Non è più ammissibile che si possa prolungare nel tempo quanto avviene ogni anno il 2 agosto a Bologna. Questa data ha cessato di essere l'anniversario della strage più spaventosa avvenuta nell'Italia repubblicana e il simbolo della ripulsa nazionale, collettiva, ad ogni tentativo delle forze eversive, di destra o di sinistra, di delegittimare, o peggio smantellare, le istituzioni. In realtà, ogni volta si assiste ad uno spettacolo rivoltante. Dal palco della stazione centrale i rappresentanti della città e soprattutto quello delle vittime, insieme ad un gruppetto di contestatori della cosiddetta «sinistra radicale», muovono le critiche più severe e anche più infondate nei confronti del governo in carica.
Si chiede una cosa ridicola, cioè di abolire il segreto di Stato sulla strage di Bologna. Come sanno tutti, tale segreto non è stato mai opposto perché sulla vicenda dell'attentato criminale a Bologna non è mai esistito. Questa favola è un cavallo di battaglia inventato e propagandato, a puri fini agitatori, da esponenti dell'estrema sinistra «comunista» e dal sindaco che, con la delicatezza di un metalmeccanico, discetta su un problema delicato come quello del revisionismo storico. In secondo luogo si chiede che vengano individuati e puniti i mandanti della strage. Si tratta di una richiesta ragionevole, ma essa è una competenza della magistratura, e non del governo. In terzo luogo, viene celebrata una sorta di processo pubblico, popolare, nei confronti dell'ex presidente della Repubblica Cossiga, dei dirigenti di Alleanza Nazionale e di Forza Italia, al pari dei giornalisti e degli storici che si sono permessi di criticare la sentenza emessa dai tribunali sugli esecutori della strage.
Esprimere un dissenso in questi ultimi 25 anni ha significato essere esposti al maltrattamento di una parte della piazza e di chi, da anni, la manovra e scatena. L'obiettivo non è più il sentimento di pietà e il desiderio di stringersi attorno a chi è stato colpito negli affetti, combattendo ogni velleità revanscista sul nostro regime repubblicano e democratico. Si vuole, infatti, mettere sotto accusa i ministri del governo in carica quasi fossero essi i responsabili della miscela mortale fatta esplodere in una valigia nella sala d'aspetto della stazione bolognese. Questa infamia deve avere fine. Il governo, qualunque sia la sua estrazione politica, ha il dovere di sottrarsi a questo rito in cui si diventa bersaglio di ogni squallida e falsa imputazione.
In realtà, chi manovra il segmento rissoso della piazza lo fa sapendo che la posta in gioco è un'altra, cioè la sentenza di condanna dei terroristi neri Fioravanti e Mambro. Qualche ora dopo l'esplosione della stazione centrale, da parte del Pci, del sindaco dell'epoca e dello stesso presidente del Consiglio (Cossiga poi ha fatto ammenda di quell'errore) si proclamò che la strage era «nera», cioè era un atto dell'eversione neo-fascista. Tutte le inchieste, le accuse, i sospetti vennero indirizzati da questa parte. Era comprensibile e giustificato che si cominciasse cercando l'«infame» nei gruppi di estrema destra. Tutte le inchieste della Digos, del ministero dell'Interno e dei Servizi avevano da anni consentito di acquisire un imponente materiale (come dimostra il bel libro di Mimmo Franzinelli edito da Rizzoli, La sottile linea nera) su progetti, tentativi, attentati di questi terroristi (alleati non di rado a funzionari dei nostri servizi di intelligence) contro uomini e istituzioni della democrazia repubblicana.
Purtroppo le sentenze sul 2 agosto non sono riuscite a diradare ogni ombra (ha ragione Gianfranco Fini) e ad essere convincenti. Praticamente tutti i libri pubblicati (anche da studiosi di sinistra), le inchieste e le ricostruzioni televisive sono concordi nell'indicare che le motivazioni della condanna sono fragili, contradddittorie, poco o nulla fondate su prove. Com'è noto esse si basano sulle testimonianze di un criminale affetto da gravi turbe neuro-psichiche (e quindi per nulla attendibile) come Angelo Izzo, di un leader della malavita romana (Massimo Sparti), smentito dall'intera cerchia familiare, di una telefonata del giovane Ciavardini alla fidanzata perché non prendesse posto nel treno che poi salterà in aria. Tutto qui.
La verità giudiziaria non corrisponde alla verità storica e allo stesso senso comune. La requisitoria, pubblicata sul quotidiano del Pci, l'Unità, del pm Libero Mancuso, come le sentenze che ne sono seguite, non si fonda su un'ampia filiera di fatti, ma su un pregiudizio ideologico. La magistratura ha dato al Pci ciò che chiedeva, cioè dei colpevoli di una strage che si è immediatamente, cioè senza disporre di prove, bollata come di fattura «nera», cioè di criminali dell'estrema destra. Dunque, una classica sentenza sovietica, perché anzitutto ideologica. Appena nelle indagini giudiziarie si sono profilati un interesse e una responsabilità della sinistra (cioè del terrorismo arabo-palestinese alleato della Primula Rossa degli attentati ai treni, Carlos), nessuno ha esaminato il possibile ruolo di Thomas Kram e di Abu Saleh Anzeh. Non ha senso dire che essi abbiano sistemato la valigia che è esplosa nella sala d'aspetto della stazione di Bologna. Bisogna, però, non desistere dal chiedere come mai la magistratura non abbia compiuto i passi necessari per accertare le loro responsabilità.
Nel caso del terrorista tedesco Thomas Kram è stupefacente quanto ha dichiarato un magistrato noto per la sua indipendenza di giudizio dai partiti, Luigi Persico. Oggi sostituto procuratore aggiunto del Tribunale di Bologna, fu incaricato delle indagini il 2 agosto 1980 insieme ad altri tre più giovani colleghi. Persico ha, senza mezzi termini né equivoci, sostenuto che nessun organo di polizia segnalò a lui e agli altri tre sostituti le informazioni sul terrorista tedesco Thomas Kram di cui sia la Questura di Bologna sia il ministero dell'Interno disponevano sin da primi anni Settanta. Tutto ciò contrasta con quanto sia io sia i colleghi Giampaolo Pelizzaro e Lorenzo Matassa, consulenti della Commissione parlamentare sul dossier Mitrokhin, sin dal 2005, abbiamo potuto accertare. Dalla consultazione delle carte, a Bologna e a Roma, emerse che nei giorni immediatamente successivi all'attentato la polizia giudiziaria bolognese trasmise alla Procura un fascicolo su Kram, in cui la polizia tedesca ne confermava la pericolosità. Come mai nessuno si è preoccupato di esaminarlo e avviare delle indagini? Esse portavano, come ho potuto constatare, alla Primula Rossa del terrorismo, Carlos, e ai suoi legami col terrorismo arabo-palestinese. Quest'ultimo ebbe nel giordano Abu Saleh Anzeh, stabilitosi a Bologna, legato sia a G. Hababsh (il leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina) sia all'esponente del servizio di intelligence italiano a Beirut, il colonnello Stefano Giovannone, un proprio rappresentante.
Poiché questa pista è stata sottovalutata o ignorata, è auspicabile che la Procura della Repubblica di Bologna, nelle persone di S. Piro e L. Persico, la perlustrino con indipendenza e rigore. Malgrado i gravi limiti dell'inchiesta e delle sentenze di condanna, ogni 2 agosto si coglie il pretesto per accreditare una sentenza di tipo sovietico e non per cercare la verità. Il governo deve cessare di offrirsi come imputato, cioè come vittima consenziente di una gazzarra che copre un verdetto giudiziario che non ha la forza di convincere più nessuno. C'è un limite a lasciarsi ogni anno lapidare da un gruppo di comunisti per nulla pentiti. (Ragionpolitica)
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