La leadership di Berlusconi mi ha sempre affascinato perché passa allegramente e in continuazione attraverso tutti i periodi musicali della mia non breve vita: dal melodico di Nilla Pizzi, ai Pink Floyd e Annie Lennox, passando per i cantatutori degli anni sessanta, e poi Rock, Twist, Pop, Reggae, Tekno, con brevi notazioni Country, senza mai dimenticare i fondamentali di Tango e Samba.
Dunque, nulla da dire, nulla da correggere. Inutile soprattutto tentare generosamente, come ha fatto con saggezza il Foglio poco prima del deferimento ai probiviri di Bocchino, Granata e Briguglio, di evitare disastri in famiglia mettendo al centro dell’agire le regole auree del gioco politico.
Non intendo quindi parlare del “che fare”, nel guazzabuglio quotidiano, in attesa dell’ennesimo nuovo spartito.
Un consiglio però, lo darei volentieri al Cavaliere: si guardi indietro e conti quanti giovani giornalisti, canuti commentatori, intellettuali, artisti, opinion makers lo hanno seguito dal momento della sua discesa in campo sino ad oggi (e fanno 17 anni). Se lo fa, si accorge che la sparuta pattuglia di mondo culturale e giornalistico che stava con lui già allora, non è cresciuta. Peggio, è diminuita, perché non pochi dei suoi supporters si sono stufati di essere ignorati – quando non penalizzati o marginalizzati nelle sue stesse aziende - e si sono ritirati nel loro guscio.
Questo, nonostante che Berlusconi sia il più grande editore italiano nel campo della televisione, dei libri e della carta stampata e che abbia seduto a Palazzo Chigi per 9 anni, anche se non consecutivi, controllando un ministero chiave come quello della Cultura, che decide nomine strategiche in tutti gli snodi del mercato culturale italiano, nel senso più vasto.
Bilancio preoccupante, grave, cui dovrebbero fare attenzione soprattutto i suoi collaboratori, quei dirigenti del Pdl che sanno che da qui a qualche tempo dovranno pur fare i conti con la successione del leader carismatico..
Un quadro che risulta ancora più grave – quasi inspiegabile - a fronte della capacità che ha invece dimostrato Fini, nel prendere 4, diconsi 4, intellettuali a lui affini (e ben poco noti), di affidargli la sua Fondazione FareFuturo e di riuscire così a far dominare le acque della politica italiana da un agile battello corsaro che – nel bene come nel male: il nostro è un discorso di tecnici della politica - ha dettato l’agenda degli ultimi mesi.
Lezione preziosa (e dolorosa), che andrebbe studiata a tavolino in via del Plebiscito. (l'Occidentale)
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