Che i magistrati debbano parlare solo attraverso gli atti processuali è una buona regola di civiltà del diritto e di carattere generale che dovrebbe valere per tutti e in ogni circostanza. Da noi, è diventato un luogo comune al quale una parte della classe politica e dei media ha apportato una eccezione per farlo diventare ancora più comune. «Comune », inteso nell'interesse di tutti gli appartenenti a una parte politica, rispetto a «generale» (nell'interesse di tutti). L’eccezione è questa. Ora che a essere indagati sono esponenti del centrosinistra, è bene che i magistrati rispettino la regola generale, evitando di andare in televisione a esporre le proprie convinzioni, perché «nessuno mette in discussione l'indipendenza della magistratura».
Prima, quando indagati erano esponenti del centrodestra, era giusto che i magistrati esponessero alla tv le loro convinzioni, «perché c'era chi metteva in discussione l'indipendenza della magistratura». Naturalmente, che, col centrodestra, l'indipendenza della magistratura fosse in pericolo e ora, col centrosinistra, non lo sia, lo dicono sempre gli stessi. Quelli del luogo comune con eccezioni incorporate. Così, quando, il 14 luglio 1994, il pool di Mani pulite era andato in televisione a opporsi pubblicamente al decreto Biondi che tendeva a ridurre i termini della carcerazione preventiva, nessuno, nel centrosinistra e dai media ad esso contigui — nonché, ad essere precisi, anche in alcuni settori della stessa destra — aveva avuto alcunché da eccepire.
Anzi, tutti si erano schierati a fianco del pool. Che chiedeva di fatto e in diritto di poter continuare a utilizzare la carcerazione preventiva come la ruota medievale. Per strappare agli inquisiti una confessione. Su queste stesse colonne avevo scritto che gli uomini del pool avrebbero dovuto dimettersi, invece di contestare pubblicamente il Parlamento, se ritenevano di non poterne applicare un provvedimento che, oltre tutto, (re)introduceva nel nostro ordinamento un principio dell'Habeas corpus. Oggi, il dottor Luigi de Magistris — il magistrato di Catanzaro che indaga su un supposto comitato d'affari che avrebbe gestito illecitamente i fondi dell'Unione europea e, fra gli altri, ha iscritto nel registro degli indagati addirittura il ministro della Giustizia—e la dottoressa Clementina Forleo, il magistrato di Milano che si occupa della scalata di Unipol alla Banca nazionale del lavoro, vanno in televisione, come allora il pool di Milano, a esporre le loro convinzioni e a denunciare supposte pressioni politiche sull'indipendenza della magistratura.
Ma gli interventi di uomini politici del centrosinistra e dei media ad esso contigui si sprecano nel raccomandare il rispetto della regola della riservatezza da parte dei due magistrati. Luciano Violante, punto di riferimento da anni del «partito dei giudici», ha dichiarato a Lucia Annunziata che «La Forleo e De Magistris hanno sbagliato ad andare ad Anno zero per cercare consenso», sostenendo che è la prima volta che si pone un caso del genere e che lui comunque aveva sempre criticato questi comportamenti. Affermazione che ha provocato stupore nell’intervistatrice e credo in tutti coloro che hanno assistito alla trasmissione.
Meglio tardi che mai, si potrebbe dire. Peccato che il ritardo sia peloso, proprio come, allora, la prontezza nel sostenere il contrario. Detto questo, aggiungo che, così come non avevo condiviso quello del pool di Milano, non condivido il comportamento di De Magistris e della Forleo. Apprezzabile mi pare —anche se discutibile per i contenuti — la coerenza di un altro magistrato, Antonio Ingroia, di Palermo, sull’esistenza di non meglio identificati «poteri occulti », indipendentemente dal colore del governo, espressa anche durante le trasmissioni di Santoro. Difendere l'indipendenza della magistratura e, al tempo stesso, raccomandarne misura e riservatezza non è né di destra né di sinistra. Essere liberali è essere «altrove». (Corriere della Sera)
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