L’immigrazione è un problema, ma anche un’opportunità. Per noi italiani è divenuta una trappola. Ci sono responsabilità nostre, per il lungo oscillare fra le prediche d’accoglienza e l’incapacità di far rispettare la legge, così rinunciando a fare le uniche cose che è saggio fare: regolare gli ingressi, scegliere le figure professionali necessarie e respingere i clandestini. Ma ci sono anche colpe non nostre. I governi europei hanno applaudito il crollo di quelli che, sulle rive del Mediterraneo, arginavano la marea umana, salvo poi considerare i disperati (fra i quali si trovano soggetti di tutti i tipi) un problema esclusivamente nostro. A Lampedusa i tunisini, che sono francofoni, dicono di non volere restare in Italia, ma di volere andare in Francia. Ma lì non li vogliono, li respingono. Con una differenza: se li respingiamo noi, se non li soccorriamo, affogano, se li respingono i francesi, invece, restano in Italia, al sicuro. Ecco la trappola: siamo scoperti a sud e chiusi a nord.
A Lampedusa non possono restare, difatti è in corso il loro totale prelevamento. Ma è come soffiare dentro un pallone bucato, se non si fermano i barconi, in gran parte gestiti da delinquenti. La Tunisia non li vuole indietro, o, meglio, non li vuole tutti e non in una sola volta. Grazie, anche noi li avremmo preferiti a poco a poco. Nel resto d’Italia non li vogliono. Non li vuole nessuno, perché ovunque vadano saranno un problema. Non si tratta del colore delle amministrazioni locali, perché l’intero arcobaleno politico li vuole lontani, anche se uno solo lo ha detto in modo esplicito. Egoismo? Razzismo? Ma non diciamo eresie! Quando scoppiò il problema degli immigrati a Rosarno, in Calabria, la notte di Natale furono gli abitanti a scendere in piazza e offrire la cena. Il rifiuto, che è netto, nasce dalla paura. E la paura nasce dalla consapevolezza che non si farà rispettare la legge, che non si saprà distinguere i profughi dai clandestini, che i delinquenti sfuggiranno al controllo, che i procedimenti penali si concluderanno, se si concluderanno, quando gli imputati si saranno dileguati, che i rimpatri non saranno totali e che i problemi indotti da una tale massa di gente, bisognosa di tutto e disposta a quasi tutto, saranno riversati sulle popolazioni locali. Ecco perché c’è paura. Ecco il perché del rifiuto.
Né c’entra la nostra storia di popolo d’emigranti, perché da nessuna parte gli italiani si sono mai presentati pretendendo d’essere sfamati e assistiti. Noi siamo stati un’opportunità per i Paesi dove siamo andati a lavorare, così come i migranti odierni dovrebbero esserlo per noi. Ma i presupposti sono: rispetto totale della legge e integrazione. Tenere torme di clandestini, o accogliere comunità che pretendono di restare autonome nel diritto e nei valori, è il modo migliore per creare il razzismo e la xenofobia.
Negli altri Paesi europei, che oggi ci guardano annaspare, ci sono forze politiche razziste che da noi non esistono. Il linguaggio leghista può piacere o meno, ma non è paragonabile a quel che avviene altrove. All’insieme degli europei dobbiamo porre una questione: se l’immigrazione è un problema solo nostro, la guerra alla Libia un affare solo francese e inglese, il rigore monetario un vantaggio tedesco, la politica energetica ciascuno la gestisce per sé, va a finire che l’unica cosa che ci tiene assieme è il debito: chi ne ha troppo per essere salvato, e chi possiede le banche creditrici per non finirci spiaccicato. Un’Europa che farebbe orrore ai suoi padri.
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