Siamo risucchiati in una guerra nel corso della quale, se ci va bene, riusciremo a salvare quel che abbiamo già. Non possiamo fare altro che combattere, ma avremmo dovuto costruire la politica estera per tempo, cosa sulla quale abbiamo fatto cilecca. Nel frattempo non vorrei che sfuggisse il dato più rilevante: nel deserto libico affonda l’Unione Europea, che espone la propria bancarotta politica. Non si tratta di non essere stati capaci di una posizione comune, ma del fatto che i Paesi che la compongono sono in guerra, economica e geopolitica, fra di loro. Insomma: i francesi puntano a fregarci. Non basta avere in tasca la stessa moneta per far finta di avere gli stessi interessi.
Ci sono sempre stati un milione di buoni motivi per cancellare Muammar Gheddafi dalla storia. Ma pensare di far credere che lo si fa fuori in nome della rivolta popolare e della democrazia in Libia è una di quelle scempiaggini che grida vendetta al cospetto del cielo. Se uno dei missili sparati, se una delle bombe sganciate non lo prenderà in pieno, se la sua morte non è questione di ore, non potendo continuare a far la guerra dall’alto e sostenere che la si conduce per proteggere quelli che stanno sotto, si dovrà imboccare la soluzione diplomatica, che, a quel punto, prevederà la divisione della Libia: in Tripolitania resta la famiglia del colonnello; in Cirenaica vanno al governo quelli che i francesi hanno già riconosciuto, e di cui noi sappiamo poco e nulla; mentre nel Fezzan resta la sabbia e le tribù. Il che significa: dalla Tripolitania non becchiamo più nulla, piuttosto vendono tutto ai cinesi; dalla Cirenaica smezziamo con gli altri vincitori, vedendo crescere i francesi, consolidarsi gli inglesi e dimagrire gli italiani; dal Fezzan proviamo a prendere i datteri.
Nicolas Sarkozy s’è buttato a fare il promotore di questa guerra perché non poteva capitargli di meglio. I francesi hanno combinato disastri, sulle coste mediterranee dell’Africa, e si sono intrattenuti in affari con le peggiori dittature del continente. Storie di ordinario cinismo e post colonialismo. Solo che ora buttava al brutto, visto che le rivolte facevano fuori gli amici e gli americani s’imparentavano con i nuovi governanti. Gli inglesi avevano pasticciato alla grande, prima umiliandosi con Gheddafi, in cambio di piattaforme petrolifere, poi facendo beccare i propri agenti intenti ad alimentare la rivolta contro di lui. Per i francesi è stata l’occasione di aprire un fronte sul quale non hanno da perdere.
Gli americani hanno temporeggiato troppo a lungo, con il Pentagono fermamente contrario ad ogni intervento. Poi Gheddafi è riuscito a dir quello che ha messo la Casa Bianca con le spalle al muro: appena arriveremo a Bassora massacreremo gli oppositori. Ciò nonostante, le parole di Barak Obama sono chiare: parte un’operazione “limitata”, di cui noi statunitensi non abbiamo la guida. Chiaro, mi pare.
In tutto questo noi italiani avremmo dovuto chiarire che i casi erano due: o si percorrono solo vie diplomatiche, fissando la non ingerenza militare, oppure, se si passa alle maniere forti, siamo noi, i più esposti, quelli che hanno più affari e investimenti in corso, che abbiamo il diritto di sparare il primo colpo e di trattare la lista dei bersagli. Fra l’altro: in Libia ci sono molti italiani. Invece siamo riusciti a pasticciare, prima apparendo come gli ultimi amici di Gheddafi, poi schierandoci per la guerra, poi guardandola con il naso all’insù e arrivando anche, per bocca del ministro della difesa, a sostenere che gli aerei italiani ancora non volano, ma lo faranno presto. Cos’è, il festival dell’incapace?
Quella cui assistiamo è la guerra fra gli interessi diversi dei Paesi europei, condotta sul terreno libico. I tedeschi si chiamano fuori, perché intuiscono che potrebbe divenire una guerra lunga, ingestibile e, soprattutto, non sono loro a guadagnarci o rimetterci. Noi, invece, siamo risucchiati, in gran parte come corpo isolato e inerte.
E veniamo alle nostre cose interne. Questa è una guerra, condotta in area di rilevanti interessi economici e nel mentre la popolazione civile di altri Paesi viene massacrata con ben maggiore intensità. Chi scrive è stato favorevole alla guerra in Iraq, a quella nel Kossovo e a quella in Afghanistan, senza ipocrisie buoniste, ma per vitali interessi dell’occidente. Nessuna di quelle guerre mi pose un problema di regolarità costituzionale.
Questa mi impone molti dubbi in più, anche perché ho visto sparire il fronte pacifista, assorbito dalla posizione del Presidente della Repubblica.
Avevo sperato che Gheddafi fosse eliminato già nel 1986, per mano degli americani, allora guidati da Ronald Regan. Ma la politica estera non è una faccenda per questioni personali. Ballano gli interessi dell’Italia. E ballano male, in questo momento.
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