Sulla “retroattività” del così detto lodo Alfano se ne sentono e leggono di tutti i colori, in un crescendo rossiniano di scempiaggini. Uomini politici che dovrebbero sapere quel che dicono, o farselo spiegare, si abbandonano a sceneggiate che il senso comune ridicolezzerebbe, se solo qualcuno avesse voglia d’occuparsi di tali faccende. La sospensione dei processi in capo ad alcune cariche dello Stato non c’è questione che sia “retroattiva”, basta che sia effettiva. Ad altro dovrebbero rivolgere la loro attenzione gli imbarazzi dei finiani o la concitata e teatrante indignazione degli oppositori.
Si può condividere o meno l’idea che alcune cariche dello Stato non siano immediatamente processabili, dovendosi sospendere il procedimento fino alla decadenza dall’incarico. Sul punto mi limito ad osservare che una forma di tutela è prevista in tutte le democrazie non improvvisate. La ragione della norma, ovviamente, non è quella di difendere la persona dai giudici, ma di difendere la funzione dal processo. Così impostata la cosa, ed è l’unico modo razionale per farlo, è assolutamente ovvio che la sospensione si riferisce a tutti i procedimenti, senza limitazione di data. Un esempio concreto: il Presidente della Repubblica francese, Jacques Chirac, era sotto inchiesta penale per vicende (finanziamento illecito del partito e irregolarità amministrative) relative al periodo in cui fu sindaco di Parigi, ma il processo, come previsto dalla legge, fu sospeso e riprese dopo la sua uscita dall’Eliseo. A sentire gli odierni scandalizzati dalla “retroattività”, invece, quel processo si sarebbe dovuto fare subito, perché relativo a fatti precedenti all’elezione del Presidente. Ma è una corbelleria, perché, appunto, la legge non tutelava Chirac, bensì la presidenza.
Se la protezione è effettiva non può che essere retroattiva. Del tutto diverso è il discorso relativo al così detto “processo breve”, dove la retroattività equivale a seppellire numerosi processi (già, del resto, moribondi in proprio). Se non si è capaci di distinguere è meglio stare zitti.
Passiamo alla questione generale: posto che tale costume è proprio delle democrazie, è giusto che ci sia lo scudo? Sì, perché gli stati di diritto, le democrazie, devono stare ben attenti a non far entrare in conflitto il principio dell’investitura popolare con quello della subordinazione di tutti alla legge. E’ questa la ragione per cui i costituenti ritennero l’immunità parlamentare un baluardo di libertà e uno strumento di difesa del diritto. La si abolì per viltà, e siamo ancora fermi ai propagandisti del giustizialismo (dottrina antidemocratica).
Il quesito complicato è un altro: perché lo scudo copre alcuni e altri no? qual è il discrimine? Il Presidente della Repubblica, in quanto Capo dello Stato, è irresponsabile e non processabile perché lo stabilisce la Costituzione, e non ci piove. Gli eletti dal popolo erano coperti dall’immunità parlamentare, ovvero dal voto dei loro colleghi circa la persecutorietà (o meno) delle accuse cui erano sottoposti. Fu un errore abusarne, come fu un errore cancellarla. Oggi perché dovremmo difendere i due presidenti parlamentari e il presidente del Consiglio, lasciando via libera nei confronti del ministro degli esteri o dell’economia, di quello della giustizia o degli interni, cioè dei responsabili di settori vitali? A me sfugge la motivazione. In Francia la cosa è chiara: chi è eletto direttamente dal popolo ha un trattamento diverso da chi è nominato. E’ un criterio. Ma noi non eleggiamo il capo del governo, come non eleggiamo i presidenti d’Aula, eleggiamo i parlamentari. Quindi, se lo scudo serve a difendere l’istituzione governo (mi pare ragionevole) deve essere esteso ai ministri, ovvero a quella categoria di persone per cui è già prevista una giurisdizione particolare.
Lo scudo, insomma, mostra i suoi difetti logici più per quello che non copre che per quello cui provvede. Ma non lo capiscono quanti, da venti anni, fanno politica nella speranza che qualche giudice riesca a condannare e far fuori quel loro odioso e pertinace avversario che si ostina a prendere la maggioranza dei voti.
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