La candidatura di Massimo D’Alema, a rappresentante della politica estera europea, è interessante per quel che la rende possibile e per quel che, a sua volta, renderebbe possibile. Vedo, però, che domina la superficialità, la totale amnesia, l’abitudine a scrivere tutti le stesse cose, con esclusivo riferimento ai giochini interni al mondo politico. Altro che lo sguardo rivolto al mondo, ne vedo tanti che non riescono neanche ad abbandonare il quartiere parlamentare, fatto di gran perdite di tempo, di chiacchiere inutili, e di passioni che s’accendono solo quando ti domandano: sai chi è chiappe d’oro?
La politica internazionale che D’Alema conosceva, come i contatti che coltivava ed i viaggi che faceva, erano, fino a non molto tempo fa, tutti interni al mondo comunista. E’ stato, per lungo tempo, un gran festeggiatore di dittature. In quelle condizioni, statene sicuri, nessuno avrebbe pensato a lui. Neanche per dirigere le relazioni esterne di un qualsiasi comunello dell’Europa democratica ed occidentale. Ma l’uomo è tenace, e seppe cogliere l’occasione per tradurre in politica vera la forza che gli veniva dall’essere la più riuscita espressione dell’apparato comunista italiano. La data che segna l’inizio del suo cammino, nella politica estera, è il 24 marzo 1999.
Un passo indietro. Crollato il mondo comunista, dissoltasi la Jugoslavia del maresciallo Tito, i nazionalisti serbi avevano avviato il genocidio degli albanesi kosovari. L’Europa era rimasta a guardare. Il governo italiano, presieduto da Romano Prodi, aveva fatto di più, consegnando sacchi di soldi a Slobodan Milosevic, da cui Telecom Italia aveva comprato Telekom Serbia (1997). Un mondo di fessi cercò le tangenti (che ci furono), lasciandosi sfuggire che lo scandalo era nell’affare, grazie al quale furono rifornite di soldi le truppe sterminatrici.
Fu Bill Clinton, presidente statunitense, a tagliarla breve: i serbi devono smetterla. Poco importa che il Vaticano li ami (essendo islamici gli albanesi kosovari) o che Mosca non gradisca. Fu attivata la Nato e si prepararono i bombardamenti. Che avrebbe fatto l’Italia, in affari con i criminali? D’Alema capì al volo e ne approfittò per seppellire Prodi e fare un gran favore agli americani. La cosa fu possibile grazie a Francesco Cossiga, che per favorire l’operazione fondò un partito, l’Udr, con Clemente Mastella. Furono Cossiga e Mastella a mettere D’Alema a Palazzo Chigi, con il compito di portarci in guerra contro la Serbia. C’è, in giro, troppa gente che dimentica. Il 24 marzo 1999 iniziarono i bombardamenti.
I lati comici, si fa per dire, furono due: a. i bombardieri Nato, compresi i nostri, tirarono giù, come prima cosa, le torri di telecomunicazioni che avevamo appena comprato; b. agevolato anche dallo scandalo di Telekom Serbia D’Alema favorì la scalata (irregolarissima) di Telecom Italia, che fu irrimediabilmente depredata e distrutta.
Il governo D’Alema durò poco e fece meno, ma quel posizionamento in politica estera (che condividevo ed ancora considero provvido) aprì una nuova strada all’allora presidente. La vicenda di Telecom, però, ed il modo zotico ed arrogante con cui fu gestita, consentendo affari oltre il limite dell’accettabile, lo azzoppò. Tornò al governo con Prodi, da ministro degli esteri. Questa volta la sua prova fu meno brillante, anche perché preponderante la forte debolezza di Prodi. Era il 14 agosto 2006 quando D’Alema se ne andò in giro, a Beirut, con quelli di Hezbollah, partito politico e gruppo terroristico, assassini di moltissimi israeliani e di civili innocenti. Sull’episodio D’Alema cincischia e minimizza, perdendoci. Inutile girarci attorno: quel gesto non può che essere letto alla luce dei molti anni di politica anti-israeliana, praticata dai comunisti e da D’Alema in persona.
Dieci anni dopo i bombardamenti in Serbia, cui si opposero i soli francesi, l’Europa potrebbe incaricarlo di curarne la politica estera. Con un particolare: la dottrina di Obama (per quel che è dato capire) è quasi opposta a quella di Clinton, più vicina a quella del suo successore, Bush. L’Europa che sceglie D’Alema lo fa per la fedeltà dimostrata agli interessi atlantici, o, al contrario, per la doppiezza di chi sa prenderne le distanze? Nei confronti di Tony Blair, leader di una sinistra europea che vedrei volentierissimo alla guida dell’Unione, tale dubbio non c’è, con D’Alema sì. Non è un caso, forse, che contro D’Alema ci siano gli unici di sinistra che sono ancora al governo, i laburisti di Gordon Brown.
E veniamo, brevemente, all’Italia. Silvio Berlusconi appoggia la candidatura, il che fa scrivere un sacco di cose scontate sulla ripresa del dialogo e la distensione interna. Evviva. Direi, però, che lo fa anche per difendere il rapporto con la Libia di Gheddafi e la Russia di Putin, il che, forse, è un tantinello più rilevante. Il pubblico ringraziamento di D’Alema comporta, nella sinistra, l’inevitabile rottura in tre pezzi: da una parte quelli che non vogliono finire sotto l’ala di un ex comunista, da un’altra quelli che campano di solo antiberlusconismo, da una terza quelli che vorrebbero essere altro, ma ancora non ci riescono. Ed è a tal proposito che dico un’ultima cosa, utile alla sinistra: non credo D’Alema la spunti, ma glielo auguro, come auguro a noi tutti che, almeno in questa circostanza, almeno vedendo la possibilità di una consacrazione europea, egli trovi il coraggio di dire, senza alcun margine d’equivoco, quel che sa benissimo: il comunismo fu una tragedia senza alcun lato positivo, una pagina di sangue e di merda, noi comunisti italiani siamo stati complici silenti o illusi irresponsabili e finanziati. Scusate.
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