«Mi toccherà lavorare anche lunedì», ha detto Franco Marini salutando la 33esima o 34esima delegazione (se ne è perso il conto) a Palazzo Giustiniani. E sembrava che stesse annunciando uno dei fatti più strani della sua vita. Da quando in qua si lavora di lunedì? Il fatto che la circostanza sia più o meno condivisa da milioni di italiani, non ha fatto nemmeno capolino nel subconscio del presidente finalizzato. Chissà, forse nella precedente vita faceva il barbiere.
Lunedì Marini incontrerà Pd, An e Forza Italia. Avrà poche cose da dire, per la verità. Lui continua a parlare di spiragli, ma lo fa più per dovere d’ufficio che per convinzione. L’ultimo messaggio è arrivato da Luca di Montezemolo: dopo la sua consultazione, ha pronunciato la frase magica: «Si vada alle urne».
Del parere di Montezemolo sulle elezioni, per la verità, poco ce ne importa. Siamo convinti che se uno vuole fare politica, si deve candidare e prendere i voti. È la democrazia, bellezza. Troppo semplice giocare a fare il Coso bianco o giallo o beige, lasciando sempre aleggiare una possibile candidatura a tutto e usando la forza delle imprese per comportarsi da capo-partito senza avere il partito. E, se dobbiamo dirla tutta, continuiamo a non capire la necessità di Marini di consultare lui, e insieme a lui Cgil, Cisl e Uil, artigiani, commercianti e Legacoop.
Ma che anche Montezemolo, gran sostenitore della riforma elettorale, abbia alzato bandiera bianca (senza Cosa bianca) la dice lunga sul fatto che di spiragli non ce ne sono più. E se ce n’erano, qualcuno ha messo il silicone. Infatti se, come pare certo, Berlusconi e Fini lunedì rifiuteranno definitivamente ogni pateracchio, la strada per le urne è inevitabile.D’altra parte non è questo il momento di avere esitazioni. Né governi balneari né governi Marini. In effetti quella di ieri è sembrata già una giornata di campagna elettorale più che di trattativa. Con tanto di veleni annessi. Veltroni parlava di «ansia di voto», Repubblica titolava: «Ultimo appello a Berlusconi». La manovra è chiara: sostenere che la responsabilità della fine della legislatura è del centrodestra perché non ha accolto la disperata offerta del finalizzato. Anche se lui, poveretto, lavora persino di lunedì.
Sinceramente, ci pare un po’ troppo. La legislatura non finisce perché Berlusconi respingerà l’ultimo appello: finisce perché il centrosinistra ha fallito e perché Prodi ha governato nel peggior modo possibile. E quello di Marini è stato, come si sapeva, solo un disperato prolungamento d’agonia, un’inutile perdita di tempo, oltre che una triste passerella di strambe delegazioni. L’ultima, a sorpresa, è stata quella del Comitato per la riforma elettorale, ricevuto ieri, probabilmente poche ore dopo la sua nascita. Dicevamo l’altro giorno che mancava solo che Marini consultasse pure gli Amici del bollito. Evidentemente non ci siamo andati lontani: gli amici sono arrivati a Palazzo Giustiniani. Il bollito c’era già. (il Giornale)
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