Il vuoto programmatico messo in scena dagli avversari, il loro aver convocato una manifestazione nazionale ed averla sprecata solo per attaccare il capo della maggioranza, è un vantaggio politico che Silvio Berlusconi non s’è lasciato sfuggire. Anzi, come un pugile determinato a vincere, che non concepisce altro modo per uscire dal ring, ha continuato a picchiare sulle debolezze altrui, senza dare respiro.
Riempire una piazza è, prima di tutto, un problema e uno sforzo organizzativo, quindi anche economico. Farle raggiungere i livelli di partecipazione, anche corale, di ieri è, però, del tutto impossibile se non coinvolgendo persone e passioni vere. Una volta riempita e animata la piazza si deve essere capaci di darle un significato politico. La protesta per la protesta, o la testimonianza per la testimonianza, lasciano il tempo che trovano, sfumano sulla via del ritorno. Berlusconi, invece, ha fatto politica, ha parlato del dopo, ha spiegato a cosa, dal suo punto di vista, la manifestazione è servita.
Il punto programmatico più rilevante è senza dubbio la riproposizione della Repubblica presidenziale. Avevamo visto giusto, segnalando che quello è lo snodo, per la seconda e ultima parte della legislatura. Berlusconi, per la verità, ha parlato di elezione diretta del capo del governo o del capo dello Stato, dimostrando che la tela istituzionale è ancora da tessere, ma l’orientamento politico è chiaro: si deve porre fine alla lunga stagione dei governi deboli. Un tema che non può essere liquidato come propagandistico, perché presente nella riflessione di scuole diverse, purché abitate da gente assennata.
Porre quel tema, inoltre, immiserisce la scena pubblica come fin qui s’è dipanata, tutta alle prese con origliamenti e spiate, per giunta privi di serietà investigativa. Se quella roba fosse rimasta sullo sfondo, se la sinistra fosse stata capace di parlare al futuro e non dipendere dai mattinali di polizia, il rumore di fondo delle inchieste avrebbe indebolito il centro destra, senza offrire l’opportunità per mostrarne la strumentalità. Cosa che, invece, è puntualmente avvenuta. Se a sinistra, anziché consolarsi leggendo solo se stessi, per confermarsi d’essere i migliori e i più bravi, avessero la buona creanza di leggere anche chi pensa e scrive liberamente, avrebbero potuto trarre vantaggio dalle mille volte in cui l’abbiamo ripetuto: il giustizialismo, che è teoria e pratica di marca fascistoide, condanna la sinistra a tenere a galla il peggio di sé. Inutile dire che Berlusconi ne ha approfittato.
Sempre giovandosi di un’opposizione che sembra cresciuta apposta per fare il controcanto alle canzoncine propagandistiche del Pdl (da una parte “meno male che Silvio c’è”, dall’altra eguale apertura mentale, ma condita da maledizione), ha potuto impostare l’ultima settimana di campagna elettorale indicando quattro temi programmatici. Poi, presentando i candidati uno ad uno, ne ha più volte approfittato per fissare obiettivi specifici, relativi a quella precisa regione. Il tutto pompando il valore della squadra, proponendo un’immagine coesa, rafforzata dal quadretto improvvisato con Umberto Bossi.
Insomma, non solo Berlusconi non intende mollare niente, ma, ancora una volta, lascia indietro l’insieme del mondo politico rivolgendosi direttamente agli elettori, e a questi non racconta le storie dei partiti, non li intrattiene parlando di regolamenti dei conti, non chiama a sé candidati non graditi stringendo i denti e ghignando sotto ai baffi, come capita a sinistra, ma si butta avanti e propone la squadra come un valore in sé. Rischia in prima persona e lo fa senza risparmiarsi.
Nei prossimi giorni, statene certi, si parlerà delle cose che ha detto, consegnandogli l’ennesima vittoria mediatica. Poi si voterà. Fra un mese sarà tutto alle spalle. Come fa la sinistra a non capire che, a questo gioco, perde anche quando vince? Come si fa a non vedere che le regole della democrazia impongono di fare i conti con un fenomeno politico solido, radicato, reale, che muove cittadini veri, imponendo di abbandonare ogni tentazione giudiziaria? Le debolezze del sistema, come quelle del governo, restano tutte, e sono quelle di cui scriviamo ogni giorno. Ma Silvio c’è, come dice la canzone e come è del tutto evidente, il resto del mondo politico dovrebbe, ad un certo punto, interrompere la lunga e deprimente vacanza mentale.
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