No, grazie. L’autunno caldo proprio non interessa. Non è neppure una domanda da fare con le valigie già pronte, il bagagliaio dell’auto già aperto e uno straccio di vacanza da consumare. È il dialogo più chiaro di questa stagione di crisi. Il giornalista di Liberazione va davanti ai cancelli di Mirafiori. Qui un tempo c’era la classe operaia. Ora c’è gente che lavora, uomini, individui, che fanno i conti per arrivare a fine mese. Sono realisti. Sono solidi. Sono saggi. Dicono: «Lascia stare. È un momentaccio. E in autunno sarà ancora peggio. Con la cassa a rotazione avremo centocinquanta euro in meno in busta al mese. Se va bene. Fare sciopero? Siamo divisi, pronti a essere sostituiti. E poi, scusa, scioperare per cosa? Le macchine non si vendono proprio. Questa volta i padroni non sono cattivi. Dovremo mangiare molte cucchiaiate di merda, stringere i denti. In vacanza vado una settimana al mare. Lo faccio per i figli piccoli. Fosse per me starei qua».
È chiaro quello che sta accadendo. Non è solo la storia del metalmeccanico che ha cambiato il suo cielo, i suoi orizzonti, che magari vota Lega e ha paura degli immigrati. C’è qualcosa di più. Ed è tutto quello che questa sinistra non ha capito. C’è una parola che rimbalza senza troppe chiacchiere: consapevolezza. La classe politica parla con parole vecchie, si scamicia per questioni etiche e filosofiche che hanno il sapore, e la liturgia, dei culti bizantini. Dice che in autunno porterà in piazza le masse indignate. Brutte le masse, sono un’entità senza nome, ricordi di un secolo lontano. Ma le masse non pagano le bollette, non fanno la spesa, non devono crescere i figli. Le masse sono una fata morgana, una presa in giro. Le masse non hanno un’anima. La classe politica va in giro con un Tutto Città vecchio di almeno trent’anni e si stupisce perché non ci sta capendo più nulla, non sa orientarsi. Ma non dice: è sbagliata la mappa. Dice: è sbagliata la città. Nessuno si mette lì e traccia nuove linee. I migliori, i più pragmatici, hanno perlomeno il buon senso di fermarsi e chiedere a qualche passante: scusi, dove si va per il duomo? Gli altri continuano a segnare con il ditino percorsi inesistenti. Vecchi stregoni che pensano di risolvere tutto, di tutelare ciò che resta della classe operaia, con quella formula da fattucchieri che è lo sciopero generale. Roba da Novecento e da ferriere e manifatture che non esistono più.
La risposta a questo teatro dell’assurdo arriva dalla gente che lavora. Operai e non solo. È una risposta semplice semplice: qui la situazione è brutta, l’Italia si trova a un bivio, drammatizzare non serve, rimbocchiamoci le maniche. Questo Paese ha bisogno di coraggio e buon senso. Molti italiani lo hanno capito. La classe politica, soprattutto quella classe politica, si adegui. O vada via. (il Giornale)
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