imprese e conservare l’ammirazione denunciata dai sondaggi. O trova una soluzione, o per i restanti tre anni della legislatura gli toccherà di vivacchiare fra carte bollate.
Insomma, il dilemma non è nuovo: a quanta libertà (a quanta prassi) la democrazia è disposta a rinunciare per essere più competitiva? E a quanta competitività è disposta a rinunciare per essere più libera? Anche se l’inchiesta fosse tutta una bufala, e Bertolaso e i suoi fossero immacolati, saremmo pronti, domani, a girare il loro imparagonabile potere in altre mani? È una domanda importante, perché non riguarda soltanto la politica. Il gip di Firenze, nel firmare l’ordinanza che ha stabilito arresti e avvisi di garanzia, ha ammesso di non averne la competenza. È competente Roma. Ma per evitare che le ruberie proseguissero, scrive, per bloccare quella cricca che ne stava combinando delle altre, è stato necessario uno strappo alla regola. Il risultato serviva, e serviva subito. Chissà se Bertolaso si è reso conto che tutto quello che gli sta capitando dipende dal metodo Bertolaso applicato alla magistratura. (la Stampa)
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