All’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno era tutto pronto, ma poi l’operazione non è riuscita e il commissariamento dei maggiori enti previdenziali (si veda l’articolo di Emanuela Zoncu del 26 dicembre) è stato rinviato. Ma – se il governo tirerà avanti ancora per qualche mese – è assai probabile che saranno superati i dispareri presenti nel gabinetto. Così la maggioranza andrà decisamente ad impadronirsi di Inps, Inail ed Inpdap, che, in termini di potere, rappresentano quello che furono le partecipazioni statali durante la prima Repubblica.
I tre enti vantano insieme bilanci per circa 400 milioni di euro, hanno rapporti, più o meno, con 22 milioni di famiglie e con milioni di imprese, costituiscono gli avamposti del welfare state all’italiana. E’ addirittura Prodi, spalleggiato da Giulio Santagata, a voler mutare in profondità gli assetti istituzionali degli enti (fu il dlgs n.479/1994 a introdurre un regime dualistico, affidando le funzioni di indirizzo e vigilanza ai Civ composti da rappresentanti delle parti sociali e i compiti gestionali ai CdA i cui membri erano nominati dai governi e quindi dai partiti); tutto ciò, allo scopo dichiarato di realizzare quei 3,5 miliardi di risparmi nel prossimo decennio indicati nel piano finanziario a copertura della revisione dello “scalone” e della normativa sui lavori usuranti.
Il premier – pur conoscendo la linea di maggior prudenza del ministro Damiano – ha voluto sottolineare il tema della riforma degli enti persino in occasione della conferenza stampa di fine anno. In realtà, nessuno è disposto a scommettere un solo centesimo sulla possibilità di ottenere dei risparmi importanti attraverso l’unificazione degli Istituti. La legge recentemente approvata in attuazione del protocollo del 23 luglio ha stabilito infatti che vi sarà un incremento dello 0,09% delle aliquote contributive se nel 2011 non saranno alle viste i risparmi derivanti dalla c.d. razionalizzazione degli enti. La stessa Commissione bicamerale di vigilanza – dopo aver condotto un’accurata indagine – ha concluso i suoi lavori formulando delle relazioni molto abbottonate.
Nella sua audizione la Ragioneria Generale è andata oltre, evidenziando che “eventuali economie derivanti dall’operazione di accorpamento degli enti non possono essere utilizzate per la copertura finanziaria di nuove spese nel senso che gli eventuali risparmi di spesa derivanti da tale operazione non possono essere utilizzati come fonte di copertura per eventuali disposizioni recanti oneri certi, derivanti ad esempio dal potenziamento delle tutele e dei diritti soggettivi nell’ambito delle prestazioni sociali”.
Comunque vadano le cose Prodi ha in mente soprattutto una grande operazione di potere (anche di carattere personale); è disposto, infatti, ad investirvi persone di sua stretta fiducia. Lo schema è chiaro nella testa (e non solo) del premier: come primo atto il governo nomina un supercommissario unico per tre enti riformandi. Per individuare la personalità chiamata a svolgere questo ruolo sono girati nomi prestigiosi: da Tiziano Treu, insigne giurista e presidente della Commissione Lavoro del Senato, ai manager Enrico Bondi e Corrado Passera. Pare però che nessuno dei tre sia disposto a diventare il Mister Pensioni (e Infortuni), in un contesto politicamente così instabile. Ma il clou dell’operazione sta nella nomina dei vice commissari individuati nelle persone dei direttori generali degli enti: Vittorio Crecco per l’Inps (il fedele esecutore delle direttive di Prodi ancorché debba il suo posto al governo di centro destra), Giuseppina Santiapichi (per lei è il caso di ricordare che la regola nomina sunt consequentia rerum vale anche per i cognomi) e Piero Giorgini dell’Inail, nell’ordine assegnati in quota Uil, Cisl e Cgil.
Se ci è consentito aprire a questo punto una parentesi, nei giorni scorsi i soliti scopritori dell’acqua calda si sono accorti che, nella sanità pubblica, si diventa primari sulla base delle tessere di partito. Invece di meravigliarsi vadano a fare un giro negli enti previdenziali se vogliono rendersi conto di tecniche spartitorie tra partiti e forze sociali che fanno diventare il manuale Cencelli una sorta di tombola per allietare le serate delle educande.
Ma la rete prodiana nella previdenza non si limita agli enti. Al posto di Maria Teresa Ferraro (che ha lasciato la Direzione generale Previdenza ed Assistenza del Lavoro per andare a presiedere il collegio dei sindaci dell’Inps) sarà nominato Gianni Geroldi, presidente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale e consulente di Damiano. Stefano Patriarca, anch’esso stretto collaboratore di Damiano, sarà assunto all’Inps (grazie ai buoni uffici di Crecco) dove andrà a dirigere il servizio studi e ricerche. Sia Geroldi che Patriarca sono persone sicuramente capaci ed hanno alle spalle brillanti curricula, uno nell’università, l’altro nell’Ires Cgil. Ma il disegno del premier è chiaro ed agisce in profondità, se si considera pure il prossimo arrivo all’Inps, in un incarico di primo piano, di Giampiero Scanu, una volta dismessi i panni di sottosegretario. Sempre che non si verifichi – cosa sempre più improbabile – qualche folgorazione sulla via di Damasco. (l'Occidentale)
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