Nel caravanserraglio che dal popolo viola arriva ai post-it di Repubblica, mancava un mattatore capace di ravvivare la fiamma dell’antiberlusconismo su scala planetaria. Puntuale il mangiafuoco è arrivato e risponde al nome di Frank La Rue, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione. "Il governo italiano – ha sentenziato La Rue incurante della nostra sovranità nazionale – deve modificare o abolire il progetto di legge sulle intercettazioni", perché, "se venisse adottato nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto della libertà di espressione in Italia".
L’uomo dell’Onu si dice "consapevole" delle "implicazioni che la pubblicazione delle informazioni intercettate possono avere nel processo giuridico o nel diritto alla privacy" e auspica un "dialogo significativo" tra il governo e tutte le parti interessate, dichiarandosi pronto a "fornire assistenza tecnica per garantire che il provvedimento rispetti gli standard internazionali sui diritti umani".
Visto che le parole di La Rue, com’era prevedibile, si sono rivelate una manna dal cielo per l'opposizione, è opportuno verificarle una per volta. Primo, l’onusiano non ci sembra granché “consapevole” del fatto che non esiste un legame di sangue tra la libertà di espressione e i paletti (che non sono un divieto assoluto) imposti al regime delle intercettazioni. Se domani questo giornale decidesse di pubblicare l'epistolario privato fra La Rue e la sua consorte e una legge ce lo impedisse sarebbe un attentato alla libertà di espressione o un modo spregevole di turbare la sua privacy? D'altra parte, come ha evidenziato seccamente il ministro Frattini, "in tutti i paesi liberali e democratici del mondo non è consentito divulgare prima della sentenza definitiva atti che devono restare segreti".
Secondo, quando La Rue chiede "più dialogo" al governo dimentica che ormai sono due anni che il ddl intercettazioni passa dalla Camera al Senato, e che alla discussione in aula si sono aggiunte le audizioni in Commissione Giustizia, dove si è ascoltato il parere, per esempio, dei magistrati. Come pure forse non è informato del fatto che si stanno valutando e votando una serie di emendamenti che vanno incontro alle perplessità del Colle e hanno lo scopo di trovare un punto d’equilibrio fra il diritto alla riservatezza garantito dalla Costituzione, l’azione della magistratura e la libertà di stampa. (Uno degli emendamenti potrebbe rivedere al ribasso la “punizione” inflitta a quegli editori che pubblicano materiale intercettato, che per La Rue è una pena “sproporzionata al reato”.)
In conclusione, rispondiamo con un cortese “no, grazie” alla sua offerta di trasferirsi per qualche mese in Italia come consulente del governo sulla questione della libertà di espressione. La Rue deve aver confuso il nostro Paese con il Guatemala, lo stato dell’America Centrale in cui ha fatto carriera negli anni scorsi battendosi (giustamente) contro i bavagli (quelli veri) imposti dai governi locali a giornalisti che in quelle latitudini rischiano davvero grosso. Resti pure da quelle parti, insomma, e saremo noi i primi a offrirgli la nostra consulenza. In caso contrario, potremo dire che ci mancava solo lui per finire di screditare l’enorme carrozzone delle Nazioni Unite. (l'Occidentale)
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