«Figlio mio, lascia questo Paese». Non può non suscitare indignazione, prima ancora che amarezza, il saggio di qualunquismo somministrato al Paese su La Repubblica da un privilegiato di regime come Pier Luigi Celli con la scusa di scrivere una lettera al figlio Mattia che si sta per laureare. L’ex direttore generale della Rai (1998-2001 in piena orgia di sinistra), un miracolato che ha scalato mille incarichi senza un vero perché, se non quello della militanza politica, se la prende con questo mondo cinico e baro, «una società divisa, rissosa, fortemente individualista», in cui conta solo il «riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili, di carriere feroci fatte su meriti inesistenti». A meno che «non sia un merito l’affiliazione, politica, di clan, familistica».
Stupiscono queste parole nella penna di uno come Celli che, laureatosi in sociologia a Trento ai tempi di Renato Curcio e del dissenso per il dissenso, ha un cursus honorum, che se fa onore a lui non lo fa certo al Paese che suggerisce al figlio di abbandonare con la velocità della luce. Risorse per mantenerlo all’estero o comunque per dargli una mano a trovare una sistemazione certo non gliene mancano. Eppure la sua carriera è lo specchio fedele del Paese che aborrisce. Il Paese che gli ha consentito di coltivare la sua religione, il generalismo, quello che gli ha consentito di saltare da un incarico all’altro con la disinvoltura di uno che sa per certo che cadrà sempre in piedi: direttore delle Risorse umane dell’Eni, è passato, oltre che dalla Rai, da Omnitel e Wind a Unicredit, all’Enel fino alla direzione generale della Luiss con buona pace di Guido Carli, il fondatore della Libera università romana senza disdegnare numerosi consigli di amministrazione di cui ha fatto o fa ancora parte: Lottomatica, Hera, Messaggerie Libri. Da questo pulpito, che gli permette anche di presentarsi come narratore e saggista (è autore per chi non lo sapesse di un trattato che, con scarso senso dell’humour, ha intitolato Breviario di cinismo ben temperato, e che è un florilegio di battute da avanspettacolo), dice al figlio che questo è un «Paese che non ti merita». Ma non avrebbe meritato neanche lui, Pier Luigi Celli, se la sua militanza a sinistra non lo avesse proiettato verso traguardi altrimenti impensabili. Fatti di onori e prebende.
A mio figlio, al contrario, come penso la maggior parte dei genitori italiani, insegno ad amare la propria Patria e che deve sentire con orgoglio tale appartenenza. Gli spiego anche di non seguire i cattivi maestri e di impegnarsi perché il nostro Paese diventi migliore. (il Giornale)
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