mercoledì 23 settembre 2009
Farabutti e cialtroni. Orso Di Pietra
“Pace subito! Pace subito”. Con quale enfasi e palese soddisfazione le agenzie di stampa ed i siti dei grandi giornali hanno ossessivamente sottolineato come nel corso della cerimonia funebre dei sei paracadutisti della “Folgore” abbia risuonato dentro la Basilica di San Paolo questa richiesta perentoria. Come se quell’urlo rappresentasse il sentimento comune e profondo dei partecipanti al funerale e dell’Italia tutta. E costituisse un impegno all’immediato ritiro. Poi, il giorno dopo, si è appreso che a lanciare il grido è stato un esibizionista recidivo. Uno che in passato aveva interrotto il Festival di San Remo, il Costanzo Show ed un concerto di Madonna a Barcellona. Ma i giornalisti delle agenzie e di siti che tanto avevano evidenziato l’appello pacifista, si sono ben guardati dall’ammettere di aver commesso un errore. Farabutti? No, semplicemente cialtroni! (l'Opinione)
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6 commenti:
Tassare i Bot? Ultimo assalto ai risparmiatori
Inasprire la tassazione sulle rendite finanziarie è una grande sciocchezza. Non ne parleremmo, se non fosse che il tema oggi è ritornato prepotentemente di moda. E per di più non per merito di qualche minoranza ideologica: non si tratta dunque di una provocazione di qualche barbudos di piazza Euclide. Ne parla Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera e sul Foglio. Diego della Valle, in un’intervista a Repubblica, lascia un piccolo spiraglio aperto. Oggi in Italia gli interessi sui Bot e i guadagni di capitale sulle azioni godono di un trattamento fiscale relativamente favorevole che li vede colpiti al 12,5 per cento. In un Paese in cui si tassa anche il respiro e con aliquote ben più alte, le rendite finanziarie rappresentano un territorio di caccia vergine. Nel resto del mondo occidentale sui frutti del capitale si pagano tasse più alte. Perché allora si tratta di una sciocchezza? E cosa ha acceso questa importante vague fiscale? Intanto bisogna sottolineare come la proposta oggi sia più sottilmente pericolosa di quanto avvenisse nel passato. Non solo per chi se ne fa portavoce. Ma per uno scambio esplicito che essa contiene. Le maggiori tasse sulle rendite sarebbero giustificate da una parallela riduzione delle imposte sul lavoro. Et voilà, il piattino demagogico è servito. Se fosse però solo tale, demagogico, non varrebbe la pena occuparsene. C’è qualcosa di più. Vediamo.
Sono varie le cause scatenanti di questo ritorno di fiamma fiscalista. La prima, inconfessabile e vigliacchetta, è quella di rendere difficile la vita allo scudo fiscale tremontiano. Riportare i capitali in Italia con il rischio di un prossimo inasprimento fiscale è l’incubo degli evasori alla ricerca di uno scudo e nel contempo l’argomento più forte della propaganda svizzera. Lo scudo fiscale sarà più o meno un successo anche in funzione di questi argomenti light: seminare qualche autorevole dubbio e alimentare latenti paure fa il suo effetto.
La questione è però più propriamente politica. Perché Giavazzi oggi la pensa come Bertinotti? In fondo l’obiettivo politico, non quello economico, è il medesimo: disarticolare il blocco sociale del centro destra. La sirena fiscale, come abbiamo detto, è più sofisticata: aumentiamo le imposte sui Bot e diminuiamole nel contempo sul lavoro. Si agisce così sui due emisferi del nostro cervello fiscale: in principio si colpiscono i patrimoni dei ricchi nullafacenti, ma si detassano quelli dei solidi lavoratori. Troppo bello, ovviamente, per essere vero. I due insiemi sono sovrapposti: i rentier e gli sgobboni in Italia sono la stessa merce. Il risparmio è talmente diffuso e parcellizato che la sua tassazione inevitabilmente colpisce anche il lavoratore. Gli economisti, e in questo ha ragione Tremonti, tendono a utilizzare troppo spesso modelli per raccontare e costringere una realtà poliforme. Non esiste, dalle nostre parti, separazione netta tra classi di reddito nei propri gusti finanziari. Inventare questa distinzione può avere una ragione ideologica: è il caso della tesi marxiana. Ma nella nostra storietta, la motivazione è tutta politica. Utilizzare un argomento berlusconiano (riduciamo le tasse sul lavoro, oppure tagliamo le aliquote Irpef) per colpire proprio il popolo berlusconiano (tassiamo Bot e azioni): è ragionevole, ovviamente, ridurre le imposte, ma non sbattendo contro il muro dell’aumento delle stesse.
Fino a poco tempo fa gli stessi proponenti l’aumento delle tasse sui capital gain, non erano in prima fila a richiedere la riduzione dell’Irpef, ma piuttosto ci raccontavano (e con buona ragione) che era opportuno ridurre la spesa pubblica. Oggi devono avere cambiato idea. Ma non possono averlo fatto al punto tale da dimenticare che la tassazione del risparmio in gran parte dei casi è una doppia tassazione. I tanti quattrini investiti dagli italiani in Bot e i pochi investiti in Borsa non arrivano da personali stamperie di carta moneta: bensì dal frutto del lavoro. Sono già passati dunque sotto la mannaia della nostra tassazione sovietica. Adesso ci svegliamo e diciamo: per diminuire le imposte sul lavoro aumentiamo quelle sul reddito. Bella trovata.
Ecco come Montezemolo si prepara il futuro
Qualche giorno fa Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera - come aveva già ricordato Nicola Porro - ha aperto una polemica non secondaria con casa Agnelli sull'ipotesi di acquisto da parte della Exor (finanziaria controllata dalla «famiglia») di Banca Fideuram, di proprietà d'Intesa San Paolo, per aiutare così la banca guidata da Corrado Passera a evitare i Tremonti bond. Mucchetti sollevava dubbi sulla congruità dell'affare, sull'opportunità agnelliana di investire in altri campi mentre la Fiat chiedeva sussidi pubblici, sulle obbligazioni richieste da Exor per finanziare l’auto e usate per Fideuram, sulla liceità di «comprare» una banca a prestito e infine sulle relazioni un po' particolari tra un socio (Exor) e una società partecipata (Intesa S.P.). Ieri Mucchetti ha fatto capire che molto è «rientrato», che Passera ha chiesto la copertura di Giovanni Bazoli, con cui c’era stata qualche tensione, che dei Tremonti bond si discuterà «laicamente». Tutto è bene quel che finisce bene? Per capirlo si deve riflettere su un particolare: in tutti questi giorni dopo la «bomba» Mucchetti, su giornali che si considerano l’élite dei quotidiani italiani (la Stampa, La Repubblica e il Sole 24 ore) dell’affaire non si è vista quasi traccia. Assolta la Stampa per evidente motivi. È interessante notare come il giornale-partito Repubblica commenti solo le notizie che servono alla sua strategia politica. Ed è curioso osservare l’atteggiamento del Sole che spesso dà lezioni sul rapporto tra élite e opinione pubblica.
Il caso in questione è l’esempio più chiaro di un circuito tendenzialmente chiuso tra certe élite e certo establishment, che già all’inizio del Duemila, quando non vennero date informazioni adeguate sullo stato della Fiat, aveva procurato qualche guaio al «popolo», in quel caso dei risparmiatori-azionisti.
Naturalmente è criminale criminalizzare la Fiat e gli Agnelli che tanto hanno contribuito a fare dell’Italia quel che è. Ma è doveroso ribadire come sia finita una fase della storia del nostro Paese, nella quale settori influenti delle élite e dell’establishment formavano un circuito chiuso anche per cause di forza maggiore (Guerra fredda e presenza del Partito comunista più forte d'Occidente). Bisogna lavorare per una società aperta, dove certi «circoli» non possano più pesare come nel passato. C'entra in questo quadro anche la costituzione della fondazione Italiafutura (sarà presentata il 7 ottobre), promossa da Luca Cordero di Montezemolo e Passera, e diretta da un intellettuale di valore come Andrea Romano, che già un ruolo simile aveva ricoperto nella dalemiana fondazione Italianieuroepei? È sbagliato fare processi alle intenzioni: Italiafutura si misurerà solo dalle idee che saprà produrre. Certo che Montezemolo già tra il 2003 e il 2004, conquistando Confindustria, colloquiando con l’allora presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, in stretto collegamento con Antonio Fazio (con cui poi ruppe) e valenti banchieri, usando l'influenza allora del Corriere della Sera, lavorò per disarticolare il governo di centrodestra, arrivando a determinare le dimissioni di Giulio Tremonti e mettendo le basi per quel disastro che fu il governo Prodi.
Oggi la situazione è radicalmente cambiata, gli attacchi frontali a Berlusconi non paiono risolutivi, manca un’alternativa. C’è, però, la voglia di indebolire Tremonti. Per poter usare, poi, un certo condizionamento del governo come strumento per contare negli equilibri di grandi gruppi economici prima che in questi si affermi definitivamente la volontà di misurarsi con il mercato e la produzione piuttosto che con il potere intrecciato alla politica (e a certe élite). Infatti una seria cultura di mercato si sta facendo strada nella Fiat multinazionale impostata da Sergio Marchionne e così in ambienti di un’Intesa che grazie anche ai Tremonti bond potrebbe dedicarsi a finanziare maggiormente l'industria invece che impancarsi in giochi di potere ora editoriale, ora immobiliare, ora borsistico, ora di altro analogo tipo.
good start
Si, probabilmente lo e
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