È incredibile come al bla bla bla del rigore dei conti pubblici corrispondano comportamenti che vanno esattamente nella direzione opposta. Nella notte di domenica scorsa, come testimonia Antonio Signorini in un documentato articolo interno al giornale, il governo ha deciso di impiegare un miliardo dei nostri quattrini per dare un posto fisso ai precari della pubblica amministrazione. Si tratta chiaramente di una prima risposta alla manifestazione di piazza della sinistra radicale del 20 ottobre. Le risorse della finanza pubblica stanno diventando una variabile indipendente nell’affannosa ricerca di trovare un compromesso. Un po’ come doveva essere il salario nei ruggenti anni 70.La misura è assurda, demagogica e platealmente in contrasto con qualsiasi sano principio di buona finanza pubblica. In Italia un impiegato su sei ha come datore di lavoro lo Stato nelle sue diverse articolazioni. 3,5 milioni di dipendenti pubblici che non forniscono un servizio all’altezza di un Paese civile. Non solo i contratti vengono rinnovati senza alcuna attenzione al merito, ma si continua a procedere ad assunzioni a pioggia.Eppure la mossa di Prodi&Co ha una sua velenosa forza popolare. A differenza del settore privato dove il lavoro precario (esclusi casi di abuso che rappresentano una minoranza da condannare) risponde a logiche di flessibilità dell’impresa, nell’universo statale il precariato spesso è una patologia. Si fanno e si reiterano contrattini per il semplice motivo che in questo modo si scavalcano i blocchi alle assunzioni via via imposti dalle diverse leggi Finanziarie. Lo «scivolamento» delle carriere in alto, la mancanza di meritocrazia, la migrazione senza criterio tra uffici disagiati e quelli meno, ha mal distribuito il carico di lavoro. E può succedere che in una regione come il Veneto (dove nel settore privato praticamente la disoccupazione è pari a zero) la sanità pubblica sia affidata a precari: ci sono la bellezza di 3437 contratti a tempo e di questi 1389 sono medici che nonostante i loro contrattini svolgono servizio pubblico e funzioni di ruolo. Insomma la gestione del personale nella nostra pubblica amministrazione è un gran pasticcio. Ecco perché la mossa di Prodi&Co ha una sua forza demagogica: per alcuni casi essa sana situazioni insostenibili come quella veneta, ma per la maggior parte regolarizza, per di più senza alcun concorso, posizioni di amicizia e clientela.
Nella logica della sopravvivenza, a spese nostre, si perde ogni criterio economico. Se oggi, come la sinistra radicale vorrebbe, si imponesse la trasformazione a tempo indeterminato di tutti i contratti flessibili anche ai privati, l’industria italiana fallirebbe, non riuscirebbe a reggere i morsi della concorrenza. Per il settore pubblico questo sano vincolo non c’è. Ci sono solo i nostri quattrini, ricavati dalle imposte. Están todos caballeros. (il Giornale)
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