Vedo che non poche eccellenze dell’ex Pci intervengono nel dibattito sul decennale della morte di Bettino Craxi. Sono due i motivi che li spingono. Il primo è la convinzione che la vicenda politica di Craxi sia anche la loro: una biografia che diventa autobiografia. Il secondo è la sensazione che la storia stia vendicando Bettino, con la rovina di quanti lo hanno combattuto.
Craxi è stato avversato dai comunisti subito dopo essere diventato leader del Psi, nel luglio 1976. Alle Botteghe Oscure sopportavano un solo tipo di socialisti: i subalterni al Partitone Rosso. Bettino non apparteneva a quella razza. Per questo finì all’istante sul libro dei nemici. Anche perché aveva una pretesa insopportabile per il Bottegone: rompere la diarchia tra Dc e Pci che paralizzava la politica italiana.
Nel 1978, durante il sequestro di Aldo Moro, lo scontro si fece brutale. Bettino voleva trattare con le Brigate rosse per salvare il presidente democristiano. Il Pci e la Dc scelsero la strada opposta. Craxi divenne la bestia nera dei comunisti. Ricordo che alle Botteghe Oscure lo giudicavano un bandito, un avventuriero politico, un individuo spregevole.
Nel luglio 1979, Sandro Pertini, da un anno al Quirinale, affidò a Craxi l’incarico di formare il governo. Ma il Pci disse subito di no. La Dc strillò che Pertini voleva fare un colpo di Stato. Persino i repubblicani, per bocca di Bruno Visentini, bocciarono il tentativo. Bettino fu costretto a ritirarsi.All’interno della Dc uno dei più ostili a Craxi si rivelò Ciriaco De Mita, leader della Base, corrente di sinistra. Prima ancora di diventare segretario, spiegò che il protagonismo socialista rischiava di “mettere in discussione la conservazione del regime democratico in Italia”.
De Mita fu eletto segretario della Dc nel maggio 1982. L’anno successivo, la Balena Bianca ebbe un tracollo elettorale. E in agosto Craxi riuscì a entrare a Palazzo Chigi. Guidava un pentapartito, ma l’alleato più potente, la Dc, seguitava a flirtare con il Pci. Tuttavia Bettino era un premier coriaceo. E nel febbraio 1984 varò il decreto sulla scala mobile, per ridurre il costo del lavoro e frenare un’inflazione galoppante.
Ancora una volta il Pci gli dichiarò guerra. Fu una stagione bestiale per la sinistra. La campagna contro di lui, guidata da Enrico Berlinguer, raggiunse vertici mai toccati. Il leader comunista disse alla Camera che l’ostinazione di Bettino rasentava gli “atti osceni in luogo pubblico”.
Nel giugno 1984, Berlinguer morì. Repubblica mi mandò ai funerali in piazza San Giovanni per chiedere alla base comunista chi voleva come successore di re Enrico. Dal sondaggio emerse un nome solo: Achille Occhetto. Il motivo? Tra i papabili, era il più antisocialista. La base indicava lui per la sua collaudata e viscerale avversione al Garofano.
La nomenklatura del Pci gli preferì Alessandro Natta. Anche “Capannelle” era un antisocialista di ferro. E coniò un’immagine razzista: la mutazione genetica di Craxi e dei suoi compagni. Diventati un’altra cosa rispetto alla sinistra, degli alieni impresentabili. Natta si dimise a metà del 1988 e il 21 giugno Occhetto diventò segretario del Pci. Senza attenuare la lotta continua contro Bettino, un politico dedito a “un gioco perverso”.
L’anno successivo, la storia cominciò a vendicare Craxi. Nell’autunno 1989 cadde il Muro di Berlino e l’Unione Sovietica andò gambe all’aria. Occhetto pensò di salvare il partito cambiandogli il nome. Ma emersero forti resistenze interne, insieme all’ostilità di Max D’Alema. Nel gennaio 1991, a Rimini, Occhetto vinse per un pelo il ventesimo e ultimo congresso del Pci, diventato Pds. E perse una quota importante del partito. Quella guidata da Armando Cossutta che diede vita a Rifondazione comunista.
Un anno dopo, era il febbraio 1992, cominciò il terremoto di Mani Pulite. Il Psi e la Dc vennero distrutti dall’inchiesta del pool giudiziario milanese sulla corruzione. La parrocchia di Occhetto, anch’essa gonfia di tangenti e di finanziamenti illeciti, si salvò per il rotto della cuffia. Ma la storia vendicò un’altra volta Bettino. Nel marzo 1994 Occhetto perse le elezioni contro Silvio Berlusconi. E fu costretto a lasciare le Botteghe Oscure, sostituito da D’Alema.
Due anni dopo, era il 1996, il Pds riuscì ad andare al governo, ma sotto il comando di un democristiano, Romano Prodi. Il Bottegone, ormai sulla via di diventare un Botteghino, fu costretto ad accettare come ministro dei Lavori Pubblici il magistrato che aveva guidato Mani Pulite: Antonio Di Pietro.
Tonino non possedeva ancora un partito, ma incuteva paura perché conosceva tutti i segreti di Tangentopoli. Per questo, nel novembre 1997, il Pds lo fece eleggere senatore dell’Ulivo nel collegio rosso del Mugello, in Toscana. Senza prevedere di portarsi in casa un nemico mortale. Destinato a rivelarsi tale con la fondazione di un partito personale, l’Italia dei valori.
Siamo ai giorni nostri. Il Partito Democratico, guidato dall’onesto cireneo Bersani, sta nella tempesta. Sconvolto dalla rissa per le candidature regionali. Minato dal correntone Veltroni-Franceschini-Bindi. Ricattato dal partito di Di Pietro. Il Pd non ha la forza di rompere con l’ex pm. Anche se ha il timore che Tonino possa rivelarsi il suo boia. Pronto a completare il lavoro lasciato in sospeso come inquisitore giudiziario.
Insomma, la storia continua a vendicare Craxi. Sino a che punto arriverà la vendetta? Questa è davvero una domanda troppo grande per il piccolo Bestiario. (il Riformista)
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