È facile fare l’imprenditore con i soldi degli altri. A Milano c’è una libreria un po’ anarchica. Il proprietario è un ragazzo piuttosto scettico sulle sorti del mondo, che in questi giorni di incentivi pubblici e auto da rottamare si è messo in testa di rileggere La rivolta di Atlante di Ayn Rand. Ogni pagina che sfoglia è una mezza bestemmia, contro gli imprenditori italiani che non sono come quelli del romanzo. Non rischiano. Non hanno senso del dovere. Non si prendono responsabilità. Dice: «Qui i profitti sono privati e le perdite sono di tutti». E poi cita una di quelle massime che piacciono ai romantici del liberalismo: «Il capitalismo senza perdite è come la religione senza inferno». Il libraio dice che non è questione di destra o di sinistra. Ma di etica. E ti cita il caso dell’olandese Philips: «Fa un solo trimestre in rosso, dopo anni di vacche grasse, e subito spedisce a casa seimila persone. Ti pare giusto?».
In questi giorni c’è tanta voglia di Stato. Forse un po’ troppa. Gli imprenditori ogni tanto dovrebbero, invece, metterci la faccia. Non si può sempre piangere con la scusa che è arrivata la bufera. Qualche segnale in controtendenza arriva da due poli opposti. La Coop, per esempio, sta facendo una campagna per dire: la crisi la paghiamo noi. E ha abbassato del 20 per cento il prezzo dei 100 prodotti più necessari. Mediaset Premium ha scelto di non scaricare sui clienti l’aumento dell’Iva. Tutto questo basta per superare la crisi? No, è chiaro. Ma almeno sottolinea una filosofia alternativa al piagnisteo.
È chiaro che questa crisi sta mandando in soffitta tutte le vecchie certezze. Basta guardare il terremoto che ha colpito il settore auto. È come se fosse crollato il simbolo del capitalismo novecentesco. L’auto era una sicurezza. L’auto era il progresso. Ora è in ginocchio. Le grandi case chiedono aiuto, disperate. Solo che si sono dimenticate anni di salari bassi, con la scusa dell’inflazione, della competitività, dei cinesi, dell’euro e dei conti pubblici. Tanta pazienza e poi ti sbatte in faccia la crisi dei mutui. Neppure Giobbe.
La Marcegaglia ora fa sapere che in Italia, nei primi tre mesi del 2009, è previsto un calo degli ordini del 60 per cento. E subito scatta la questione sociale: 300mila disoccupati in più. Quindi, via con il valzer degli aiutini di Stato. Anche l’edilizia soffre e gli elettrodomestici, e via via tutti gli altri. Ecco la vecchia equazione che ritorna. Il tutto condito con un po’ di retorica ambientalista: incentivi solo alle macchine che non inquinano. È questa patina etica che infastidisce. Gli imprenditori dell’auto non chiedono soldi perché non riescono a vendere i loro prodotti, ma per salvare il mondo. È molto comodo questo ragionamento. Lo sappiamo tutti. Gli incentivi ci saranno. Il costo sociale sarebbe troppo alto. Ma almeno non prendiamoci in giro. Qui a rischiare sono sempre gli stessi: artigiani, commercianti, piccole imprese e lavoratori flessibili. Quelli che quando c’è crisi pagano in prima persona e sulle spalle hanno solo paracaduti stracciati. (il Giornale)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
comincerei a tagliare i finanziamenti che prendono quei giornali tipo il foglio l'unità il manifesto, libero
per esempio solo l'opinione nel 2003 prendeva la bellezza di 3milioni di Euro
"È facile fare l’imprenditore con i soldi degli altri."
Posta un commento