venerdì 10 dicembre 2010
I pasticci di Obama. Carlo Panella
Continua a ritmo incalzante la serie di manrovesci che Barack Obama riceve su tutti gli scacchieri della politica internazionale e sul fronte interno. Dopo aver dovuto subire un cocente compromesso con i repubblicani sul fronte fiscale e l’umiliante decisione del Congresso di non mettere mai in discussione la chiusura del carcere di Guantanamo (che comunque Obama non sapeva come chiudere, perché tutte le sue roboanti promesse elettorali si sono rivelate impraticabili e velleitarie), Obama ha dovuto registrare il fallimento di tutta la sua strategia mediorientale, la secca sconfitta nel braccio di ferro con la Cina sulla rivalutazione dello Yuan (vitale per l’economia Usa), il crescere a dismisura della minaccia bellica da parte del Nord Corea e l’incapacità di arrestare il programma iraniano verso la bomba atomica. Il tutto, nella cornice di impotenza planetaria dovuto alla incredibile incapacità dei pur colossali apparati di sicurezza usa di impedire la divulgazione dei report riservati della propria diplomazia da parte di Wikileaks, aggravata dalla constatazione che fedeli alleati, come l’Arabia Saudita, o paesi per la cui libertà sono morti e muoiono soldati americani (Afghanistan e Iraq), boicotteranno, su richiesta cinese, la consegna del Nobel per la Pace al dissidente cinese Lui Xiaobo. E’ questo il Nobel successivo a quello immeritatamente assegnato “ex ante” allo stesso Obama l’anno scorso, segnato però dal boicottaggio da parte di ben 20 nazioni, che su richiesta cinese, non parteciperanno alla cerimonia di consegna a Oslo, nonostante le pressioni in senso contrario di Washington. Il Nobel per la pace precedente, fu assegnato a Obama nella convinzione che la sua clamorosa apertura al dialogo con il mondo musulmano avrebbe aperto scenari di pace rapidi e inediti. Ma oggi l’inconsistenza di quella strategia internazionale si mostra impietosa in Medio Oriente (anche se, i più preoccupanti per la pace mondiale sono quelli cinese-nordcoreano e quello iraniano, in cui Obama, come si è detto, non riesce letteralmente a “toccare palla”). Ieri infatti la Anp di Abu Mazen ha formalmente chiesto agli Usa di garantire il riconoscimento della dichiarazione unilaterale di indipendenza dello Stato di Palestina, per sancire la definitiva rottura di ogni e qualsiasi ipotesi di accordo con Israele. Questa dichiarazione unilaterale è tanto velleitaria (la Anp non controlla minimamente metà del territorio palestinese, che è sotto il controllo dell’acerrima nemica Hamas nella Striscia di Gaza), quanto avventurista, perché segna il riprendere di uno scontro –potenzialmente anche armato- tra palestinesi e israeliani. Avventurismo sottolineato dal fatto che nei giorni scorsi proprio il dittatore venezuelano Chavez e il brasiliano Lula avevano spinto Abu Mazen su questa strada. A questo esito si è arrivati perché Obama aveva iniziato la sua presidenza operando una svolta di 180 ° nella tradizionale politica Usa, annunciando di ritenere obbligatorio che Israele congelasse tutti gli insediamenti per poter dare il via a trattative. Decisione graditissima agli arabi che però Israele ha ovviamente rifiutato per quanto riguarda Gerusalemme, concedendo solo dei “congelamenti temporanei” per quanto riguarda la Cisgiordania. A fronte di questo prevedibile rifiuto israeliano, Obama si è incartato, non ha saputo più che fare, salvo annunciare a sorpresa –con evidente sguardo alle elezioni di Mid Term- la ripresa di una “storica” tornata di trattative per il 2 settembre. Trattative che però non sono mai decollate, perché i palestinesi, forti del precedente appoggio di Obama sugli insediamenti si sono irrigiditi e allora Obama ha cambiato fronte. Resosi finalmente conto di dover fare affidamento su Israele per contenere l’Iran, Obama ha infatti smentito Obama e ha siglato nelle settimane scorse un accordo con Netanhyau, in cui riconosceva il diritto a costruire insediamenti a Gerusalemme. Quadro negoziale saltato, nervi tesi, e sbocco avventurista dei palestinesi in rampa di lancio. Tutto grazie a un dilettante. (Libero)
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