Due autorevoli saggisti, l'italiano Massimo Caprara e l'americano Jay Nordlinger, rispettivamente sulla rivista di formazione Il Timone e su National Revew (articolo pubblicato anche da Ideazione), hanno provato a delineare, sulla base di testimonianze e riscontri incontrovertibili, una ricostruzione rigorosa della vicenda rivoluzionaria del "mitico" Che Guevara. Ne risultano verità forse non sufficientemente conosciute. Scrive Massimo Caprara:
«Che Guevara è stato il vero, autentico ispiratore della rivoluzione comunista di Cuba. Con lui la sommossa anti-Batista si trasforma in spietata macchina rivoluzionaria; la chiave di lettura della vicenda terroristica dell'isola sta in questo maoista filo-cinese che non guarda in faccia nessuno e che si immola per i propri ideali fatalistici e immaginari, che grondano sangue. Egli viene subito arruolato dai fratelli Castro, ne diventa il mentore astuto e riesce a conquistare l'anima profonda del sistema operativo. Il 2 gennaio 1959 i guerriglieri castristi entrano a L'Avana e occupano la fortezza La Cabana. Vi viene subito allestito, come emblema del nuovo regime, un carcere di massima sicurezza, in cui si processano sommariamente detenuti civili e militari, si seviziano 131 sacerdoti e uomini di Chiesa. Oltre 20.000 sono i prigionieri di guerra catturati, dei quali si calcola che circa 10.000 vengono passati per le armi a Loma de Los Loches, come Monsignor Jaime Ortega. Mentre Castro è il volto presentabile degli insorti, il "Che" (dichiarato Comandante in seconda dell'esercito ribelle), ne rappresenta quello repressivo. Come primo Procuratore militare, egli detta le norme del "Regolamento" carcerario e ne programma l'intero sistema, in ossequio a quel suo concetto "dell'odio distruttivo che fa dell'uomo un'efficace, violenta, selettiva, fredda macchina per uccidere". Lo riferisce testualmente Régis Debray, il francese sessantottino che molto ha scritto e meditato su di lui, dopo averlo seguito in Bolivia.
«Guevara è l'ideatore e l'organizzatore, nel 1960, del primo "campo di lavoro correzionale", dove venivano spediti anche i semplici renitenti o "svogliati" sul lavoro. Dissidenti democratici, omosessuali, adolescenti (ragazzi di 15 anni o poco più su), intellettuali e letterati "inutili alla Rivoluzione", ecclesiastici perseguitati, vengono ammassati all'aperto sulle spiagge dell'Arcipelago Camarguey e lasciati sotto le intemperie tropicali. Il Che non aveva mai fatto mistero delle sue disposizioni. Lo scrittore Paco Ignacio Taibo II, nato in Spagna, dimorante in Messico, ha scritto nel suo libro "Senza perdere la tenerezza" (pure molto tollerante verso il medico argentino), che il "Che" era solito ripetere la massima pedagogica:"Prendete il fucile e sparate alla testa di ogni imperialista che abbia più di 15 anni".
«Lo stesso scrittore evidenzia come Che Guevara sapesse far soffrire acutamente i dissenzienti e i prigionieri: «fu il più violento tra i praticanti del socialismo». Nel decalogo dei detenuti politici il "Che" ordinò che essi fossero costretti a «partecipare nudi alla cosiddetta cuadrilla [gruppi di 40 persone comandati da un sergente o un tenente, nda] dei lavori agricoli; venire immersi per ogni infrazione nei pozzi neri; tagliare l'erba con i denti; salire le scale con le scarpe zavorrate di piombo». A lui scrittori del dissenso cubano addebitano nel corso degli anni 1959-60 d'aver giudicato e fatto fucilare 381 prigionieri. Sue sono le famigerate celle chiamate "ratoneras" (buche per topi), "gavetas" (gabbie), "tostadoras" (tostapane), "tapiadas" (con grate strettissime), come ha documentato la rappresentante provvisoria di Cuba all'Unesco, Martha Frayde».
Jay Nordlinger aggiunge su National Review: «Che Guevara dirigeva le esecuzioni sommarie a La Cabana, la fortezza che fungeva da mattatoio. Gli piaceva amministrare il colpo di grazia, il proiettile nella nuca. E amava far sfilare la gente sotto El Paredon, il muro rosso di sangue contro il quale furono uccisi tanti innocenti. Inoltre, istituì il sistema di campi di lavoro dove innumerevoli cittadini soffrivano e morivano. Stiamo parlando del gulag cubano.»
Uno scrittore cubano-americano Humberto Fontova, descrisse Guevara come "una combinazione fra Beria e Himmler". Antony Daniels disse: «la differenza fra Guevara e Pol Pot era che il primo non aveva studiato a Parigi». «E, tuttavia - evidenzia ancora Nordlinger - uno degli uomini più illiberali viene esaltato dai "liberal".» Come ha riassunto Paul Bernman: «il Che era un nemico della libertà ed è stato eretto a simbolo della libertà. Ha contribuito ad istituire un sistema sociale ingiusto a Cuba ed è stato eretto a simbolo della giustizia sociale. Si è schierato per le antiche rigidità del pensiero latino-americano in versione marxista-leninista ed è stato esaltato come un libero pensatore e un ribelle».
Già, proprio così. E forse è davvero riprovevole che in numerose manifestazioni politiche di sinistra (particolarmente in Italia) la faccia che appare in effige con più frequenza è quella del "Che". La piazza che plaude a quell'effige non è propriamente una bella piazza. Marzo 2005
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1 commento:
peccato che i sinistri, che tanto amano adornarsi con immagini del Che e al quale si ispirano come fosse chissà quale "santo", si dimentichino di questi "dettagli" ..
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