«La solidarietà verso il Vietnam è stata un'esperienza formativa di grandissimo valore. Fin da quando eravamo ragazzi il nome del vostro Paese ha fatto parte della nostra vita e della nostra esperienza politica». Così si è espresso l'8 ottobre il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, nel corso della visita in Vietnam, nella quale è stato anche preannunciato l'appoggio del governo italiano ad Hanoi per un seggio temporaneo nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu. L'enfasi con cui il responsabile della Farnesina ha ricordato le sue «esperienze politiche» al collega della Repubblica socialista del Vietnam, Pham Gia Khiem, non deve sorprendere (anche se, scommettiamo, simili reminiscenze non sarebbero emerse con l'amica Condoleeza...). Per D'Alema e i comunisti, non solo italiani, il Vietnam ha rappresentato davvero un momento decisivo, una «esperienza formativa di grandissimo valore». Peccato che a fare le spese di quella «solidarietà», urlata per anni col pugno chiuso nelle piazze, sia stata proprio la popolazione vietnamita, dapprima devastata dalla guerra e poi da una dittatura vergognosa quale quella comunista ancora al potere.
A più di trent'anni dalla fine del conflitto è possibile ricostruire con sufficiente limpidezza gli avvenimenti che sconvolsero quella regione, con le tragiche conseguenze che ancora oggi incombono su una popolazione martoriata. Avvenimenti che smentiscono sistematicamente la propaganda comunista e antiamericana che negli anni '60 e '70 accecò una parte consistente dell'opinione pubblica occidentale. Ci aiuta in questa sintesi Padre Piero Gheddo, uno dei massimi conoscitori del Vietnam a livello mondiale, e autore di quattro libri su di esso, uno dei quali, «Cattolici e buddisti in Vietnam», è stato tradotto in ogni parte del mondo. «Nel tempo coloniale - scrive Padre Gheddo su "Il Timone" (numero 41) - il Nord era sempre stato il motore dell'economia vietnamita, ma dal 1956 al 1963 il Sud lo supera largamente anche per i colossali errori del regime comunista (riforma agraria, nazionalizzazione delle attività economiche, repressione feroce di ogni libertà, chiusura totale verso il mondo libero). Si stava ripetendo in Vietnam quel che già era successo in Corea e in Germania: nello stesso Paese diviso in due, la parte filo-occidentale si sviluppa, quella comunista va verso la miseria. Il Nord (Cina e Russia alle spalle) sostiene con armi e militari i vietcong (partigiani comunisti che agiscono nel Sud), violando i patti di pace di Ginevra». Mentre nel Sud del Paese, dunque, il regime di Diem avvia il popolo a governarsi democraticamente attraverso libere elezioni a livello comunale e regionale, si liberalizzano le attività economiche, si rispettano la libertà di stampa, religiosa, sindacale e associazionistica, nel Nord comunista la dittatura è invece assoluta e mira ad estendere il suo dominio anche nel Paese confinante.
Nell'ottobre del 1963 gli Stati Uniti, sotto la guida del presidente John Kennedy, inviano militari nel Vietnam del Sud per difendere l'alleato, così come era successo con i sud-coreani ed i tedeschi. Anno dopo anno la presenza americana in Vietnam arriva a raggiungere i 500.000 militari, con 52.000 caduti. Dopo Diem, ucciso in seguito a un colpo di Stato nel novembre del 1963, al Sud si susseguono vari governi, fino a quello del generale Van Thieu nel 1967, che stabilizza politicamente il Paese. Ma dopo l'offensiva dell'esercito nord-vietnamita del febbraio 1968, l'opinione pubblica occidentale e americana non tollera più la guerra: manifestazioni si susseguono a manifestazioni e il comunismo mondiale e la grande stampa «progressista» hanno buon gioco a dipingere tutto il male da una parte (il Vietnam del Sud e gli americani) e tutto il bene dall'altra (vietcong e vietminh). Il 27 gennaio 1973 il presidente americano Richard Nixon firma a Parigi gli accordi di pace col Vietnam del Nord. L'ultimo militare americano si ritira il 23 marzo del 1973. Il Vietnam del Sud, invaso da un altro Paese, cerca di resistere da solo, ma è sopraffatto dalla guerriglia e dai nord-vietnamiti, che il 25 aprile dl 1975 assumono tutto il potere. Gli «accordi» di Parigi, riconosciuti dall'Onu, prevedevano che alla «terza forza» pacifista del Vietnam del Sud, che aveva manifestato contro Thieu e la guerra (partecipavano buddisti e cattolici), fossero garantite tutte le libertà e libere elezioni. Nulla di questo avvenne: il giorno dopo la presa del potere da parte di vietminh e vietcong queste garanzie diventarono carta straccia. Riassume Padre Gheddo: «Se avesse vinto il governo filo-occidentale, il Vietnam sarebbe libero, democratico e sviluppato come la Corea del Sud; ma ha vinto il governo comunista e il Vietnam è in una situazione poco migliore di quella della Corea del Nord».
Sì, perché dopo la cosiddetta «liberazione», il regime comunista si è mostrato per quello che tutti i regimi comunisti sono: dittatura e repressione. Ne sanno qualcosa i montagnard. Essi costituiscono uno dei popoli indigeni più antichi di tutto il Sud-Est asiatico, stanziati in Indocina da più di duemila anni. Divisi in una trentina di differenti tribù, abitano le cosiddette Terre Alte al confine tra Vietnam e Cambogia, e la maggior parte di loro sono cristiani, cattolici e protestanti, convertiti attraverso i missionari negli ultimi due secoli. Ala fine della colonizzazione francese, cinquant'anni fa, si stima che fossero circa tre milioni. Oggi, decimati dalla persecuzione dei regimi comunisti della regione, i montagnard, uccisi o inghiottiti dalle spaventose prigioni vietnamite, si sono ridotti a meno di un milione. Un genocidio silenzioso di cui scrivono in pochi. Dai primi mesi del 2004, poi, il governo di Hanoi ha rafforzato nella zona il suo apparato repressivo militar-poliziesco, impedendo l'accesso ai giornalisti e agli osservatori umanitari internazionali. Secondo informazioni fornite dalla Montagnard Foundation, i cristiani che vengono trovati in possesso di un crocifisso, di un'immagine sacra, ma anche di un cellulare, di una radio o di un giornale straniero, vengono immediatamente arrestati e spesso sottoposti a tortura; non di rado sono costretti ad abiurare la propria fede, obbligati a bestemmiare o a bere il sangue di animali sgozzati.
Ma non sono solo i montagnard ad essere perseguitati nel Vietnam comunista. Norme soffocanti impongono restrizioni, limiti e divieti per tutti coloro che professano una fede religiosa: in particolare ai cristiani non è permesso di rendersi visibili, testimoniare pubblicamente la propria fede, esprimere giudizi. A volte la persecuzione è più sottile, moderna: non impedisce di professarsi cristiani e di esercitare il culto, ma esige il controllo delle coscienze. Gli iscritti al Partito Comunista del Vietnam, d'altro canto, non possono per legge aderire ad un credo religioso.
Vorremmo quindi ricordare a Massimo D'Alema, alle sue marce pro Ho Chi Minh, alla sua «esperienza formativa di grandissimo valore», le parole di Padre Gheddo: «Gli italiani che hanno appoggiato vigorosamente i vietcong e il regime comunista del Nord Vietnam sono in parte responsabili del disastro di un antico Paese, dal quale poi sono fuggiti circa un milione e mezzo di vietnamiti a rischio della vita (i boat people nel periodo 1975-1979). Quanti hanno fatto un sincero esame di coscienza per quella sbandata ideologica a spese di un popolo che si voleva aiutare?». Ha scritto il giornalista francese Jean Lacouture: «Dicevo quel che volevo credere, chiudevo volutamente gli occhi di fronte alla realtà dei fatti, per illudermi con le fantasie. Il nostro errore è stato applaudire alla violenza rivoluzionaria pensando che servisse a liberare l'uomo. Ma chiudevamo gli occhi e il cuore alle invocazioni di quelli che erano oppressi dalla rivoluzione». Anche Lacouture, come D'Alema, un tempo inneggiava ai vietcong. Lui si è pentito. D'Alema, evidentemente, no. (Ragionpolitica)
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1 commento:
Vincenzo sei forte!!!!
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