3 febbraio, Gino Tommasino, consigliere comunale a Castellammare di Stabia (Napoli), esponente del Partito Democratico in una città amministrata da una giunta che comprende il suo partito, giace per terra, in viale Europa, crivellato di colpi. 15 ottobre, dalle mani degli inquirenti fugge Catello Romano, che aveva annunciato ed avviato una collaborazione con la giustizia, indicando i componenti del commando assassino. Più che collaborare, però, se la squaglia, dal rifugio dove era protetto. 15 ottobre, lo stesso giorno della fuga, il Partito Democratico campano lo espelle. Già, perché il giovane, presunto killer o, comunque, al corrente di qualche cosa, era iscritto a quel partito. E non era il solo, sicché il compagno assassinato ha dei compagni assassini.
Non si corra a conclusioni affrettate ed arbitrarie, prima si tenga presente un altro elemento: immaginando la possibilità d’infiltrazioni camorristiche, il Partito Democratico di Castellammare aveva proceduto ad un’analisi attenta degli iscritti, fra i quali figuravano, e figurano tuttora, diversi pregiudicati. Si era insediata una commissione apposita, incaricata di monitorare i compagni, uno ad uno, presso la sede del partito. Bastava un indizio, un volto noto, un vago sospetto e l’iscritto sarebbe stato messo alla porta. Per il buon nome del partito e per il rispetto che si deve agli iscritti onesti. Sapete quanti sono stati i respinti? Nessuno.
Non penso affatto che quel partito sia divenuto un partito di camorristi, ma so per certo che questo avrebbero scritto i giornali di oggi, se si fosse trattato di un partito diverso. Nei confronti di altri si sarebbe fatto il seguente ragionamento: chi erano gli amici del morto e degli assassini? chi erano i loro referenti provinciali e regionali? questi a loro volta, in quale corrente militano e chi è il loro leader nazionale? Tirando le somme avreste letto: il tale leader politico fa politica in contatto con la camorra, al suo servizio. A questa barbarie non ci allineiamo, naturalmente. Ma solleviamo un problema più vasto, che non riguarda solo la sinistra: se i partiti smettono di essere organizzazioni strutturate, se si trasformano in notabilati locali ed aggregato tutto quello che arriva, inevitabilmente sono contaminati dal peggio che la realtà locale esprime, e se i vertici somigliano a comitati d’affari, alla “base” si può trovare gente che spara. Non è la prima volta, quindi non sto esagerando.
In Campania ne sono successe di tutti i colori. Nella grande abboffata della spazzatura s’è nutrita anche la camorra. E alla grande. Non solo, i rifiuti hanno soffocato Napoli ed offerto uno spettacolo indecente, in mondovisione. Cosa è successo, poi? Nulla. La classe amministrativa è sempre la stessa, i dirigenti del partito sono sempre gli stessi, anzi, diciamola in modo più chiaro: avendo il saldo controllo del partito, il gruppo di Bassolino non può essere scalzato dall’amministrazione, come decenza ed opportunità politica vorrebbero.Dato che la spesa pubblica, largamente amministrata dagli enti locali, è una fonte di guadagno che contende ai mercati criminali il primato, in termini di fatturato, ne deriva che chi è forte nei secondi tende ad appropriarsi anche della prima. L’incapacità di reprimere il crimine, causata anche dai suoi legami con chi occupa le istituzioni, non solo impedisce di risanare aree che finiscono con il divenire extraterritoriali, ma provoca l’inevitabile inquinamento della politica. Di quella vincente, di quella che gestisce i soldi. In Campania, della sinistra.
Il popolo guarda, assiste all’avvicendarsi delle parti politiche, matura la convinzione che nulla possa cambiare, prova ad ottenere qualche cosa, ciascuno per sé, e si trasforma in plebe.
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