lunedì 18 gennaio 2010
Ordine o potere? Raffaele Iannuzzi
E’ notte. Non mi capita spesso di non avere voglia di gettarmi tra le coltri. E' raro. Ma qualche volta capita. Come stanotte. Allora, capita di seguire la bella trasmissione di Gianluigi Paragone, che appare alquanto tonico, e si parla di giustizia.
Ma se ne parla bene. Si parte da Fabrizio De André, che come pochi ha stroncato la violenza giudiziaria – la canzone “Il giudice”, recitata sommessamente da Paragone, parla più di molte chiacchiere di polemisti -, perché l’anarchico vero non vuole vedere manette e vessazioni da parte del potere, di qualsiasi potere. E la magistratura, in Italia, più che un ordine, è un potere. Bene. Alcuni testimoni parlano delle loro sciagure giudiziarie, gente innocente sbattuta in galera senza se e senza ma, una donna che scandisce, come il coro nella tragedia greca: “Non basta essere innocenti”…il solito caporione dell’associazione dei magistrati vattelappesca, ormai non le conto più e non mi interessa più la rubrica degli happening di lorsignori; il punto è un altro, anzi sono altri…alcune domande, banali se volete, da bambini, mi assaltano la mente (a proposito, mentre sto scrivendo, l’ennesimo cervellone se ne esce con questa genialata: “Bisognerebbe avere molta più fiducia nel diritto”, come dire: abbi fiducia nell’Umanità, non negli uomini…roba da matti…). Eccole, snocciolate, come vengono:
1. Perché io, cittadino semplice, normale, che paga le tasse e vive come molti altri, tra gli altri, nella pace, si spera, dovrei avere razionalmente – ripeto: razionalmente – fiducia nella magistratura? E poi: cosa significa avere fiducia in qualcosa di astratto, la Magistratura, al pari del Diritto? Come si può? Che valore razionale ha questo gesto? Si può avere fiducia nello Stato? Ma chi lo vede camminare per le strade lo Stato? E la magistratura chi l’ha vista soffrire, piangere, avere compassione? La storia passa e filtra nei cuori e nelle menti, si muove nel teatro di ogni giorno usando le gambe degli uomini, dunque, uomini che fanno i magistrati. Ma sono uomini come me e dunque sono fallibili, infatti falliscono, allora, come posso avere fiducia in loro a priori o a prescindere, come si usa dire tra noi cittadini di buon senso, normali, con famiglia a carico? Che c’entra tutto questo con la ragione normale e con il buon senso? Mai saputo e capito.
2. Io posso sbagliare e certamente, sbagliando, sarei sottoposto a censura, dovrei pagare, insomma ci sarebbero in ballo responsabilità vere, reali. Per i magistrati tutto questo non avviene. Stracitato il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, ma niente da fare, questi sbagliano, infilano nei gorghi più micidiali i cittadini, eppure niente. “Scusate, abbiamo sbagliato”. Anzi. Manco questo. Si marcia uniti e compatti: sì, siamo uomini, ma che c’entra? Giudicare è difficile. Appunto. Allora dovremmo avere più censure e inibizioni, invece, niet. Un regime linguistico, normativo, poliziesco. Capillare e deturpante. Il volto della democrazia, già solcato dalle rughe della storia, viene sottoposto ad ulteriore stress. L’ultimo, forse. Sì, la magistratura è anche un problema interno alla democrazia. O no?
3. Ultima domanda, la più sballata e straniante, se volete. Eccola. Ma perché i magistrati si devono associare tra di loro? Per quali finalità? Per ottenere cosa? Per favorire – come? – la giustizia? Ma non basta giudicare con giustizia e rettitudine, con imparzialità e criterio adeguato alle norme? No. Pullulano associazioni, sindacati, corporazioni di vario genere. No, non è una casta. E’ una rete di microfisica del potere. La Costituzione dice altro, parla di “ordine” e Cossiga li ha sempre definiti, i magistrati, come “vincitori di concorso”. Punto. Troppo poco? Appunto. Questo è il problema. Per “loro” è troppo poco. Ma non sarà troppo per la democrazia?. (il Predellino)
Segue il testo della canzone 'Un giudice' di Fabrizio De André (1976):
"Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura, ve lo rivelan gli occhi e le battute della gente, o la curiosità di una ragazza irriverente che si avvicina solo per un suo dubbio impertinente: vuole scoprir se è vero quanto si dice intorno ai nani, che siano i più forniti della virtù meno apparente, fra tutte le virtù la più indecente. Passano gli anni, i mesi, e se li conti anche i minuti, è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti; la maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo fino a dire che un nano è una carogna di sicuro perché ha il cuore toppo, troppo vicino al buco del culo. Fu nelle notti insonni vegliate al lume del rancore che preparai gli esami. diventai procuratore per imboccar la strada che dalle panche d’una cattedrale porta alla sacrestia quindi alla cattedra d’un tribunale, giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male. E allora la mia statura non dispensò più buonumore a chi alla sbarra in piedi mi diceva Vostro Onore, e di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio, prima di genuflettermi nell’ora dell’addio non conoscendo affatto la statura di Dio".
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