Il 25 febbraio la Corte di Cassazione è chiamata a valutare il caso di David Mills, l'avvocato britannico condannato in Appello nell'omonimo processo milanese nel quale era coimputato con Silvio Berlusconi. La Corte dovrà esprimersi sul concetto di "corruzione susseguente", cioè l'invenzione giuridica che ha permesso l'estensione dei termini di prescrizione del reato. In sostanza la Corte di secondo grado, che ha comminato a Mills 4 anni e 6 mesi di carcere perché avrebbe ricevuto 600 mila dollari in cambio di testimonianze mendaci a vantaggio del Cav., ha stabilito che il reato di corruzione si sarebbe consumato nel 2000, data in cui Mills avrebbe avuto la disponibilità del denaro, anziché nel 1999, data della falsa testimonianza e della promessa di pagamento. Effetto? Il reato morto e prescritto viene mantenuto in vita fino al 2012, quanto basta a raggiungere il vero obiettivo: la sentenza in primo grado per il premier.
Come si è arrivati a questo? I togati di Milano devono aver pensato più o meno così: ci complicano le rogatorie, spuntano leggi retroattive, lodi, salvacondotti, legittimi impedimenti, immunità; dunque: a pirata, pirata e mezzo (ma è quello che pensa anche il Cavaliere). Convinti da un'intuizione fantasiosa del pubblico ministero, i giudici hanno reagito alla tattica corsara dell'onorevole e avvocato Niccolò Ghedini con simmetrico spirito ad personam: si sono inventati un reato che non c'è e che produce un paradosso: per i giudici, Mills è stato corrotto quando sua moglie ha ritirato i soldi in banca. Non regge all'evidenza. Per questo non sarebbe strano né scandaloso che Mills venga prosciolto. Quanto alla gauche giustizialista, dovrebbe ricordare che è solo il Parlamento a detenere il potere legislativo. Piaccia o non piaccia, è prerogativa dei rappresentanti eletti dal popolo quella di modificare le regole che invece i giudici devono applicare, talvolta interpretare, ma di sicuro non inventare.
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