Dice Francesco Rutelli che è scoccata l’ora del terzo polo. A questa costruzione si dedica, egli ricorda, da quando è uscito dal Partito Democratico, che aveva cofondato. Allo stesso sforzo chiama Gianfranco Fini, che dal Popolo delle Libertà non vuole uscire, avendolo cofondato. In quella casa terza, inoltre, dovrebbe darsi tutti appuntamento con Pier Ferdinando Casini, a lungo esponente del centro destra, poi navigante solitario più per necessità che per scelta. Tutto questo m’affascina, perché terzopolista nacqui, e probabilmente creperò, ma non capisco cosa diavolo vogliano fare questi signori e temo che neanche loro abbiano le idee passabilmente chiare. Intanto perché per esserci un terzo polo occorre che ce ne sia un primo e un secondo. Se qualcuno li vede mi faccia un fischio, perché io vedo solo spaccature pro o contro Silvio Berlusconi.
Il vecchio sogno della “terza forza”, che mi svezzò, nasceva da un presupposto oggi sconosciuto: c’è una vasta forza politica dei cattolici e c’è un’imponete presenza dei comunisti, nella sinistra, sicché i laici antitotalitari immaginavano possibile dare vita ad una terza componente. Che non prese mai forma compiuta, perché la realtà era diversa, visto che nella sinistra, dopo la rottura del Fronte Popolare, c’erano anche i socialisti e che l’area dei partiti laici era divisa in tre o quattro partiti. La fissione dell’atomo, si diceva con amara ironia. Ma, insomma, quella era un’altra storia.
Oggi i comunisti sostengono di non esserlo mai stati e tutti si dicono amici del Vaticano, sicché domando: ma terza de che?
Più che un movimento politico, quello dei terzi, sembra un’assemblea degli sfrattati. Rutelli è stato eletto sindaco dalla sinistra, è stato candidato della sinistra contrapposto a Berlusconi, ha cofondato il partito della sinistra, ma, ad un certo punto, s’è scoperto una vocazione da terzo incomodo. Dice che, per soddisfarla, ha rinunciato alla poltrona. Non è che, per la precisione, sia stata l’assenza della medesima ad avergli solleticato lo spirito critico? Lo stesso Fini ha tutte le ragioni quando sostiene il diritto al dissenso e al mettere a confronto idee politiche diverse. Solo che, se entrasse in una macchina del tempo e potesse incontrare il sé stesso nel corso degli anni, potrebbe utilmente dibattere con sé medesimo, accusandosi da sé solo di estremismi contrapposti: dal duce (minuscolo, proto, minuscolissimo) più grande statista del secolo a male assoluto, dai maestri che non siano froci ai diritti degli omosessuali, dall’Europa nazione e la legge sull’immigrazione al venite, integriamoci e votate. Posto che, senza l’entusiasmo del neofita, tendo a condividere gli approdi e detestare le sponde da cui salpò, prima di aprire il dibattito si deve fare come per i vini: stabilire l’annata di riferimento.
Poi c’è il furbo Casini, l’unico terzaforzista nato e cresciuto democristiano, che gode dei guai degli altri due, come loro godettero dei suoi. La posizione di Casini è lineare: se volete confluire nel mio Partito della Nazione (i nazionalisti? oibò), riconoscendo d’esservi sbagliati per almeno un paio di legislature, sarete i benvenuti, se, invece, ve ne starete per i fatti vostri auguri, che io potrò sempre sostituirvi, da una parte o dall’altra. L’ex rampollo di Arnaldo Forlani imparò la politica fin da piccino e sa leggere i risultati elettorali, i quali dicono, alle regionali, che l’Udc prende voti quando s’allea con il centro destra e li perde quando va a sinistra. Ha capito l’antifona, ma visto che non ci sono elezioni in corso si barcamena.
L’antica terza forza puntava alla nascita di una sinistra democratica, qui, invece, i senza tetto odierni cercano di cancellare dal vocabolario i concetti di destra e sinistra, se non per dire che sono detestabili. Dopo averli lungamente abitati. La domanda è: perché la sinistra vera, quella che fu comunista e che cambia nome come gli abiti stagionali, non li aiuta a crescere? La risposta è: perché mica sono del tutto scemi. Oramai incapaci di fare politica, un po’ tutti, si limitano a campare di rendita berlusconiana e antiberlusconiana. I primi devono solo mostrarsi degli entusiasti balilla, meglio se giovani italiane, ma i secondi sanno bene che se sorgono altri soggetti ci si deve dividere la torta. I voti antiberlusconiani, più o meno, quelli sono. Il più bravo a coalizzarli fu Romano Prodi, fin qui imbattuto. I successori, invece, sono dei maghi nel dividerli. Se prendono anche Fini fra i concorrenti, avendo già in seno una bella truppa di giustizialisti fascistoidi, si mettono tutti a stecchetto e va a finire che scavalcano a destra Francesco Storace, camerata verace.
Oddio, l’alzheimer: perché ho cominciato a scrivere questo articolo? Tanto, questa roba è destinata a scuocere senza essere scolata. Ah sì, adesso ricordo. Ho una modesta e limitata richiesta da avanzare: per rispetto di quelle scuole minoritarie, ma gloriose, che affondarono le loro radici nel Risorgimento e guardarono con speranza alle democrazie anglosassoni e maggioritarie (quelle vere), potreste avere la buona creanza di non chiamarvi “terza forza”, o “terzo polo”? Provate con qualche cosa di più immediato e popolare, mettendo a frutto la lezione che il berlusconismo impartisce, da tanti anni. Ecco, ad esempio: “a riecchice”, oppure “daje e ridaje”.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento