Le donne del capo? Viene un po’ da ridere, ascoltando i seri dibattiti su sesso e potere, tutti lì a interrogarsi più o meno pudicamente se al leader la diano gratis e per pura soddisfazione oppure in cambio di qualcosa, favori, promesse, speranze o quattrini poco cambia. E ancor più, vedendo lo strappar di vesti e gli strepiti in punta di penna delle femministe più o meno attempate. Più, che meno. Come se avessero dimenticato non solo e non tanto la liberazione sessuale, ma il Sessantotto. Imperversa la sofferenza, la «sudditanza psicologica», la «prevaricazione» del potere, la sindrome di Stoccolma. Insomma, quel sempiterno maschilismo che a ogni puntata tanto indigna Gad Lerner e gli ospiti dell’Infedele. Ma il fascino del leader, le donne che s’offrivano (con l’apostrofo) o “timidamente” si rendevano disponibili ai capi e a chi infiammava le assemblee, sono figliolanza di quel vituperato Sessantotto, hanno segnato con forza il movimento studentesco e i gruppi extraparlamentari. E dev’esserci un motivo, se quasi - non dimenticate il quasi - tutti i soggetti maschi che ancora negli anni ’70 “militavano” e occupavano licei e università, ricordano quegli anni come i migliori della loro vita.
È una fetta di storia poco raccontata, non emerge più nemmeno nelle serate dei reduci, ma anche chi “non ha fatto il Sessantotto” l’ha sempre subodorata. O non erano pruriginose le cronache dei giornali perbene che raccontavano le notti d’okkupazione col sacco a pelo a Lettere, tutto sesso, droga e rock and roll? In realtà il meglio si sviluppava di giorno, sotto la cattedra dell’aula dove si tenevano quelle estenuanti e interminabili assemblee. Altro che la passerella delle veline o l’offerta delle escort, era il mercato dell’acchiappo. Chi parlava meglio al microfono aveva svoltato la serata, poteva scegliere a piene mani guardando il parterre. Quello che eccelleva su tutti gli oratori della giornata svoltava anche il pomeriggio, diversificando. Altro che «il corpo è mio e lo gestisco io», c’era la corsa, da ambo le parti. Il giorno dopo o a fine settimana, nel rendiconto in trattoria, a esibir gli scalpi non erano soltanto i leaderini. Spesso anche una bella ragazza vantava di «essersi fatta» il più ambito.
Quelli della Fgci, i giovani del Bottegone, rosicavano. Si son liberati più tardi, dandosi da fare dopo la scissione del Manifesto, quando hanno visto che i compagni espulsi gli davano giù di brutto. Ma quanto rimediava Franco Piperno, leader di Potere Operaio, non sapeva tenere il conto nemmeno lui, era il più invidiato (dai maschi, ovviamente) di tutta Roma. Una sera, a Campo de’ Fiori, si sono accapigliate in tre per un passaggio nel suo letto. Anche Adriano Sofri era assai ricercato e inseguito dalle compagne, a dimostrazione che il carisma è fatto pure di carni e umori. Certo è l’esagerato culto della personalità che imperava in Lotta Continua, ma dicevano che il leader ce l’avesse pure grande, se non altro per via del «basso ma dotato». Il dirigente Lc di Roma Centro, parliamo già di terze file, non aveva un brutto viso ma era alto un barattolo. Però parlava come un dio greco, incantava anche i serpenti, e scopava come un riccio. Gad Lerner invece, raccontano i suoi compagni, pare che restasse sempre a bocca asciutta. Lanfranco Pace, che allora non era poi così diverso da adesso, mieteva a Ingegneria e in Potere Operaio come un dannato, da stupire anche Piperno.
Domandate a Mario Capanna, se ricorda qualcosa sull’argomento. Oppure ad Aldo Brandirali, prima che imponesse a Servire il Popolo il rigido moralismo del Pci stalinista. Furono anni d’oro quelli, rimediava discretamente anche Renato Mannheimer, dopo un buon intervento. Pure Paolo Mieli, tra Potere Operaio, l’università e i primi grandi passi nel giornalismo, ha raccolto abbondanti grazie dalla militanza movimentista. Se Gianni Mattioli era monogamo e “serio”, è soltanto perché aveva una donna, anzi ce l’ha ancora, che lo avrebbe sbranato. E Stefano Marroni, leader del Tasso? Era della Fgci, ma cavalcava come un gruppettaro.
Più o meno come oggi, te la davano sull’onda del potere, per la forza della parola, o sul mito della forza bruta. Quanto dragavano i migliori del servizio d’ordine al tramonto e i katanga, non immaginate. Ricordate il film «Quando le donne avevano la coda»? Il clima era quello, e quanto fossero belle le prede, basta sfogliare le foto delle manifestazioni d’allora. Nel ’74 all’Argentina, ci fu uno scontro tra il servizio d’ordine di Lotta Continua con quelli di Avanguardia Operaia e del Manifesto che si ergevano a paladini delle prime femministe. Nella corsa al pelo libero e autogestito, gli ex lottatori sostengono ancora oggi di aver vinto loro.
Qualcuno ricorderà la vicenda di Popi Saracino, dirigente del movimento studentesco milanese, che divenuto insegnante fu portato in tribunale da una sua allieva, maggiorenne, che s’era sentita in «costrizione psicologica». Probabilmente Saracino non s’era accorto che il movimento era finito, quel che può avere un leader non è permesso ad un prof, e si beccò 4 anni e 4 mesi. Quattro anni dopo però, nell’85, lo hanno assolto con formula piena.
La morale di questa storia? Difficile distillarla, forse è attaccata ad un pelo. Però, se Berlusconi avesse fatto il Sessantotto, ora forse lo lascerebbero in pace.
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