Sono abbastanza anziano per aver partecipato alle Tribune politiche della vecchia Rai, al tempo della Prima Repubblica. Qui ne rammento una del giugno 1976, vigilia elettorale. Il protagonista era Enrico Berlinguer, segretario generale del Pci. E il suo arrivo in via Teulada ebbe il protocollo e le cadenze di un rito ecclesiastico. Tanto da farmi ricordare l’ingresso di un cardinale in una parrocchia di certo importante, ma non del livello di una sede vaticana.
Il moderatore di quella Tribuna, Luca Di Schiena, e il regista, Giuseppe Sibilla, attendevano il leader del Pci all’ingresso degli studi televisivi. Attorniati dalla pattuglia dei comunisti in servizio attivo alla Rai. E dai tanti cronisti, me compreso, tutti abbastanza eccitati.
Sceso dalla berlina blu, re Enrico avanzava nel cortile con passettini lenti. A braccetto del suo medico, il pneumologo Francesco Ingrao, fratello di Pietro. Il piazzalino di via Teulada era gremito di gente. Ma nessuno fiatava. Anche Berlinguer stava in silenzio. Si limitava a sorriderci in quel suo modo speciale: tra l’intimidito e l’altero. Mi sembrò davvero un uomo di chiesa. E pensai: adesso ci benedirà.
Quando il leader del Pci giunse di fronte alla vetrata che conduce agli ascensori e poi agli studi, la piccola folla si divise. Facendo ala al suo passaggio. Re Enrico ringraziò con un tenue cenno del capo. Quindi seguì il suo addetto stampa, l’energico Tonino Tatò, che premeva per non arrivare in ritardo alla registrazione.
Adesso spostiamoci ai tempi d’oggi. È giovedì 24 settembre 2009. Siamo sempre alla Rai, dove sta per iniziare la puntata di “Annozero”. Anche in questo caso è atteso un leader politico di sinistra e tra un istante vedremo chi sia. Ma i due big del programma se ne fottono.
Michele Santoro e Marco Travaglio entrano nello studio per primi. Il pubblico si leva in piedi e li accoglie con una standing ovation. Michele e Marco si offrono al battaglione dei fotoreporter. Scherzano, se la cantano e se la ridono. Del resto, hanno una ragione per fare così: “AnnoZero” sono loro due e nessun altro.
Qualche minuto dopo entra il leader invitato nel Tempio del Santorismo. È Dario Franceschini, il segretario del Partito democratico. Nessuno se lo fila. Eppure il signor F. si è presentato persino in maniche di camicia. Adesso si usa: la camicia segnala voglia di combattimento, fa molto talk show all’americana. Come ci ha insegnato Gianni Riotta, che quando dirigeva il Tg1 aveva come divisa la mitica button-down bianca. Al massimo accompagnata da una cravattuccia nera, poco più di una stringa.
Ad “Annozero” iniziato, il signor F. indosserà poi una giacca. Ma neppure così rivestito attenuerà l’impressione grigia che suscita in noi telespettatori. Che pena, il povero F. Mi ha fatto pensare a un leader dimezzato. Costretto a tener conto di due padroni. Il primo non è di oggi: Ezio Mauro, il direttore di Repubblica. E adesso anche il santone Michele, un politico ben più forte di F. Dotato di un’arma micidiale che lui non possiede: un programma televisivo all’arma bianca, seguito da milioni di tifosi molto scaldati.
Di qui alla fine del tormentone congressuale del Pd, il signor F. sarà obbligato a percorrere la strada che Mauro e Santoro gli indicheranno giorno per giorno. Bisogna aggiungere che F. si comporterà così non perché la sua autostima sia ridotta al lumicino. Anzi, a osservarlo nei comizi, F. pare sempre più convinto di essere un Superman del progressismo. Se fosse milanese invece che figlio della magica Ferrara, dovremmo dire che non vediamo nessuno più ganassa di lui. A Milano il ganassa è lo spaccone, il parolaio presuntuoso, tutto chiacchiere e distintivo del Pd.
Il nocciolo del problema sta nel meccanismo fantozziano escogitato per eleggere il segretario democratico. In un primo round, votano gli iscritti al partito, come sta avvenendo. Ma il vincitore non potrà affatto ritenersi il leader. Poiché dovrà sottoporsi a un altro esame: quello delle primarie.
In questo secondo round voterà chi deciderà di farlo, chiunque sia e qualunque scopo abbia in mente. L’esito della consultazione potrebbe ribaltare l’esito del voto dentro il partito. Con quali conseguenze nessuno è in grado di dirlo.
Le cronache politiche sostengono che il signor F. stia contando sulle primarie. Il voto degli iscritti dice che, per ora, a essere in testa è Pierluigi Bersani. Avrà anche un linguaggio antico, popolaresco, un po’ fuori moda, in stile tardo Pci, come ci ha spiegato sul Sole-24 Ore quel cervellone di Miguel Gotor. Ma ai pochi o tanti iscritti del Pd, Bersani sembra un segretario più affidabile del ganassa di Ferrara. Però anche in questo partito, ahimè!, del domani non v’è certezza.
La conclusione è scontata. Per vincere le primarie, il signor F. sposerà le posizioni più estremiste, le più arrabbiate, le più lunatiche. Urlerà invece di parlare. Farà scelte turche: demagogia allo stato puro, fanatismo, rabbia, invettive. Il tutto condito dalle balle stratosferiche che sta già spacciando: siamo al fascismo, la democrazia tira le cuoia, la libertà di stampa è defunta, a Palazzo Chigi siede un tiranno che accorpa in se stesso i connotati malvagi di Mussolini, Hitler e Totò Riina, in salsa puttanesca.
Il signor F. non farà nessuna fatica a condursi così. Gli basterà attenersi ai consigli di Repubblica e di “Annozero”. Se non gli sembreranno sufficienti, potrà sempre rivolgersi all’alleato Tonino Di Pietro. Quello che ha detto: abbiamo un Parlamento di mafiosi. (il Riformista)
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4 commenti:
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