martedì 25 gennaio 2011
Putin e Medvedev colpiti da un terrorismo che non combattono nel mondo ma solo -e male- in Cecenia. Carlo Panella
Sono passati dieci mesi dal sanguinoso attentato di due donne kamikaze nella metropolitana di Mosca del 29 marzo scorso che provocò 39 morti e una settantina di feriti e per la prima volta nella storia della Russia il terrorismo ceceno è riuscito a portare a segno un terribile colpo in un aeroporto. Le decine di morti di ieri provocati dall’attentato nella zona arrivi dell’aeroporto di Domodedovo, vicino a Mosca, non dimostrano solo che l’ala legata ad al Qaida del movimento indipendentista ceceno, diretta da Doku Umarov, capo dell’Emirato islamico del Caucaso, è attivissima, ma anche che il governo russo non è in grado di esercitare le dovute misure di sicurezza. Una prima valutazione indica l’impiego di una dose di esplosivo, vicina ai 10 chili, quindi ingombrante, collocata nella sala del ritiro bagagli (quindi nel recinto di protezione) e che avrebbe dovuto quindi sicuramente –ma non lo è stata- essere intercettata dalle forze di sicurezza. Il premier russo Dimitri Mdvedev, a caldo, ha annunciato che “occorre instaurare un regime speciale per garantire la sicurezza”, ma per intercettare un carico simile di esplosivo non è necessario un “regime speciale”, bastano e avanzano le misure operanti in tutti gli aeroporti del mondo che però, con tutta evidenza, a Mosca non sono rispettate. Grave sotto il profilo psicologico e gravissimo sotto il profilo della sicurezza, l’attentato di ieri dimostra l’incapacità del governo russo, vuoi sotto gestione di Vladimir Putin, che sotto quella di Dimitri Medvedev, di sconfiggere un terrorismo ceceno che ha mille vite. Inutilmente, la Cecenia è da anni governata col pugno di ferro dal console di Mosca Kadyrov, che, nonostante la fortissima repressione e anche i forti investimenti economici, non riesce evidentemente né a disarticolare la frazione indipendentista che si limita a continui attentati in Cecenia contro obbiettivi militari (in primis i convogli, all’esterno delle città e quindi più facili da colpire), né quella di Umarov, collegata alla internazionale terrorista araba di al Qaida, che privilegia le clamorose operazioni in Russia. Naturalmente, nel mondo è stata unanime la condanna per quest’ultima strage, così come la solidarietà al governo e al popolo russo, ma non si può non notare come Putin e Medvedev accompagnino l’inefficienza nel contrasto al terrorismo caucasico interno, con una posizione più che ambigua nei confronti degli stessi referenti internazionali dei terroristi ceceni. Non c’è scacchiere del contrasto occidentale ad al Qaida (Afghanistan, Pakistan Iraq, Yemen, Libano, Sudan, Palestina) in cui la Russia di Putin non giochi un ruolo quantomeno ambiguo, se non di più: appoggia la Siria che arma Hezbollah e Hamas, commercia con il Sudan di Omar al Beshir che ha appoggiato al Qaida e in sede Onu contrasta o tratta al ribasso tutte le risoluzioni che puntano ad azioni di contrasto del terrorismo. Infine, ma non per ultimo, fornisce le attrezzature nucleari ad un Iran che di tutte le organizzazioni terroriste islamiche (anche di al Qaida), è un fornitore massiccio di armi e appoggi (in Afghanistan, Pakistan, Libano e Palestina). Una politica miope, che punta a godere dei frutti dell’indebolimento della forza degli Usa e di Israele, nel solco della pessima tradizione sovietica di appoggio esplicito a tutti i terrorismi del mondo. L’ennesima prova della mancanza persistente al Cremlino di una visione strategica globale, se non la velleitaria rincorsa di un ruolo di superpotenza ormai definitivamente declinato. (Libero)
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