Una volta era la manifestazione al Circo Massimo. Adesso sono le elezioni in Abruzzo. Successivamente saranno quelle europee di primavera o qualche altro accidente occasionale. Di sicuro c’è sempre un qualche pretesto per il segretario del Pd Walter Veltroni per contraddire la presunta vocazione riformista del proprio partito e cavalcare l’onda massimalista alla ricerca del risultato immediato. Si tratta di realismo politico? Quello che impone ad un leader di non perdere mai di vista gli avvenimenti che si susseguono giorno dopo giorno ed impongono una attenzione che spesso può spingere a derogare dalla strategia di fondo? Niente affatto. Si tratta di un vero e proprio metodo. L’unico che Veltroni conosce e sa applicare. Quello di subordinare i principi alle occasioni. E, di conseguenza, di puntare sempre e comunque sull’apparenza del momento piuttosto che sulla sostanza del lungo periodo. Il caso più vicino ed emblematico è quello dell’atteggiamento assunto dal segretario del Pd a proposito dell’incalzare della crisi economica. Di fronte al moltiplicarsi dei segnali della tempesta che rischia di sconvolgere il paese, Veltroni ha lanciato al governo la proposta di aprire rapidamente un tavolo a Palazzo Chigi tra i rappresentanti di tutte le forze politiche e sociali per un confronto sul modo migliore per fronteggiare il pericolo. In apparenza l’iniziativa è di buon senso.
E sembrerebbe dimostrare che la volontà di dialogo del segretario del Pd non si è affievolita in questi mesi di dure polemiche tra maggioranza ed opposizione. Nella realtà, però, non è affatto così. Perché subito dopo aver sollecitato al governo l’apertura di un confronto per fronteggiare la crisi, Veltroni non solo ha ripercorso tutti i provvedimenti economici varati nei mesi scorsi dal governo bocciandoli senza possibilità di appello uno per uno. Il ché può essere anche legittimo per un leader dell’opposizione che deve comunque marcare la differenza e la distanza con la maggioranza. Ma ha aggiunto anche una stoccata finale diretta personalmente contro il Presidente definendolo un “uomo del conflitto e della contrapposizione”. Cioè uno con cui non è possibile realizzare alcun tipo di confronto. È contraddittoria la posizione di chi chiede l’apertura del dialogo e contemporaneamente esclude che questo dialogo possa mai iniziare o produrre risultati, visto che il proprio interlocutore principale è “uomo di conflitto e di contrapposizione”? Per ogni persona di buon senso è sicuramente così.
Per Veltroni, invece, no. E non perché non abbia buon senso, ma perché il suo modo di fare politica è totalmente imperniato sulla contraddizione. Il suo, in sostanza, è il “ma anche” portato a sistema. Si chiede il dialogo “ma anche” s’insulta bloccandolo in partenza. E via di seguito. A dimostrazione e conferma che il segretario del Pd non ha un principio stabile a cui ancorare la propria azione, che potrebbe essere indifferentemente il dialogo o la lotta. Ma gioca sull’uno e sull’altro con assoluta indifferenza, alla ricerca non di una strategia a cui ancorare il Pd. Solo dell’occasione del momento per conquistare un titolo sui giornali o un passaggio in Tv. Chi ricorda l’esperienza di Veltroni in Campidoglio sa bene che questa è la strategia politica dell’effimero. Che produce le piazze piene nelle notti bianche, ma, alla lunga, provoca le urne vuote alle elezioni. Per il Pdl è una assicurazione sul futuro. Per il Pd una jattura (l'Opinione)
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