I tre candidati alla segreteria del Partito Democratico la pensano allo stesso modo solo su due cose: contrari alla separazione delle carriere, per i magistrati, e favorevoli al voto per gli immigrati. Nel primo caso sono conservatori, oppositori della civiltà del diritto. Nel secondo ignoranti della realtà, viventi nel mondo dell’astrazione e del preconcetto.
Grazie ad una meritoria iniziativa de La Stampa, i tre candidati hanno risposto alle domande di un questionario. O, per meglio dire, sono stati invitati a farlo, visto che a diverse domande ora l’uno ora l’altro (mai Franceschini) hanno preferito scansare le risposte preconfezionate e dedicarsi ai distinguo del politichese. Il risultato, comunque, è interessante. Sull’età pensionabile, per esempio, Franceschini e Marino si pronunciano apertamente a favore dell’innalzamento, segnalandosi come più realisti di certi ministri, mentre Bersani è decisamente filogovernativo. Singolare, non vi pare? I due che si oppongono alla linea governativa lo fanno “da destra”, ove mai tale classificazione abbia ancora una significato.
Della questione immigrati tornerò ad occuparmi, non avendola certo trascurata. Oggi mi preme il brivido d’orrore provocato da quell’unanimità contraria alla separazione delle carriere. Orrore che cresce, sapendo che anche a destra molti la pensano in quell’incivile modo. E mi permetto un linguaggio così crudo perché in tutto il mondo civile le carriere sono separate. Non c’è nessuno che si trovi nella nostra ridicola e deprecabile condizione, sicché, quando si arriva in un’aula penale, l’accusatore ed il giudicante sono colleghi, fanno alleanze per eleggere i loro rappresentanti, militano in correnti politicizzate che, a seconda dei casi, li uniscono nelle convinzioni politiche o li uniscono nella spartizione di incarichi e promozioni. Possiamo far finta di discuterne quanto si vuole, ma non esiste una sola ragionevole teoria del diritto che giustifichi questo scempio, né c’entra un fico secco l’autonomia dei magistrati che, semmai, è minacciata e non tutelata da tale commistione.
E allora? Allora il fatto, increscioso, è che la gran parte di questo mondo politico è figlio non del mandato popolare, ma del colpo di mano giudiziario. Può aspirare a governare non perché dimostratosi più bravo e convincente di chi li precedeva, ma perché la precedente classe dirigente è stata spazzata via. Non dimenticatelo mai: i partiti politici che raccolsero la maggioranza assoluta dei consensi popolari, nel 1992, appena due anni dopo, nel 1994, non erano più neanche sulla scheda elettorale. Sono passati diciassette anni, ma ancora la politica non è riuscita a riprendersi il ruolo che la democrazia e lo stato di diritto le assegnano. Ecco, perché questi relitti senza più idee non riescono a prendere le distanze dalla fedifraga genitrice, la malagiustizia.
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