Su “Repubblica” del 1° ottobre, in un editoriale dal titolo “L’evasore fiscale sul lettino di Freud” Sergio Pirani propone garbatamente l’ipotesi che gli evasori fiscali siano dei poveri nevrotici da sottoporre a una paziente psicoterapia per liberarli dalla loro patologica ostilità per il fisco. Quest’ipotesi è sicuramente meno incivile di quella dominante in molti ambienti politici, che considera l’evasore un vero e proprio criminale, ma è pur sempre il segnale di un allineamento succube di Pirani all’ottica morale e politica statalista che è stata, soprattutto nelle grandi liberal-democrazie occidentali, il pretesto e lo strumento dello sfruttamento e dell’oppressione del Popolo dei Produttori ad opera della classe politico-burocratica parassitaria. E difatti l’editoriale di Pirani trae spunto e ispirazione da un recente libro “Non pensate all’elefante” di George Lakoff, professore di Scienze Cognitive all’Università di Berkeley, che gli è stato segnalato, non a caso, da due altri accademici, Franco Paparo, psicoanalista freudiano, e Gianni Liotti, psicologo cognitivista. E’ impressionante come Mario Pirani, un giornalista di grande qualità ed esperienza, si sia bevuto e ci riproponga tutta la favoletta edificante dello statalismo in tema di tasse raccontata nel libro di Lakoff:
“Che cosa sono le tasse ? – scrive l’accademico di Berkeley, col tono del nonno virtuoso che catechizza i nipotini – Le tasse sono i soldi che paghiamo per vivere in un paese civile, per avere la democrazia e le opportunità e per usare le infrastrutture finanziate dai contribuenti che sono venuti prima di noi: la rete autostradale, internet (sic!), la ricerca scientifica e medica (sic, sic!) le comunicazioni, il trasporto aereo 8isc,sic,sic!). (Francamente non capisco perché mai la rete autostradale, internet, la ricerca scientifica e medica o il trasporto aereo si debbano considerare provvidi doni dello Stato quando è arcinoto che sono servizi in larga misura assicurati dalle imprese private: ma perdoniamo per un attimo le scemenze di Lakoff e continuiamo ad ascoltare le sue perle di saggezza). “Pagando le tasse – egli scrive - i nostri genitori hanno investito nel futuro nostro e loro. E se un discorso del genere fosse stato ripetuto per anni, alla fine il concetto sarebbe stato accettato: le tasse sono un investimento sul futuro. Perciò chi paga le tasse è un patriota e chi le evade è un traditore che manda in rovina il paese”.
Senonchè poche pagine più avanti Lakoff riconosce che molti elettori della destra non sono affatto sordi agli ideali dei progressisti: e cioè alla fiducia nel dialogo, nella capacità di crescita autonoma della persona, nella crescita culturale della società e nella collaborazione tra gli umani in un’ottica di parità. E proprio per questo consiglia ai progressisti di avvicinare gli elettori di destra sul piano di questi ideali, riservandosi di passare solo in un secondo tempo ai temi economici e fiscali.Lakoff e Pirani non sembrano rendersi conto che proprio questo è stato purtroppo il trucco da sempre utilizzato dai cosiddetti progressisti per turlupinare gli elettori: attrarli con gli ideali di libertà personale e modernizzazione culturale, salvo poi bidonarli con l’oppressione fiscale e le pastoie burocratiche. E qui, come vi segnalo da molti anni, sta la gigantesca truffa politica della sinistra storica: adescare con i suoi ideali di libertà e crescita umana il consenso dei Produttori del settore privato, per poi, conquistato il potere, rapinarli di metà o due terzi del loro sudato reddito e, con questa marea di denaro, foraggiare le sue sterminate burocrazie parassitarie che in Italia (e in vari altri paesi occidentali) sequestrano e intascano ormai i tre quarti del gettito fiscale e rendono di fatto “incomprimibile” la spesa pubblica (come proclamava già dieci anni fa Lamberto Dini, allora primo ministro) mentre i moralisti alla Pirani o alla Lakoff continuano a considerare il burocrate, conforme alla definizione tragicomica di Hegel, “il tutore del Bene Universale”.
E quel che è peggio, né Lakoff né Pirani sembrano rendersi conto del fatto che la disponibilità di molti elettori di destra ad entusiasmarsi per le idee liberali e innovative sbandierate dalla sinistra dimostra che, come molti elettori di sinistra sono disgustati dalla schiacciante pressione fiscale dei governi statalisti, così molti elettori di destra votano i partiti di destra per difendersi dalla rapina fiscale delle sinistre ma sono disgustati dall’ottuso conformismo clericale delle dirigenze politiche di destra: insomma né Lakoff né Paparo né Liotti né Pirani sembrano capire che esiste un enorme potenziale elettorale per una forza politica capace di unire il liberismo (definito ormai di sinistra anche da certi economisti innovativi, come Giavazzi) allo sviluppo delle libertà personali e della modernizzazione culturale.
Chi dunque, come Lakoff, Paparo, Liotti e lo stesso Pirani vede nel fisco uno strumento di civiltà e di democrazia, ignora o finge d’ignorare che in Italia e in molti altri paesi dell’Occidente avanzato il fisco è diventato invece uno strumento basilare di sfruttamento gestito dalla classe politico-burocratica parassitaria per vivere nella sicurezza, nel privilegio e spesso nell’ozio alle spalle dei lavoratori dipendenti e indipendenti del privato, cioè del Popolo dei Produttori, che vivono nell’insicurezza e nella fatica tipiche d’ogni attività di mercato; e che, per di più, il fisco si è dimostrato quasi sempre un fattore deprimente per lo sviluppo della produzione, dell’occupazione e della prosperità d’un paese. Sul piano etico, poi, il reato di un evasore che cerca di sottrarsi in parte alle rapine fiscali è davvero molto veniale rispetto a quello di milioni di fannulloni di Stato che rubano al Popolo dei Produttori l’intero stipendio.
Non mi sembra di certo strano che, a difendere l’immagine d’un fisco benefico e provvidenziale, siano tre docenti universitari come Lakoff, Paparo e Liotti, cioè tre notabili di quella classe accademica che ha sempre attinto ottimi e sicuri vitalizi nel fiume di denaro spillato ai lavoratori dipendenti e indipendenti del privato. Più strano invece mi sembra che un giornalista riflessivo e professionalmente brillante come Pirani rilanci il predicozzo dei tre accademici senza lontanamente capire la profonda immoralità che si nasconde dietro il moralismo fiscale della classe parassitaria e sfruttatrice. (il blog del solista)
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