Naturalmente anche prima di oggi moltissimi italiani appartenenti alla sinistra suddetta hanno nutrito un forte sentimento della patria, e in moltissime occasioni lo hanno manifestato con le parole e coi fatti. Tuttavia mai prima d'ora il patriottismo era entrato nel bagaglio ideologico di tale sinistra, nel suo orizzonte emotivo e culturale. Addirittura per gran parte della Prima Repubblica quella sinistra, lo si ricorderà, di patrie non nascondeva di averne due (l'altra essendo, ahimé, l'Unione sovietica). Oggi, invece, le cose per fortuna appaiono (se non altro appaiono) ben diverse.
I motivi del cambiamento sono molti. Innanzi tutto il fatto che la tradizionale inquilina dello «spazio patriottico», e cioè la destra, intralciata politicamente dalla presenza della Lega, si è fatta stupidamente paralizzare dai suoi veti lasciando libero il campo che un tempo era tipicamente suo. Pur avendo i voti di tanti italiani che un reale e forte sentimento della patria lo hanno, eccome!, essa, tuttavia, non è riuscita a dare a tale sentimento dei suoi elettori alcuna efficace rappresentazione politica. È accaduto invece che, essendo la destra alleata politica di una forza così sguaiatamente «antitaliana» come per l'appunto la Lega, questo solo fatto abbia subito trasformato il patriottismo in un'arma efficace contro il governo e la maggioranza, e perciò assai appetibile da parte della sinistra. La quale così ha trovato anche un modo per riempire almeno in certa misura il vuoto prodotto nel suo bagaglio ideologico dalla fine del comunismo.
Si aggiunga un ultimo fatto decisivo. E cioè che da oltre una decina d'anni il patriottismo, insieme al culto della Costituzione, è ormai diventato l'ideologia ufficiale della presidenza della Repubblica. Ciò è accaduto in coincidenza con un andamento delle cose che ha fatto del presidente della Repubblica il vero dominus virtuale del sistema politico-istituzionale, determinando, di pari passo, anche una forte crescita simbolica della sua immagine. Si è trattato di un processo che, iniziato con Pertini, è divenuto - dopo i settennati molto divisivi di Cossiga e Scalfaro - sempre più pronunciato con la presidenza di Ciampi e di Napolitano. Il progressivo discredito della politica, la sua rissosità inconcludente, la sua perdita di orizzonte ideale, insieme alla pochezza del personale di governo hanno avuto il risultato di esaltare sempre di più, per contrasto, la figura politica sì, ma istituzionalmente super partes e circondata di un apparato cerimoniale intrinsecamente nobilitante, del capo dello Stato. In breve, questi è diventato l'unico protagonista della scena ufficiale capace (perché credibile) di un discorso pubblico «alto», il solo in grado di parlare al Paese del suo passato e del suo futuro. Facendo uso, naturalmente, di toni e contenuti patriottici: gli unici consentiti dalla specificità del pur grande potere presidenziale.
Ma sia Ciampi che Napolitano non venivano dal nulla. Venivano entrambi da un retroterra ideologico di sinistra, sia pure di due sinistre diverse. La loro biografia personale e il prestigio del loro ruolo hanno avuto dunque l'effetto ovvio di accelerare ancora di più la corsa al patriottismo di una sinistra orfana di tanti ismi ormai annientati dalla storia. (Corriere della Sera)
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