I princìpi morali e il grado di democrazia di un popolo sono direttamente proporzionali al numero dei suoi giornali e alla qualità dei suoi giornalisti. Più giornali e migliori giornalisti ci sono, maggiore è il numero di notizie, idee e opinioni che circolano. E più alto è il livello civile e politico del Paese. Ecco perché ogni volta che a un giornalista è impedito di fare il proprio mestiere, a perderci non è quel giornalista ma il Paese. Che non ha bisogno di eroi, grazie a Dio, ma solo di buoni professionisti. E meglio ancora se scomodi.
L’Ordine dei giornalisti venerdì ha sospeso lo scomodo direttore di questo giornale per le vicende legate al caso Boffo. Proibendogli per sei mesi di lavorare. Cioè di portare notizie, idee, opinioni. Più che una punizione, un’intimidazione a non fare l’unica cosa per cui i giornalisti esistono e per cui sono pagati: scrivere. E intanto, tutt’intorno, si ode solo silenzio. Il silenzio dei paladini della libertà di informazione.
Ehi, paladini della libertà: dove siete? C’è un giornalista che è stato messo a tacere, e voi che fate? Non dite niente? Non scendete in piazza? La democrazia e la libertà di espressione sono di nuovo in pericolo. Dove siete finiti, voi sempre pronti a manifestare a difesa della stampa minacciata dal Potere?
Lo scorso ottobre siete accorsi in trecentomila per protestare contro chi «voleva zittire Repubblica e l’Unità». Allora sbrigatevi, preparate bandiere e striscioni, c’è una nuova emergenza. Il bavaglio lo vogliono mettere a un altro giornale. Ci sarete ancora tutti, vero? Ci sarai, vero, Roberto Saviano, ci sarete emeriti presidenti della Corte costituzionale, ci sarete Sabrina Ferilli e Neri Marcorè? Ma certo che ci saranno. Come ci sarà Reporter sans Frontieres, quelli che ripetono che l’Italia è a rischio regime, come ci sarà la Cgil, la Fim-Cisl, le Acli, Libera, Legambiente e l’Arci che verrà con le bandiere listate a lutto «Per la morte della libertà d’informazione», come ha fatto l’ultima volta, quando si minacciava Repubblica. E poi ci saranno le Associazioni partigiane, la Società Pannunzio per la libera informazione, e la satira militante come Vauro, Sabina Guzzanti, Paola Cortellesi e le redazioni di Report, Ballarò, Annozero, L’infedele e persino quelli di Caterpillar che organizzeranno un grande concerto per concludere in bellezza una giornata dedicata alla libertà. La loro.
E la nostra, chi la difende? Perché le vestali della democrazia non s’indignano questa volta? Perché non urlano il loro sdegno? Dicono che il Giornale ha commesso un errore: nel caso Boffo ha attribuito valore ufficiale a un’informativa che ufficiale non era (anche se - attenzione - la notizia era e resta vera). E quindi gli errori è giusto che si paghino, dicono. Invece Repubblica... Invece Repubblica commette gli stessi errori, o peggio. Ma tutto tace. La settimana scorsa il Presidente della Repubblica Napolitano ha dovuto smentire per ben due volte con una nota ufficiale il quotidiano di Ezio Mauro che prima gli attribuiva la volontà di non firmare il decreto sull’articolo 18, e poi sosteneva che avesse interrotto una cena durante il suo viaggio di Stato in Siria per via dei commenti di Berlusconi sull’inchiesta di Trani. E questi sono errori, non opinioni. Del resto risale a qualche giorno fa il mea culpa di Repubblica per un’inchiesta - con «notizie errate e non riscontrate» come ha dovuto ammettere il quotidiano - in cui si dava per vero che l’oligarca Roman Abramovich avesse perso a poker uno yacht, compromettendo anche il rapporto con la sua compagna. «Siamo spiacenti per qualsiasi disagio o imbarazzo causato da tale articolo», si sono scusati i colleghi di Repubblica. I quali, invece, sono stati zitti, tre settimane fa, quando Luca Ricolfi sulla Stampa ha sonoramente smentito Eugenio Scalfari il quale, in un editoriale, l’aveva accusato di essersi venduto al potere berlusconiano perché critico con il sistema delle intercettazioni. Ricolfi ha fatto notare che il fondatore di Repubblica gli ha attribuito - mettendole fra virgolette! - frasi che lui non ha mai scritto, chiedendosi: «Scalfari inventa di sana pianta. Sono senza parole. È questa la professione giornalistica?».
È questa la professione giornalistica, ci chiediamo, quando Giuseppe D’Avanzo ripete per ben due volte, nonostante una pubblica smentita, false e infamanti informazioni su Luisa Todini, alla guida di una società che opera nel settore delle grandi infrastrutture. Ed è questa la professione giornalistica, ci chiediamo, quando vediamo Repubblica anticipare, sfruttando una fuga di notizie, la sentenza di sospensione comminata a Feltri aggiungendoci, in sovrapprezzo, anche una sanzione inesistente: quella per gli articoli «a luci rosse» su Gianfranco Fini. Domande inutili. È il «metodo Scalfari». Ossia: la libertà di far finta di niente, o di inventarsi le cose.Per fortuna ci sono i paladini della libertà d’informazione. (il Giornale)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento