Parigi-Londra in due ore. La Torino-Lione non è ancora partita.
Il Financial Times di ieri riportava in prima pagina un’immagine del nuovo Eurostar in grado di collegare Londra con Parigi (492 Km) in poco più di due ore. E’ più o meno quel che si impiega ad andare da Milano a Torino (130 km), con una delle linee più moderne d’Italia, tutta in pianura e, naturalmente, senza di mezzo alcun tratto di oceano. I progetti di sviluppo del sistema dei trasporti italiani, a cominciare da quelli su ferro che una volta erano nelle preferenze della sinistra, si sono bloccati a causa del veto dei sedicenti ambientalisti, accettato esplicitamente per bloccare la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, ma altrettanto efficace per quel che concerne la ferrovia ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino con Lione (e quindi anche con Parigi e Londra). Le tratte che non sono state bloccate con il pretesto della necessità di raccogliere il consenso popolare di tutti i paesi e le frazioni che stanno sul percorso ipotizzato, sono egualmente bloccate da interventi retroattivi sugli appalti. Insomma, come al solito, in Italia ci sono mille sistemi per bloccare un’iniziativa e pochissimi per realizzarla. Uno di questi era la legge obiettivo, che unificava l’iter amministrativo per le grandi opere; l’altro l’articolo della riforma costituzionale che chiariva le competenze dello stato sulle grandi reti separandole da quelle delle amministrazioni regionali e locali. Queste scelte del centrodestra sono state abbandonate, e ad esse non si è sostituito alcun meccanismo decisionale alternativo. Così la bassissima velocità della decisione politica, gabellata per ricerca della partecipazione democratica, rende impossibile partecipare davvero alla modernizzazione del sistema dei trasporti continentale. Tutta la retorica europeistica si infrange, così, sugli scogli di un sistema politico che regredisce verso il contenzioso giurisdizionalistico dell’epoca premoderna. Il costo vero della politica è questo, quello dell’incapacità di decidere, che reca agli italiani assai più danni dell’abuso, pur criticabilissimo, delle auto blu.
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