Bisognava vederlo Massimo D’Alema mercoledì sera a “Ballarò” quando il ministro del welfare Maurizio Sacconi l’ha beccato in castagna con questa storia che nell’ultimo numero della rivista della sua fondazione, “Italiani europei”, qualcuno ha pensato bene di chiedere un contributo all’ex eversivo all’italiana Toni Negri, detto anche “prendi lo stipendio da parlamentare e scappa”. La faccia di Baffino si è subito rabbuiata e il riflesso è andato sulla difensiva: “Noi del Pci abbiamo pagato un alto tributo di sangue alla lotta contro il terrorismo di sinistra”. Negri in Francia ha goduto di alte protezioni all’interno della gauche caviar locale ed europea. E all’ombra della dottrina Mitterrand ha consumato un comodo esilio prima di costituirsi negli anni ’90 quando tra indulti e amnistie quasi tutta la pena per associazione sovversiva e banda armata era stata già scontata. Anche contando il fatto che i primi cinque anni, a onore del vero, se li era fatti tutti in carcere in attesa di giudizio tra il 1979 e il 1984 e per giunta con accuse di cui era palesemente innocente. Tuttavia Negri resta un cattivo maestro. Se allo scivolone di ridare un megafono a Negri si aggiunge l’altra incredibile storia del dirigente del Pd modenese che chiama alle armi contro il Cav su “facebook”, salvo poi dimettersi un volta scoperto, si capisce perché persone come Giampaolo Pansa parlino oggi di “aria di ritorno agli anni ‘70”. Ma il problema, secondo Pansa, non è tanto quello del “Carneade Matteo Mezzadri” o del patetico ritorno di Toni Negri. No, secondo il Giampaolone nazionale, oramai sarebbe Eugenio Scalfari il vero e livoroso “cattivo maestro” del giornalismo italiano. Un vero e proprio diseducatore delle masse, vagamente rimbambito, con quell’afflato mai sopito, espresso prima contro Craxi e poi contro Berlusconi, di annientare l’avversario politico. Anzi il nemico. E per quelli come D’Alema che quando gli si ricorda in tv la genesi e il dna, anzi “l’album di famiglia” del terrorismo brigatista, per citare una fortunata espressione coniata negli anni ’70 da Rossana Rossanda sul “manifesto”, rispondono che “noi abbiamo pagato un alto tributo di sangue alla lotta al terrorismo”, Pansa precisa che “ alla fine si tratta di due persone: Guido Rossa, che è un sindacalista da loro emarginato e poi utilizzato solo dopo morto, e il povero D’Antona, che però fu ucciso da Brigate rosse che erano già un’ altra cosa rispetto a quelle degli anni ‘70”.
Mentre il clima di odio, per cui adesso i servizi di sicurezza sconsigliano al Cav i bagni di folla, sono sempre loro, gli ex comunisti, che contribuiscono a crearlo.
Pansa, parlando con il webmagazine della Fondazione “Fare futuro” che fa riferimento al presidente della Camera Gianfranco Fini, l’altro ieri ha ribadito quello che aveva già detto in un’intervista al “Corriere il giorno prima: ”C’è un odio che si taglia a fette“. E ha aggiunto : ”mi ha detto un amico, commentando la mia intervista di ieri al Corriere, che ormai c’è un odio fra due mondi. La gente lo percepisce, c’è poco da fare. Ma il mondo politico non pare preoccuparsene. Penso che i politici, in tutto questo, siano gli ultimi a preoccuparsene. Così come non si accorsero dell’arrivo di Tangentopoli o, anni prima, dell’avvicinarsi del pericolo terrorista. I parlamentari si sentono protetti dal ruolo che hanno, dal partito, dalla carica. Comunque sia, delle reazioni della casta mi importa poco. Quel che conta è il fatto che siano stati gli italiani qualunque a rendersene conto. (...) E invece basta andare in giro, per rendersi conto di quei mutamenti che, magari, non sono ancora arrivati sui giornali, e che però ci sono. Insomma, questa intervista al “Corriere” ha fatto rumore, credo, perché di solito questi argomenti non sono trattati sui giornali. Ma io di questi temi ne ho scritto spesso, non so se è per l’età che ho o per tutto quello che ho visto nella mia vita visto che io, negli anni 70 e 80, ho rischiato la pelle“. Pansa parla anche del problema delle giovani generazioni del tutto diseducate da questi agit prop che magari, dalla cattedra di un liceo, ti indicano la Carfagna come una baldracca e la Gelmini anche peggio. I giovani ieri si sparavano in piazza, oggi okkupano licei e università all’insegna di vuoti slogan di cui spesso neanche capiscono il significato più profondo. Così, dagli oggi e dagli domani, ritorna quel clima e un bel giorno, mutatis mutandis, torna pure la violenza. Senza contare che se oggi non c’è più l’humus adatto per il terrorismo marxista, non mancano le tensioni terzo-mondiste e il miraggio dell’ideologia anti sistema tipica del fondamentalismo islamico. Non a caso la maggior parte dei convertiti italiani all’Islam della prima ora ha scelto l’Ucoii e la fratellanza mussulmana e ha fatto un percorso eversivo lineare partendo da Prima Linea o dall’Autonomia per poi approdare tra i barbuti di casa nostra che fanno mettere il burqa alle loro compagne convertite anche loro cui impongono anche la poligamia. Prima davano le botte davanti alle fabbriche e alle scuole con le chiavi inglesi adesso si limitano a picchiare, di tanto in tanto, le proprie donne e i propri figli. (l'Opinione)
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