Nell'immaginario collettivo (e in quello della stragrande maggioranza dei leader politici europei) gli speculatori finanziari, specie quelli che scommettono al ribasso, sono degli dèi onnipotenti e malvagi, che con le loro volubili opinioni condizionano la vita di milioni di individui. Si riuniscono in circoli segreti nei grattacieli di Manhattan e decidono arbitrariamente l'identità delle loro vittime. Quando si avventano, come un branco di lupi, sulla preda indifesa, questa non ha più scampo.
Fu la congiura dei perfidi speculatori a portare Lehman al collasso. Fu un'altra congiura a trascinare la povera Grecia nel fango. E sono sempre loro, i terribili speculatori, ad aver forzato l'Irlanda a chiedere aiuto all'Europa. Se non ci fossero loro, il mondo sarebbe migliore.
La realtà è molto diversa. Lungi dall'essere degli dèi onnipotenti, gli speculatori sono persone pavide. Quando uno speculatore al ribasso vende a 100 euro un titolo che non possiede fa una scommessa molto asimmetrica. Se, come spera, il titolo scende a 80 euro, lo può riacquistare con un guadagno di 20 euro. Ma se ha torto e il titolo sale, rischia di perdere molto di più. Se il titolo raddoppia o triplica la sua perdita è enorme, mentre anche nella migliore delle ipotesi per lui (che il titolo vada a zero) non può guadagnare più di 100 euro. Proprio questa asimmetria rende gli speculatori al ribasso estremamente timorosi. Per questo si muovono in branco, subito pronti a scappare (chiudendo le loro posizioni anche in perdita) appena vedono che il titolo si muove con forza al rialzo.
Se questo non bastasse, lo speculatore al ribasso rischia di perdere soldi anche quando ha ragione. Per speculare al ribasso, deve vendere dei titoli che non possiede. Per farlo deve prenderli a prestito, un prestito che deve essere periodicamente rinnovato. Se improvvisamente l'offerta di titoli a prestito si riduce, lo speculatore si trova costretto a chiudere le sue posizioni prima del momento desiderato, anche se in perdita. Se poi il titolo scende prima che lui sia riuscito a ricreare la sua posizione, lo speculatore finisce per perdere soldi anche quando ha avuto l'intuizione giusta.
Più che a lupi famelici, gli speculatori al ribasso assomigliano a un branco di iene, pronte ad avventarsi su degli animali morti, ma timorose di assalire quelli vivi. Le paure dei politici sono quindi del tutto infondate? No. Un attacco degli speculatori può precipitare la fine di imprese in difficoltà; come le iene, muovendosi in branco, sono talora in grado di uccidere le prede più deboli. Ma per capire se gli speculatori annunciano solo la fine di imprese decotte o piuttosto uccidono imprese sane, basta guardare all'autopsia. Nel primo caso, le imprese oggetto della speculazione sono imprese insolventi, in cui le passività eccedono di gran lunga il valore dell'attivo. Nel secondo, invece, le imprese uccise dalla speculazione sono fondamentalmente sane e quindi con un attivo che dovrebbe risultare superiore alle passività.
Per molte imprese un matrimonio di convenienza o il salvataggio statale impediscono un'autopsia seria. Ma nel caso di Lehman, il cadavere è stato analizzato con squisita dovizia di particolari da Anton Valukas, un esaminatore nominato dal tribunale fallimentare. In 2.200 pagine, Valukas dipinge una società fallita da lungo tempo, tenuta in vita solo da trucchi contabili, come i famigerati repo 105 (vendite a termine contabilizzate come vendite finali). La stessa impressione si desume dalla crisi degli stati sovrani. Forse che la Grecia non era insolvente quando l'Europa è intervenuta a salvarla? Pur con tagli draconiani alle spese imposti dall'Europa, la Grecia stenta ancora oggi a reggere il peso di interessi a loro volta alleggeriti dall'aiuto europeo. E se la recessione continua, non è da escludere la necessità di nuovi interventi. E cosa dire dell'Irlanda, che fino a ieri si proclamava perfettamente in grado di finanziarsi sul mercato? Ora che il fondo europeo è stato mobilitato, si mantiene incerta la cifra richiesta perché il governo non è in grado di stabilire l'entità delle perdite delle banche che ha incautamente garantito. Come poteva il governo irlandese dichiarasi perfettamente solvente, quando non aveva idea della dimensione delle sue passivita?
Il problema, quindi, non è che i perfidi speculatori uccidono ingiustamente imprese sane e forzano alla bancarotta stati solventi. Il problema è che gli speculatori sono troppo pavidi per attaccare isolatamente, e preferiscono precipitarsi sulla preda più debole, quando sta per morire, trascurando quelle gravemente malate. Se il mercato sbaglia, quindi, non sbaglia nel penalizzare l'Irlanda di turno, ma sbaglia nel non penalizzare sufficientemente gli altri stati che sono solo un po' meglio dell'Irlanda.
Questo significa che paesi come il nostro, che si sono crogiolati nelle stime rassicuranti del mercato, non possono dormire sonni tranquilli. Se lo spread dei nostri titoli di stato su quelli tedeschi è relativamente basso è anche perché gli speculatori non hanno la forza di attaccare molti stati contemporaneamente e si sono concentrati sulle prede più facili. Cadute la Grecia e l'Irlanda, spetterà al Portogallo il non invidiabile onore di essere il membro più debole del branco, intorno a cui si concentreranno gli speculatori. E dopo il Portogallo? Per il momento il candidato favorito è la Spagna. Ma basta poco (una crisi di governo al buio?) per farci apparire più deboli dei nostri cugini spagnoli. A quel punto si salvi chi può. (il Sole 24 Ore)
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