Ci ha dovuto pensare come al solito lui, battendo i pugni sul tavolo nell’incontro al Quirinale (ma perché non lo fa più a spesso anche al Consiglio dei Ministri?), mettendoci come sempre la faccia. Gli elettori del PdL della Provincia di Roma avranno la possibilità di esprimere il proprio voto, cosa quanto mai ovvia in una democrazia, nonostante il pasticciaccio combinato da qualche incapace (a proposito, con calma, dopo le Regionali, qualcuno avrà la dignità di farsi da parte?).
Ci ha dovuto pensare come al solito lui. Quelli che schiamazzano, borbottando di cesarismo ed altre amenità, erano evidentemente impegnati in altre faccende, magari intenti a pensare a costruire una destra moderna contrapposta a quella becera e berlusconiana, oppure a stimolare il dialogo interno al PdL, che “così com'è non va proprio bene”.
Ci ha dovuto pensare come al solito lui, nonostante quelli che blaterano di regole cambiate in corso. Ma quali regole e quali arbitri, in un Paese dove un segretario di partito può tranquillamente ed impunemente chiedere “abbiamo una banca?", mentre allo stesso modo un poveraccio che vuole curarsi un mal di schiena, si ritrova alla berlina e con un avviso di garanzia.
Ma quali regole, se siamo in un Paese in cui si devono aspettare 17 anni per essere assolti, per non aver commesso il fatto, da reati tanto infami quanto peregrini, quali il concorso esterno in associazione mafiosa. Ma quali regole, se gli arbitri ormai da anni vogliono ribaltare l'Italia come un calzino, se gli arbitri ogni giorno rilasciano interviste parzialissime sulla loro presunta imparzialità, se gli arbitri scendono in politica sfidando i loro stessi indagati. Ma per favore!
Ma quali regole: mi sapete per esempio spiegare perché Silvio Scaglia sta in carcerazione preventiva. Non c'è pericolo di fuga, è tornato dall'estero di suo sponte, non c'è pericolo di reiterazione del reato, non ha infatti più cariche all'interno di Fastweb ormai da anni, non può inquinare le prove, è indagato già dal 2007. Un mistero, ma qualcosa mi dice che rimarrà in carcere a lungo, la speranza è che non faccia la fine di Gabriele Cagliari e molti altri.
Ed ancora ci ha dovuto pensare come al solito lui, a sistemare le ronde elettorali di questi vetero-libertari da codicilli, annoianti digiunatori a singhiozzo, che per decenni hanno sbandierato le canne libere e gli aborti rivoluzionari fuori legge, difeso terroristi e speso soldi pubblici per mandare in onda improperi e logorroiche elocubrazioni del loro leader, sempre più simile ormai al Crono divoratore dei propri figli, tra un cappuccino e un altro. Questo lo ricordi anche la CEI, quando parla di regole cambiate, in una nota domenicale all'uscita dalla Messa (ma la domenica non era il giorno del Signore!?).
Ma fortunatamente ha vinto il partito-caserma, un partito con un leader che batte i pugni sul tavolo e (finalmente) dice “qui si fa come dico io”, un partito che tuttavia, da domani, deve cominciare ad accompagnare alla porta i congiurati (il gruppo misto esiste per questo!) ed accantonare i cortigiani incapaci. Il partito, al contrario, ha bisogno di opliti preparati e solide falangi, senza colonnelli né generali, di un leader che comanda. Ha bisogno di poco dialogo interno e nessun confronto, piuttosto servono decisioni veloci su un programma già scritto e soprattutto votato da milioni di elettori; mancano tre anni alla fine della legislatura e l'auspicata rivoluzione liberale, dopo quindici anni, deve purtroppo ancora cominciare.
Non è più l'ora dei distinguo e dei moniti, e se Di Pietro e il fedele servitore Bersani chiamano a raccolta la piazza, dovranno avere pane per i loro denti. (l'Occidentale)
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