Domenica prossima si vota, ma possiamo anticipare il risultato: vince il centro destra. Perché gareggia da solo. I temi, i ritmi e anche le sedi della campagna elettorale sono stati fissati dal centro destra, con un unico argine: il Quirinale. Al punto che l’unico sprint in corso è quello interno all’area di governo, avendo come antagonisti berlusconiani e leghisti. La sinistra, dal canto suo, non corre i rischi del povero Wouter Weylandt, non c’è pericolo prenda troppa velocità in discesa: sono al bar, intenti a guardare la telecronaca delle elezioni e a fare il tifo da estranei.
Non a caso i giornali e i commentatori parlano tutti di Milano, l’unica grande città in cui il centro destra può (teoricamente) perdere. Vincerà. Letizia Moratti continuerà il suo lavoro di sindaco. Ma tutti sono intenti a valutare quali sono i rapporti di forza interni, quali saranno i tempi delle elezioni (se si chiuderà la partita al primo turno), quale il risultato nei comuni vicini, dove, talora, il centro destra si presenta diviso. In tutto quel che si osserva non entra mai la sinistra, vissuta come il mero contenitore delle schede deposte dai cittadini che si recano ai seggi, ma non votano per il centro destra. Voti per antipatia, insomma, per esclusione.
In altre grandi città, invece, è la sinistra a potere perdere. Ma anche lì, la gara non ha sostanza politica, perché hanno già perso. A Torino avevano un candidato con i fiocchi, capace di lanciare un segnale incoraggiante alla sinistra di tutta Italia: Francesco Profumo, rettore del Politecnico. Gli hanno preferito Piero Fassino, anche in questo caso lanciando un segnale generale: finché sopravviveranno gli ex comunisti non lasceranno spazio a nessuno, anche a costo di cloroformizzare le città. Passare da Chiamparino a Fassino significa camminare all’indietro. A Bologna pure un militante attento e fedele alla sinistra, come Gianfranco Pasquino, annuncia che se non fosse per la disciplina e la coerenza con se stesso voterebbe per la Lega, sbracciandosi nel complimentarsi con Giulio Tremonti e apprezzando un mameliano Umberto Bossi. In quanto alla buona amministrazione, sotto la torre degli Asinelli non ci credono più neanche i somari. A Napoli non ne parliamo: il sindaco uscente se la prende con la sinistra e il mitico Antonio Bassolino avverte sui pericoli di mollare il potere. Non sono riusciti a trovare neanche un candidato, dovendosi appoggiare al prefetto.
Tutto questo avviene in uno scenario nel quale tutti i grandi governi occidentali hanno perso le elezioni amministrative o di medio termine. E’ successo negli Stati Uniti, in Francia, in Germania. In Inghilterra hanno esagerato: le ha perse il governo che c’era quando il centro destra vinse le ultime politiche, nel 2008, e le ha perse anche il governo successivo, d’opposto colore. Da noi, invece, recessione, scissioni, inquisizioni e sputtanamenti non sono riusciti a produrre una sola sconfitta del centro destra. Vedremo il prossimo lunedì, conteremo quanti voti sono andati ancora a Silvio Berlusconi e quanti gli sono sfuggiti, unendosi al blocco del rifiuto. Non riusciremo, però, a contare quanti ne ha presi l’opposizione, perché, lo ripeto, la gara la fa uno solo. Se vince, se non riesce ad inciampare sui propri errori (ieri un neo sottosegretario ha battuto il record di velocità al campionato della stupidità, così imparano a selezionarli così acuti e pensosi), confermerà la tenuta, altrimenti i voti degli altri saranno solo la misura della sua sconfitta, non dell’altrui vittoria. Il che, in politica, come in tanti altri aspetti della vita (si ricordi la Patty Pravo di Pazza idea), è un successo.
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