Nessuno dica che i magistrati non hanno il senso dell’umorismo, tutto sta a vedere se volontario o meno. Nel febbraio del 2009 il procuratore generale presso la Corte di cassazione inaugurò l’anno giudiziario avvertendo che la giustizia italiana funzionava peggio di quella dell’Uganda. Intendeva dire che faceva schifo, e aveva ragione. Il segretario del sindacato delle toghe, l’Associazione Nazionale Magistrati, ha aperto il loro congresso ricordando che in quanto a trasparenza e corruzione, quindi in quanto a giustizia, l’Italia è messa peggio del Ruanda. Non so se scelgono i paragoni per la poetica necessità di fare rima, so che entrambe sono tratti dal rapporto della Banca Mondiale e i Paesi che ci precedono sono parecchi. Oserei dire, senza offesa per gli altri: tutti quelli civili.
La cosa singolare è che queste cose, un tempo, le sostenevamo noi garantisti, per affermare la necessità di riforme immediate e radicali. Ora si trovano nei discorsi dei magistrati, che poi aggiungono la loro avversità alle riforme. Si vede che oltre alla cucina s’è diffusa anche la giustizia etnica. Luca Palamara, attuale capo del sindacato, ha annunciato che “è ora di voltare pagina”, nei rapporti con la politica. Mi s’è aperto il cuore: finalmente si ragiona senza pregiudizi, di cose concrete. Poi ha aggiunto: “le riforme vogliono colpire la nostra indipendenza”. E buona notte. Ha sostenuto che i magistrati divenuti politici non devono più tornare alla toga, ed ha perfettamente ragione. Forse si dovrebbe aggiungere che non si può far politica neanche prima d’essere eletti, con la toga ancora sulle spalle. I cittadini, ingenuoni, preferiscono ancora l’idea che il magistrato sia e appaia indipendente. Può ben aver sue opinioni, ma non dovrebbe sentire il quotidiano e insopprimibile bisogno di mettercene a parte. La cosa più bella è che, secondo Palamara, un magistrato non dovrebbe mai far pressioni per avere un determinato incarico. Allora azzeriamoli tutti, perché non ne conosco neanche uno che abbia avuto la nomina inconsapevolmente. Se vuole cancellare il lobbismo deve cancellare il correntismo, vale a dire l’attuale strutturazione del Consiglio Superiore della Magistratura e l’orrido sistema elettorale. Ci sta? Noi da anni.
Veniano ad alcune utili cose che si potrebbero fare subito, se la piantassimo di parlare per aizzare le platee. L’organizzazione giudiziaria deve essere centralizzata ed eguale in tutta Italia (lo dice la Costituzione, e ne assegna il compito al ministro della Giustizia), basta con le autonomie organizzative, vera causa del fatto che, con le medesime leggi, in certi tribunali si va a passo lento e in certi altri a marcia indietro. I piccoli tribunali vanno chiusi, perché sono uno spreco di risorse. La digitalizzazione deve procedere spedita e secondo un disegno unitario. Basta con gli uffici che comprano programmi tarocchi e pretendono di tenerseli in base ad una assai malintesa “autonomia”. Abbiamo speso una fortuna e i risultati sono miserrimi. E’ uno scandalo.
Ancora oltre: i magistrati devono o non essere sottoposti ad un giudizio di capacità e produttività? Il procuratore che continua a indagare innocenti e intercettare gente che non commette reati, massacrando delle vite e sprecando dei soldi, va fermato, non tollerato nella sua carriera automatica. Il giudice che continua a sbagliare sentenze, riformate nei gradi successivi, deve essere indotto a cambiare genere letterario. Oggi, invece, quelli del primo grado neanche leggono cosa la cassazione scrive di tante asinerie. Come si vede, nessuna sottomissione alla politica, ma valorizzazione delle sentenze.
Nel nostro codice c’è scritto che per condannare un cittadino occorre che non ci siano ragionevoli dubbi. Ma come si fa a non averne se è già stato assolto in primo grado, da altri giudici che hanno valutato i medesimi fatti? La non appellabilità delle assoluzioni consente di sfoltire i procedimenti pendenti e accorciare i tempi, liberando giudici per altre cause. Mi pare ragionevole (lo so che c’è una sentenza, vergognosa, della Corte Costituzionale, ma lascia ampi margini ad una riforma complessiva, sulla quale sarebbe bello sentire il costruttivo e propositivo parere dei magistrati congressisti).
Ecco cose concrete, nessuna delle quali ha a che vedere con faccende direttamente politiche o imputati istituzionalmente quotati. Poi, per carità, io sono per la separazione delle carriere, giacché non mi rassegno a questa unicità corporativa e solo italiana, ma lasciamo da parte le cose troppo grosse, su quelle elencate è possibile procedere senza che un gruppo di togati si senta in diritto di sfilare a difesa della conservazione? Ove la risposta sia positiva, in tre mesi superiamo l’Africa intera e ci ricongiungiamo all’Europa. Dall’Uganda e il Ruanda all’Olanda. Ove sia negativa, almeno indossino il gonnellino di paglia.
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